Archive for Agosto, 2011

31 Agosto, 2011

Carlo Galli, Tasse. Scenari, I soliti ignoti

by gabriella

La Parola

Tasse

(di etimo analogo al verbo ‘tassare’: dal latino taxare, derivato a sua volta da tangere [toccare], col significato di ‘valutare toccando’, ‘soppesare’, e anche di ‘biasimare’, ‘tacciare’).
Propriamente la tassa è un importo dovuto dai cittadini allo Stato in cambio di prestazioni (es., la tassa portuale), e si distingue dall’imposta che invece colpisce liberamente il patrimonio o il reddito (imposta diretta) oppure il movimento di ricchezza (imposta indiretta). Tuttavia, nel linguaggio comune, con ‘tasse’ si intende di solito l’insieme dei tributi che lo Stato esige dai cittadini (il potere d’imporre tasse appartiene, di norma, a enti pubblici sovrani, come lo Stato, e a enti territoriali, come le Regioni e i Comuni, che derivano tale potere dallo Stato).

Il rapporto tasse-politica è quindi strettissimo. L’età moderna conosce, a questo riguardo, tre dinamiche fondamentali. La prima è la progressiva conquista, da parte dello Stato, del monopolio della tassazione e dell’imposizione fiscale, per farne un diritto di sovranità (come il legiferare, l’amministrare la giustizia, il battere moneta, il dichiarare guerra) e uno dei segni del proprio controllo del territorio e della popolazione: per tassare, lo Stato deve, infatti, conoscere la quantità e la qualità delle persone, delle loro ricchezze e delle loro attività economiche (la scienza statistica). La seconda è la lotta dei cittadini per determinare autonomamente il livello della tassazione, senza subirlo da parte del potere regio: i Parlamenti, rappresentativi della sovranità popolare, hanno infatti come compito fondamentale l’approvazione del bilancio dello Stato, delle sue uscite (le spese) e delle sue entrate (le tasse). Questo collegamento fra tasse e cittadinanza (che nel mondo anglofono si espresse nello slogan no taxation without representation) significa che il  peso fiscale non deve essere interpretato come un servaggio, come un tributo pagato dai vinti ai dominatori, ma come la consapevole partecipazione dei cittadini al bene comune. La terza dinamica è la progressiva abolizione dei privilegi (i nobili, durante l’Ancien Régime, erano esenti da tasse): poiché la tassazione è collegata alla cittadinanza, tutti i cittadini devono essere uguali davanti al fisco.

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30 Agosto, 2011

Commotion, il progetto di un’Internet libera da qualunque controllo. Il progetto di una rete “ombra” per difendersi dalla censura

by gabriella

Le Monde di oggi riferisce della nascita di Commotion: non un gadget qualunque, ma la possibile killer application di una comunicazione senza controllo totalmente gratuita, cioè (come spiega l’articolo) “l’utopia suprema degli hacker e dei militanti libertari del mondo intero”: Commotion consiste infatti in reti wireless collegate tra loro attraverso frequenze libere e raggiungibili senza linea telefonica.

Chi conosce l’architettura di Internet sa che la gratuità e la libertà di questo mezzo di comunicazione entrano sistematicamente in contraddizione con la controllabilità e la necessità di stipulare un contratto di accesso alla rete con un provider telefonico (ISP). Commotion sembra spazzare via questo limite…

LEMONDE | 30.08.11 | 17h28   •  Mis à jour le 30.08.11 | 18h44

Une vingtaine de jeunes gens finalisent un logiciel permettant la création de réseaux sans fil à haut débit 100 % autonomes, qui fonctionneront sur les fréquences Wi-Fi, sans s'appuyer sur aucune infrastructure existante.

Une vingtaine de jeunes gens finalisent un logiciel permettant la création de réseaux sans fil à haut débit 100 % autonomes, qui fonctionneront sur les fréquences Wi-Fi, sans s’appuyer sur aucune infrastructure existante. Conspiritech / Wikimedia commons

Una ventina di giovani realizzano un programma che permette la creazione di reti senza fili a banda larga, autonome al 100%, che funzionano su frequenze Wi-fi, senza appoggiarsi ad alcuna infrastruttura esistente.

