Archive for Settembre, 2012

14 Settembre, 2012

Come l’ideologia naturalizza una costruzione culturale. L’esempio di Locke con il diritto di proprietà

by gabriella

Quello che segue è – nelle intenzioni se non nel risultato – un corsivo, sulla fondazione del diritto di proprietà in John Locke. Si tratta quindi di un testo un po’ strafottente o per lo meno non reverente verso il grande filosofo.

Naturalizzare il diritto di proprietà agganciandolo alla legge di natura (o lex divina) è stata una delle operazioni più brillanti del Locke filosofo politico, anche se altre sue magistrali elaborazioni come quella sul concetto di tolleranza (non estendibile agli intolleranti, cioè ai cattolici) e sul funzionamento dell’istituzione parlamentare godono da sempre di una attenzione maggiore.

Visto che vogliamo discutere di come una costruzione culturale viene fatta passare per legge eterna e inamovibile, potremmo ricordare le osservazioni di Foucault, Barthes e dei francofortesi, laddove viene chiarito che ciò che tra i filosofi passa per il “senso comune,” non è che la sedimentazione di un pensiero attivo, per sua natura sempre critico, che viene fatto decantare perdendo la caratteristica di negazione e trasferendo la nuova positività (e normatività) in un ambito che Barthes definiva “mitico” cioè immediato, evidente, naturale.

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13 Settembre, 2012

Alessandro Dal Lago, Scuola. L’inizio e la fine

by gabriella

Quarantacinque anni fa l’università si rivoltò contro un’istruzione ingessata e autoritaria che riservava la «formazione superiore» solo a una quota minoritaria e privilegiata della popolazione. Al di là delle ricostruzioni di comodo e delle incessanti abiure, questo è stato il significato profondo del ’68, almeno per quanto riguarda la scuola. Da Don Milani a Ivan Illich, dalla pedagogia antiautoritaria alla sociologia critica, una pluralità di correnti intellettuali ha contribuito, tra gli anni ’60 e ’70, a un profondo cambiamento degli indirizzi culturali sull’istruzione.

Nel bene e nel male, la società italiana (al pari di gran parte di quelle europee) è figlia di questa rivoluzione. Che cosa resta oggi di tutto ciò? Ben poco, anzi quasi nulla. I dati Ocse riportati ieri da Roberto Ciccarelli su questo giornale fotografano l’esito di un’involuzione iniziata nella seconda metà degli anni Novanta, con la riforma della scuola (autonomia, ecc.) e dell’università («3+2»). Quella che allora era sbandierata (dal governo di centro-sinistra) come una razionalizzazione dell’offerta formativa era in realtà una via di mezzo tra un’illusione e un’utopia conservatrice.

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12 Settembre, 2012

Gramsci, Istruitevi, agitatevi, organizzatevi

by gabriella

Prima di morire in un carcere fascista, Gramsci ha fatto in tempo ad entrare nei libri di filosofia e a diventare il riferimento imprescindibile dei cultural studies britannici.

Aveva un’idea forte della scuola, era convinto che per quella strada passasse obbligatoriamente ogni progetto esistenziale di riscatto e autopromozione. Basta osservare il rapporto tra declino scolastico (ultimi vent’anni) e crescita dell’esclusione – due fenomeni non necessariamente dipendenti l’uno dall’altro, ma infallibilmente insieme – per accorgersi che aveva ragione.

Cover story di Left n. 15/2018

ISTRUITEVI AGITATEVI ORGANIZZATEVI In edicola dal 13 aprileA scuola da Gramsci – L'editoriale di Simona Maggiorelli > https://bit.ly/2EHeAVFScuola, democrazia a rischio – Inchiesta di Carmine Gazzanni > https://bit.ly/2HwDjirSommario > https://bit.ly/2ILWd46

Publiée par Left sur Vendredi 13 avril 2018

11 Settembre, 2012

Su Zagrebelsky, Simboli al potere

by gabriella

Attraversando il segno simbolico, si dischiude una dimensione supra-sensibile e supra-razionale dove gli esseri umani incontrano un mondo che è per loro realtà, come il divino e il diabolico, l’infinitamente grande o l’infinitamente piccolo, l’infinitamente alto o l’infinitamente profondo, la giustizia e l’ingiustizia, l’ordine e il caos, il potere e l’arbitrio, l’amore e l’odio, l’unione e la divisione, il puro e l’impuro, la riscossa e la rassegnazione, la pace e la guerra: realtà anch’essere, per chi le percepisce, le desidera o le teme, pur se appartenenti ad un altro “ordine di realtà” rispetto a quelle empiriche e razionali

