Archive for 5 Marzo, 2012

5 Marzo, 2012

Ivan Fulco, Come nascondersi da Google. Vademecum per la privacy in rete. Munafò, Cosa sanno di noi i siti che visitiamo?

by gabriella

Dal 1° marzo, tra non pochi dubbi, sono entrate in vigore le nuove regole di privacy di Google. Piccolo viaggio tra i sistemi per regalare il meno possibile di se stessi al sistemi di tracciamento dei servizi di Mountain View di IVAN FULCO

Secondo i teorici del Grande Fratello (quello orwelliano, non quello Endemol), lo scambio non è per nulla equo: ogni giorno, Google permette ai suoi utenti di accedere a decine di servizi online in forma gratuita, ma il prezzo da pagare – per quanto non monetario – è comunque troppo alto. Sono tutti i dati che quotidianamente condividiamo con Mountain View (registrando un Google Account o anche solo eseguendo una ricerca), e che entrano nell’ecosistema del mercato pubblicitario a disposizione di decine di società. Google conosce il tuo nome, la tua posizione geografica, utilizza la tua cronologia di navigazione. Tutto con un obiettivo primario: fornire agli utenti inserzioni pubblicitarie mirate, per alimentare quel business che, solo nel 2011, ha stabilito un nuovo record, con un utile trimestrale di 9,72 miliardi di dollari. 

Dopo l’esordio, Il primo marzo, delle norme unificate sulla privacy1, il fronte degli scettici ha trovato tuttavia nuovi protagonisti. L’Unione Europea ha espresso “profonda preoccupazione” per le nuove regole2, sollevando dubbi sulla loro legalità. Il Presidente Obama3 ha avviato un piano per la protezione dei dati dei consumatori. Per diffondere una maggiore consapevolezza, una start-up italiana, Iubenda, sta sviluppando un servizio4 che mostri in tempo reale la diffusione dei nostri dati in Rete. Ma per un normale utente che non voglia condividere informazioni con Mountain View, qual è la soluzione?

Le armi di Google contro GoogleGli strumenti primari, paradossalmente, sono forniti da Google stessa. La pagina degli “Strumenti per la privacy”5, per iniziare, illustra tutte le procedure attraverso cui monitorare e cancellare i propri dati dagli archivi Google. È possibile eliminare elementi dalla cronologia di ricerca (“Controlli della Cronologia web”) o disattivare la registrazione delle chat (“Chat di Gmail non salvate nel registro”), ma soprattutto usare gli strumenti del “Data Liberation Front” che, per ogni servizio, spiega passo passo come esportare in locale i propri dati per poi cancellarli dai server remoti. 

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5 Marzo, 2012

Pierre Bourdieu, Come si fabbrica l’opinione pubblica

by gabriella

Da un lato, una situazione economica e sociale inedita. Dall’altro, un dibattito pubblico mutilato, ridotto all’alternativa tra austerità di destra e rigore di sinistra. Come si definisce lo spazio dei discorsi ufficiali, per quale prodigio l’opinione di una minoranza si trasforma in «opinione pubblica»? È ciò che spiega il sociologo Pierre Bourdieu in questo corso sullo Stato tenuto nel 1990 al Collège de France e pubblicato questo mese.

Da Le Monde Diplomatique

Un «uomo ufficiale» è un ventriloquo che parla in nome dello Stato: assume un portamento ufficiale – bisognerebbe descrivere la messinscena del personaggio ufficiale –, parla a favore e al posto del gruppo al quale si rivolge, parla per e al posto di tutti, parla in quanto rappresentante dell’universale. E a questo punto si arriva alla moderna nozione di opinione pubblica. Cos’è questa opinione pubblica invocata dai creatori di diritto delle società moderne, delle società nelle quali il diritto esiste? È tacitamente l’opinione di tutti, della maggioranza o di coloro che contano, di quelli che sono degni di avere un’opinione. Penso che la definizione esplicita in una società che si pretende democratica, e cioè che l’opinione ufficiale è l’opinione di tutti, nasconda una definizione latente, e cioè che l’opinione pubblica è l’opinione di quelli che sono degni di avere un’opinione.