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29 Agosto, 2011

Benasayag, Schmit, Il desiderio è il fondamento stesso dell’apprendimento

by gabriella

Stralcio dal libro di Miguel Benasayag (Les passions tristes. Souffrance psychique et crise sociale, Paris, 2003) questo passaggio significativo sull’educazione e la trasmissione di cultura:

“E allora come è possibile ormai educare, trasmettere e integrare i giovani in una cultura che non solo ha perduto il  proprio fondamento principale ma l’ha visto trasformarsi nel suo contrario, nel momento in cui il futuro-promessa è diventato futuro-minaccia? Alla fine, la cosa più strana è che questo cambiamento passi pressoché inosservato. Le diverse istituzioni deputate a educare, a trasmettere e a curare ciò che va male agiscono come se non ci fosse nessuna crisi, come se ci fossero solo delle difficoltà da superare, con l’aiuto della tecnica e un po’ di buona volontà. Tra gli “ideali patchwork” che si sostituiscono alle speranze della modernità e che si sforzano di nascondere la crisi, ce n’è uno che ci interessa in modo particolare. Si tratta del passaggio dal desiderio alla minaccia.

Oggi, per i giovani, la minaccia del futuro si è sostituita all’invito a entrare nella società, a condividere, a conoscere e ad appropriarsi dei beni della cultura. Sembra che la nostra società non possa più “concedersi il lusso” di sperare o di proporre ai giovani la loro integrazione sociale come frutto e fonte di un desiderio profondo. Si dimentica quale sia secondo Freud – come per i suoi successori, ma soprattutto per la stragrande maggioranza degli insegnanti e degli educatori – la motivazione dell’apprendimento: il desiderio di imparare e di comprendere.

Freud spiega la possibilità di cominciare a imparare, a educarsi e, in sintesi, ad accedere alla cultura, mediante il concetto di sublimazione della libido. Secondo Freud, crescendo il bambino accetta di sublimare – o potremmo dire di negoziare – una parte della sua libido, owero della sua energia vitale, del suo desiderio, passando così da una posizione autocentrata, la cosiddetta libido narcisistica, a una preoccupazione e attenzione rivolte al mondo esterno che Freud definisce libido oggettuale. Una parte di tale processo consente ai bambini di assumere la propria umanizzazione come un divenire. Questo passaggio è descritto da Freud con il concetto di pulsione epistemofilica: l‘espressione indica la capacità del bambino di aver desiderio di imparare, consacrando una parte della sua libido agli oggetti del mondo che deve apprendere, comprendere e abitare.
Il desiderio è quindi, semplicemente il fondamento stesso dell’apprendimento. Sicuramente l’apprendimento scolastico è anche “utile” al bambino, perché se ne può servire nella vita quotidiana. Ma è il frutto del desiderio e della pulsione epistemofilica, e non di un semplice utilitarismo. Non si tratta semplicemente di essere informati, perché l’educazione non si riduce all’assimilazione di una “modalità d’impiego della vita”...

23 Agosto, 2011

Michael Wesch, La scuola nella società informazionale

by gabriella

Sulle vere domande che la scuola e gli insegnanti del XXI secolo dovrebbero farsi, vale a dire, cosa deve essere la scuola in una società informazionale, come insegnare a leggere la realtà in un mondo in sovraccarico informativo, come intercettare i gusti e le passioni dei nostri studenti e via dicendo, mi è invece stato utile un post inviato da Michael Wesch (Kansas State University) alla mailing list dell’Institute for Distributed Creativity (distributedcreativity.org) (ho aggiunto io il neretto, per facilitare la lettura). Il video seguente ne anticipa alcune:

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=jrXpitAlva0]

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23 Agosto, 2011

Alessandro Portelli, Cancellate le feste inizia il saccheggio

by gabriella

Che cosa suggerisce «la relazione complicata fra feste civili, feste tradizionali, feste religiose, rivolte urbane». La festa come «sospensione dell’ordinarietà» è il simbolo della nostra identità. Per questo vogliono toglierle. Ma è anche il consumo ad aver «mangiato» la festa, come dimostrano i riots inglesi.