Gustavo Zagrebelsky, Simboli al potere

Nelle democrazie ci sono molti che vorrebbero vedere il sopravvento di un mito chiuso. Alcuni sono isterici, come i membri della John Birch Society che vorrebbero imporre a tutti il loro mito della “way of life” americana, o come il querulo teutonismo che una generazione fa accolse con entusiasmo la formulazione della mitologia chiusa nazista del “Mito del ventesimo secolo” di Alfred Rosenberg….Poi ci sono gli intellettuali nostalgici, generalmente con forti tendenze religiose, che sono abbagliati dall’unità delle cultura medievale e vorrebbero assistere a una sorta di “ritorno” ad essa. Poi vengono le persone che sarebbero ben felici di far parte di quella sorta di élite che un mito chiuso produrrebbe. E ancora, ci sono gli individui che credono sinceramente nella democrazia e sono dell’opinione che la democrazia sia svantaggiata dal fatto di non avere un programma chiaro e indiscusso delle proprie credenze. Ma la democrazia difficilmente funziona come un mito chiuso…Una mitologia aperta non può avere un canone.

Northrop Frye, Cultura e miti del nostro tempo

 Il grande antropologo statunitense Eric R. Wolf (1923 – 1999) esortava i colleghi ad “esplorare il nesso tra idee e potere”, ad esaminare il modo in cui “le idee divengono monopolio dei gruppi di potere” e come “le vecchie idee sono riformulate alla luce della diversità di contesto, mentre le nuove idee sono presentate come verità ancestrali”. Per capire la storia ed il presente di una società, bisogna prima di tutto comprendere le conseguenze dell’esercizio del potere ed analizzare l’intersezione di cultura e potere nella storia del presente.

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10 Settembre, 2012

Alberto De Nicola, L’utopia neoliberale

by gabriella

Ogni crisi economica, qualora assuma dimensioni e profondità sistemiche, si presenta sempre come una crisi che interessa la razionalità di governo. Si è detto e ripetuto più volte che i governi stanno, quasi per paradosso, applicando ricette neoliberiste per far fronte alla stessa crisi del neoliberismo. Dietro questa apparente tautologia, questa accanita e forsennata insistenza, tuttavia, si nasconde un’incrinatura, una rottura, che riguarda direttamente il progetto neoliberale, i suoi modi di presentarsi come discorso egemonico e la sua forza di penetrare nel tessuto sociale, per ordinarlo. Per afferrare questo punto conviene fare un passo indietro e chiedersi quale fosse, se è mai esistita, un’utopia propria del neoliberalismo.


Utopia neoliberale

Karl Polanyi ha sostenuto che l’utopia del primo liberalismo economico si era presentata nell’idea dell’autoregolazione del mercato. La generalizzazione di questo principio organizzativo all’intera vita sociale, ha comportato effetti distruttivi tali da innescare una crisi di governo senza precedenti.

C’è da chiedersi quale sia stata, invece, l’utopia incarnata dentro il discorso neoliberale a partire dalla metà degli anni Settanta. Come ci ha mostrato Foucault, lo spostamento di asse dal principio regolatore dello scambio a quello della concorrenza, ha mutato radicalmente la grammatica della governamentalità liberale.

Si potrebbe affermare che l’utopia specifica del neoliberalismo non sia stata tanto quella dell’autoregolazione, bensì quella della completa de-proletarizzazione del corpo sociale. Quando si dice de-proletarizzazione qui non si intende affatto l’idea che per i neoliberali non ci dovessero essere disuguaglianze, né rapporti di subordinazione e dipendenza, ma che questi rapporti, queste differenze non debbano in alcun modo essere pensati come rapporti di sfruttamento. Questo il punto: lo Stato deve intervenire attivamente affinché la società sia segnata da disuguaglianze, anche radicali, condizione questa necessaria al funzionamento del principio della concorrenza di tutti con tutti. Tuttavia, il problema per i neoliberali rimane quello di far fuori l’opposizione tra capitale e lavoro.

Facendo di tutti gli individui dei capitalisti, istituendo un capitalismo popolare, si eliminano le tare sociali del capitalismo, indipendentemente dalla salarizzazione crescente nell’economia. Un salariato che sia a sua volta anche un capitalista, non è più un proletario. (Bilger, citato da Foucault in Nascita della biopolitica)

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9 Settembre, 2012

Paul Krugman, I governi non intendono affrontare la crisi ma smantellare i programmi sociali

by gabriella

Un articolo di Paul Krugman (Nobel 2008 per l’economia), uscito in questi giorni sul New York Times, spiega perché le politiche di austerity sono insensate dal punto di vista economico, ma utili a smantellare i programmi sociali su scala globale.