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5 Marzo, 2012

Effetto Nimby e Alta Velocità

by gabriella

Dopo il tragico sgombero della baita Clarea e la fuoriuscita della protesta dalla Val di Susa, si ricomincia a parlare di effetto Nimby, come in un recente servizio di RaiNews24. Nimby è l’acronimo di Not In My Back Yard, «non nel mio cortile», e allude all’atteggiamento di chi, pur non contestando un progetto o un cantiere, rifiuta di sopportarne i disagi. E’ Nimby, insomma, chi non contesta l’utilità di un’opera, né le scelte generali di politica economica (il cosiddetto modello di sviluppo), ma preferirebbe fossero altri a sopportarne i costi: costruite pure l’autostrada, ma non passate sul mio terreno; non sono contrario all’inceneritore, ma andate a farlo un po’ più in là. 

Se la protesta dei valsusini fosse spiegabile con questa logica, la crescita della solidarietà nazionale nei loro confronti sarebbe impensabile: ostacolando la realizzazione di un’opera di pubblico interesse, essi frapporrebbero interessi particolari al bene generale, cioè alla crescita del benessere collettivo e della ricchezza nazionale.

Il problema (per chi vuole realizzare l’opera) è che i valligiani non sono percepiti in questo modo ma, al contrario, come i soggetti più immediatamente e direttamente toccati da interventi portatori di pubblico danno e interesse privato. Che il nodo del contendere sia un treno non ostacola questa percezione – come ha ritenuto erroneamente Bersani che a Servizio Pubblico ha provato ad evocare la stagione in cui ci si batteva per avere i treni, mostrando inequivocabilmente la propria distanza dalla sensibilità comune – ma la esalta, perchè da vent’anni il trasporto ferroviario italiano non é più pensato né sviluppato come un servizio pubblico generalista, un servizio cioè che risponde ad esigenze fondamentali della popolazione quale che sia il suo reddito, ma come un servizio offerto a clienti differenziati in base alla capacità di spesa. E da questo punto di vista, l’esperienza dell’alta velocità è già dato comune: chi non ha mai perso una coincidenza perchè il proprio treno ha dovuto dare la precedenza al freccia rossa? E chi non ha fatto esperienza di treni soppressi, in ritardo, sporchi o fatiscenti in stridente contrasto con il modernismo pacchiano dell’alta velocità?

Non è un caso se in Francia capiscono poco della protesta valsusina: là il TGV (train grande vitesse) non è un treno d’élite, ma il treno delle lunghe distanze. Niente affatto sfarzoso, è tanto veloce quanto popolare. Dubito che importare il débat public senza la cittadinanza – i livelli di partecipazione ed inclusione in Francia non sono comparabili con quelli italiani -, come pensa di fare Monti [servizio di RaiNews24], sia una soluzione.

 

Daniela Brogi, Che fine hanno fatto le sale d’aspetto?

28 marzo 2013 Pubblicato da Daniela Brogi su Le parole e le cose

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Nei prossimi giorni, ci auguriamo, molti di noi saranno in viaggio, e passeranno per le stazioni italiane.

Vorremmo invitarvi a notare un dettaglio sotto gli occhi di tutti: la scomparsa delle sale d’aspetto. A Milano, a Roma, a Firenze, per citare soltanto alcuni dei punti di snodo più importanti, sono sparite le sale dove potersi fermare, e al loro posto si trovano sedili sparsi più o meno confusamente per la stazione. Come negli aereoporti, si spiega di solito. Ma dietro a queste parole ci sono cose più reali: le sale d’aspetto non sono sparite, nel senso letterale del termine, ma sono state privatizzate, trasformate in salette vip delle singole compagnie (Trenitalia, Italotreno eccetera), come si vede in questa foto scattata alla Stazione di Firenze:

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Che le compagnie mettano a disposizione dei viaggiatori “forti” condizioni agevolate e ambienti speciali, è un’iniziativa legittima. Ma questo sistema di attenzioni, che traduce un’idea di valore unicamente costruita sul potere di spesa degli individui e tra l’altro fa fuori i viaggiatori “forti” veri, cioè i pendolari, è imposto, di fatto, azzerando lo spazio che apparteneva anche agli altri. E così le stazioni diventano, anzi sono, e sempre più esclusivamente, luoghi dove passano i clienti, ovvero non sono più bene comune dei cittadini. Come del resto si capisce subito appena si scende alla stazione di Milano, quando, alzando lo sguardo in cerca del tabellone degli orari, si scopre che su quella piattaforma ormai passano soltanto immagini pubblicitarie.


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