«Nelle società tradizionali – scriveva Alfonso Di Nola – le feste corrispondono a “un periodo di intensificazione della vita collettiva” durante il quale “il gruppo rinunzia alla sua attività normale, produttiva e utile” per ricostituire la propria “sicurezza di essere”» – il senso cioè del proprio esistere come gruppo. Sembra una definizione fatta su misura per la recente festa dei 150 anni dell’unità d’Italia, pensata come un momento di sospensione dell’attività ordinaria per riflettere sul significato del nostro stare insieme – e invece è successo tutto il contrario, e si è aperto un conflitto sia sull’oggetto (l’unità nazionale), sia sull’idea stessa di festa (pensare e ricordare invece di lavorare e produrre). La festa è un momento di consenso, ma in quel giorno quel tanto di intensificazione della vita collettiva che si è verificato è stato dovuto in gran parte proprio a una divisione, all’esistenza di una componente sociale (antiunitaria e produttivistica) che non vi si riconosceva.

E’ questa componente che, sul piano simbolico e forse non solo, cerca la rivincita proponendo, attraverso spostamenti e accorpamenti, se non la scomparsa certo l’attenuazione di una serie di momenti rituali intesi a ribadire la nostra «sicurezza di essere» come repubblica (il 2 giugno) democratica (il 25 aprile) fondata sul lavoro (il 1 maggio). Infatti questa proposta è parte organica di un progetto che mira a trasformare e svuotare la costituzione democratica e antifascista e i diritti dei lavoratori, e ne condensa il significato: cavalcare la crisi per cambiare la natura e la forma del nostro esistere come gruppo.

Il modello ideale di festa a cui si riferiva Di Nola era riferito a società relativamente coese e omogenee, come si rappresentano le società tribali, contadine e pastorali. Nella modernità urbana e capitalistica, la coesione non ha più la forma dell’omogeneità, bensì quella della gestione regolata dei conflitti fra i sottogruppi molteplici e contrapposti che la compongono. Anche la festa allora diventa un momento di conflitto e dal conflitto acquista senso: basta pensare a come l’avvento del primo governo anti-antifascista di Berlusconi-Fini ha ravvivato il 25 aprile, a come proprio l’assenza ostentata del capo del governo abbia rinforzato il significato della nostra presenza. Ma anche a come il senso del 1 maggio si sia attenuato con la sua trasformazione da un momento di orgoglio operaio a una della tante festività musicali giovanili in cui non è lecito dire nulla di controverso; o come il 2 giugno – nonostante le parate militari – abbia ripreso senso quando ci siamo accorti che la Costituzione era sotto attacco.

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21 Agosto, 2011

Saskia Sassen, Città globali

by gabriella

San paolo case dei ricchiLa più grande novità della globalizzazione sono le città globali, che tendono a sostituire gli Stati e creano una nuova politica urbana, nuove classi, nuovi conflitti. Intervista a Saskia Sassen, Carta, n. 5, 21 febbraio 2008.

Chi si è messo alla ricerca di nuove chiavi di lettura per analizzare le trasformazioni della società globale, a cominciare dalle città, negli ultimi anni ha trovato negli studi di Saskia Sassen punti di vista inediti. Sociologa olandese, cresciuta in Argentina, Saskia Sassen insegna oggi alla Columbia University di New York, ed è tra i più autorevoli studiosi internazionali di ciò che ormai molti definiscono, lei per prima, «città globali». Di certo, Saskia Sassen ama ripetere che

«siamo all’inizio di un nuovo ordine, nel quale non è sempre chiaro cosa possono produrre le microstorie informali che è possibile rintracciare nelle grandi città, però ci sono e cambiano la società».