 

L’agenda dell’austerity

Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione.

Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione.

Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?

Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR).

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5 Settembre, 2012

Umberto Curi, Rivoluzione e riforma

by gabriella

Traggo dalle lezioni del caffé filosofico – ora tutte disponibili su YouTube e in gran parte riedite dalla Biblioteca di Repubblica – la precisazione storiografica di Umberto Curi sui concetti di rivoluzione e riforma. Di seguito, il video dell’intera lezione dedicata al Manifesto del partito comunista, alla visione degli oppressi e dell’oppressione di Marx e ad un profilo privato del filosofo.

Il termine rivoluzione entra nel lessico politico sostanzialmente tra la fine del Seicento e i primi decenni del Settecento con una provenienza molto specifica. Esso infatti non nasce in un contesto politico, ma originariamente in un contesto di carattere scientifico. Com’è noto, De revolutionibus orbium coelestium è il titolo dell’opera di Copernico comparsa nel 1543. Revolutio vuol dire, per l’appunto, la descrizione del movimento ricorsivo di un corpo celeste attorno a un altro corpo.

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5 Settembre, 2012

Tacheles Kritikdesign Berlin

by gabriella

Ieri la polizia berlinese ha sgomberato il Tacheles, il centro sociale più grande d’Europa, per oltre vent’anni officina creativa e Galleria d’arte moderna frequentate da giovani e artisti di tutto il mondo. Era già chiuso dal 22 marzo scorso, dopo l’intimazione dei nuovi proprietari, una banca, che nel 2008 aveva acquistato i locali occupati per farne un centro commerciale.

Nel 1990, un collettivo di artisti aveva occupato lo stabile di Oranienburger Strasse che ospitava un vecchio magazzino in demolizione e vi avevano creato un’officina, una mostra permanente, un pub, un cinema e uno spazio di performance artistiche che era divenuto il ritrovo dalla scena underground mondiale.

Lo avevo visitato due anni fa, in occasione di un viaggio a Berlino organizzato per una classe. La sua collocazione centrale, poco lontano dal Pergamon Museum, lo aveva messo sull’itinerario “convenzionale” (chiese, musei) che con le altre tre colleghe avevamo deciso di percorrere nella parte di pomeriggio che ci restava dopo la visita al Pergamon. Lungo la strada due colleghe si erano fermate per fare degli acquisti proprio nei pressi del suo mimetico ingresso: all’esterno il magazzino abbandonato era rimasto esattamente tale. Riconosciutolo dopo qualche attimo, spiegai alla giovane collega che era rimasta con me che entravo a visitare il “centro sociale” e lei si offrì di aspettare le altre insegnanti senza capire bene cosa dovessi visitare. L’aneddoto vuole che la giovane collega abbia riferito alle altre che «ero andata al centro commerciale ..», scambio su cui la malcapitata non smise di essere presa in giro per tutto il viaggio. « ci sembrava strano..» –dissero poi ridendo le colleghe.

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1 Settembre, 2012

Junct Rebellion, Le cinque tappe della distruzione dell’Università americana

by gabriella

La distruzione pianificata dell’Università e della scuola superiore americana quale strategia di punta del soft fascism. Un articolo che completa quello scritto da Chris Hedges, Perché gli Stati Uniti distruggono il loro sistema scolastico.

La storia è sempre più una gara
tra l’educazione e la catastrofe.

Orson Wells

The Homeless Adjunct

Qualche anno fa, Paul E. Lingenfelter (Univ. Michigan)  iniziò la sua relazione sul definanziamento della pubblica istruzione scrivendo:

Nel 1920 H.G. Wells scrisse: ‘La storia è sempre più una gara tra l’educazione e la catastrofe.’ Credo che fosse nel giusto. Niente è più importante per il futuro degli Stati Uniti e del mondo della diffusione e dell’efficacia dell’istruzione, in particolare dell’istruzione superiore. Io dico con particolare attenzione all’istruzione superiore, ma non perché la scuola dell’infanzia, la scuola elementare e quella secondaria siano meno importanti. Il successo ai vari livelli di istruzione dipende, ovviamente, da ciò che è accaduto prima. Ma bene o male, la qualità dell’istruzione post-secondaria e della ricerca influisce sulla qualità e l’efficacia dell’istruzione ad ogni livello.

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