saskia sassenAbbiamo incontrato Saskia Sassen a Roma, dopo un incontro dedicato al tema delle nuove democrazie promosso dalla Fondazione Basso. Cominciamo dalla definizione di «città globali»: sono soltanto quelle che di fatto ospitano i principali centri finanziari internazionali, come New York, Tokyo, Amsterdam e Londra? Cosa accomuna queste città? Le città globali hanno due aspetti, uno economico e l’altro politico. Dal punto di vista dell’economia, una città globale ha tutte le capacità, le risorse e le cornici funzionali per maneggiare le operazioni globali delle imprese e dei mercati nazionali e internazionali. La città globale incarna d’altra parte un tipo nuovo di politica: la competizione per lo spazio urbano. È uno spazio molto conflittuale, spesso con contenuti specificatamente locali, ma nei fatti è una politica globale, non perché tratta con istituzioni globali come il Fondo  monetario internazionale o la Wto, ma perché questi conflitti si ripresentano in tutte le città globali del mondo. Oggi ci sono circa quaranta città globali, e un numero crescente di città che hanno alcune funzioni globali. Come si è diffusa l’economia globale, così si è allargato il numero di città globali. Secondo le ultime stime, Londra è oggi la città globale per eccellenza, ha appena superato New York, che già si sta lamentando perché non può pensare di essere null’altro che la numero uno. Londra, Tokyo, New York, Hong Kong, Chicago, Parigi, Francoforte sono il livello più alto, tra le città globali.

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20 Agosto, 2011

Emanuele Severino, La filosofia nasce grande

by gabriella
nascita di Athena

Atena nasce già adulta e armata di tutto punto dalla testa del padre Zeus

Tratto da La filosofia antica, Milano, Rizzoli, 1984, pp. 17-19.

La filosofia nasce grande. I primi passi della sua storia non sono cioè l’incerto preambolo a un più maturo sviluppo del pensiero, ma stabiliscono i tratti fondamentali del suo intero decorso storico.

Per decine e decine di millenni, l’esistenza dell’uomo  – globalmente e in ogni suo singolo aspetto – è guidata dal mito. Il mito non intende essere un’invenzione fantastica, bensì la rivelazione del senso essenziale e complessivo del mondo. Anche nella lingua greca il significato più antico della parola mythos è “parola”, “sentenza”, “annunzio”; a volte mythos significa persino “la cosa stessa”, la “realtà”. Solo in modo derivato e più tardo, nella lingua greca mythos indica “leggenda” , la “favola”, il “mito”.

Ma il mito arcaico è sempre collegato al sacrificio, cioè all’atto col quale l’uomo si conquista il favore degli dèi e delle forze supreme che, secondo la rivelazione del mito, regnano nell’universo. Il sacrificio può essere cruento, oppure del tutto incruento, come nelle pratiche ascetiche dello Yoga; ma in ogni caso il suo intento è di identificarsi e di dominare ciò che nel  mito appare come la potenza suprema.

Per la prima volta nella storia dell’uomo, i primi pensatori greci escono dall’esistenza guidata del mito e la guardano in faccia. Nel loro sguardo c’è qualcosa di assolutamente nuovo. Appare cioè l’idea di un sapere che sia innegabile, e sia innegabile non perché le società e gli individui abbiano fede in esso, o vivano senza dubitare di esso, ma perché esso stesso è capace di respingere ogni suo avversario. L’idea di un sapere che non può essere negato né da uomini, né da dèi, né da mutamenti dei tempi e dei costumi. Un sapere assoluto, definitivo, incontrovertibile, necessario, indubitabile.

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19 Agosto, 2011

Zygmunt Bauman, I ragazzi deviati dal consumismo

by gabriella

Dopo aver letto l’opinione di Bauman sui riots e visto il video di RaiNews24 La voce dei saccheggiatori (in coda al testo) i miei dubbi sono aumentati. I ragazzi che parlano non sembrano affatto feticisti delle merci, a me sembrano piuttosto ragazzi disincantati immersi nel bisogno che vogliono ciò a cui pensano di avere diritto (vedi il reportage di Infoaut). Decisamente più stringente l’argomentazione di Žižek. Nell’ultimo video, durissimi scontri con la polizia.

La traduzione dell’articolo di Bauman The London Riots – On Consumerism coming Home to Roost, uscito su Social Europe è stata pubblicata l’11 agosto sul Corriere della Sera.

Queste non sono rivolte del pane o della fame. Queste sono rivolte di consumatori deprivati ed esclusi dal mercato. Le rivoluzioni non sono la conseguenza inevitabile delle ineguaglianze sociali, lo sono invece i terreni minati. ( Nella foto: il saccheggio di un negozio a Birmingham ) I terreni minati sono quelle aree disseminate a caso di ordigni esplosivi: si può star certi che alcuni di essi, a un certo punto, salteranno in aria, ma nessuno è in grado di affermare esattamente quali e quando. Se le rivoluzioni sociali sono invece fenomeni mirati, ecco che è possibile intervenire per identificarle e disinnescarle in tempo. Ma non le esplosioni da terreno minato. Nel caso dei terreni minati per mano di soldati di un esercito, si possono inviare soldati di qualche altro esercito a rintracciare le mine per disarmarle. Un compito rischiosissimo, come dice l’adagio dei militari: «Lo sminatore può sbagliare una sola volta».

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19 Agosto, 2011

Saskia Sassen, Con i riots la storia volta pagina

by gabriella

Parla Saskia Sassen, teorica dei rapporti di potere all’interno della globalizzazione. Causati anche dall’esproprio di ricchezza verso banche e enti sovranazionali, i riots inglesi segnano il limite delle democrazie liberali, qualcosa di simile al passaggio storico dal Medioevo alla modernità: che cosa resterà in piedi?

Non si sottrae alle domande. Precisa più volte il suo pensiero. Anche se vive divisa tra New York e Londra, legge attentamente i giornali per capire cosa sta accadendo nella vecchia Europa, dove ha avuto la sua educazione sentimentale alle scienze sociali, prima di spostarsi in America Latina e successivamente negli Stati Uniti. Saskia Sassen è nota per il suo libro sulle Città globali (Utet), anche se i suoi ultimi libri su Territori, autorità, diritti (Bruno Mondatori) e Sociologia della globalizzazione (Einaudi) ne hanno fatto una delle più acute studiose su come stia cambiando i rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giuridico sotto l’incalzare di una globalizzazione economica che sta mettendo in discussione anche la sovranità nazionale. Per Saskia Sassen, il capitalismo non può che essere globale. E per questo ha bisogno di istituzioni politiche e organismi internazionali che garantiscono la libera circolazione dei capitali e le condizioni del suo regime di accumulazione della ricchezza. Per questo ha sempre guardato con sospetto le posizioni di chi considerava finito lo stato-nazione. Come ha più volte sottolineato, lo stato-nazione non scompare, ma cambia le sue forme istituzionali affinché la globalizzazione prosegua, industriata, il suo corso. E allo stesso tempo ha sempre sottolineato come le disuguaglianze sociali siano immanenti al capitalismo contemporaneo.

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19 Agosto, 2011

Malinconia: genio e follia in Occidente (8)

by gabriella

VIII. L’angelo della Storia. Malinconia e tempi moderni

Da quando la cultura si è separata dal culto e s’è fatta culto essa stessa, essa non è più di un rifiuto e, dopo appena 500 anni, il mondo è così stanco e sazio di lei che sembra quasi l’abbiano imboccato con un cucchiaio.

Thomas Mann, Faust, 1947

Lo scacco delle grandi utopie sociali e delle ideologie politiche, l’avanzata dei totalitarismi, la guerra, precipitano l’uomo del XX° secolo in un irrimediabile sentimento d’estranietà verso il mondo. In Munch, De Chirico, Hopper, la malinconia prende così corpo in un quadro quotidiano e procede attraverso uno scarto radicale tra il soggetto e il suo ambiente. In Sironi, Dix, Kiefer, essa testimonia delle rivoluzioni politiche come di quelle tecniche: all’attaccamento al passato che caratterizza l’opera del primo, corrisponde la violenza provocata dall’avvento del regime nazista in Otto Dix, mentre Kiefer si esprime ironicamente nella rappresentazione di un bombardiere tedesco in piombo (questo metallo è associato alla malinconia), indatto dunque a qualunque volo e, in più, coronato dal poliedro dell’incisione di Durer. La malinconia del XX° secolo appare così legata fondamentalmente alla storia.

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