Archive for 3 Gennaio, 2014

3 Gennaio, 2014

Luigi Zoja, L’eclissi dei padri

by gabriella

Il gesto di Ettore - Luigi ZojaTraggo da Le parole e le cose questa interessante intervista a Luigi Zoja sull’identità maschile di cui lo psicanalista afferma con forza la natura costruita, in opposizione a quella femminile che vorrebbe “naturale”, perché sviluppatasi filogeneticamente durante l’evoluzione della specie (va detto che lo studioso cita qui Margaret Mead che sostenne però la tesi contraria). La tesi, quasi etologica, dello studioso è dunque che l’identità maschile è un prezioso portato culturale della civiltà umana (ammesso che ne esista una) attualmente in declino, mentre quella femminile sarebbe più salda, perché legata a forme di istintualità corporea che la renderebbero meno volatile.

Per iniziare questa nostra conversazione sulle forme ambivalenti dell’identità maschile, le chiederei di descrivere anzitutto la qualità peculiare che la differenzia dalla sua identità opposta, quella femminile.

Premetto che la tesi che sosterrò deriva dalla lettura delle opere di grandi scienziate, su tutte l’antropologa americana Margaret Mead e poi Helen Fischer, nota antropologa contemporanea. In poche parole la mia tesi è questa: se cerchiamo di ricostruire a tutti i livelli zoologici dell’evoluzione cosa possa essere definito ereditato e istintivo, vale a dire appartenente a noi in quanto corporeità animale, e cosa sia invece elaborato culturalmente, risulta chiaro che esiste una continuità del naturale nel femminile – anche solo per la simbiosi tra la madre e il piccolo. L’elemento materno è istintuale prima che culturale; e si tratta di un elemento molto profondo, se pensiamo che comincia a svilupparsi con i mammiferi, che compaiono sulla Terra circa 250 milioni di anni fa. (Questa generalizzazione non vale, però, se osserviamo i volatili, dove è molto frequente un nucleo familiare monogamo che per molti aspetti anticipa il nostro).

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3 Gennaio, 2014

Pierluigi Pellini, Perché gli studi umanistici oggi

by gabriella

Un bell’intervento di Pierluigi Pellini sulla crisi della cultura umanistica e la debolezza della sua autodifesa, costretta a muoversi all’interno del paradigma dell’utile o di un suo immaginario superamento. Tratto da Le parole e le cose.

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Bibliothéque Nationale de France

bonheur de dames

Che i saperi umanistici non servano a niente non è tesi nuova: la sosteneva per esempio, in data 1883, un personaggio di Zola, il commerciante Octave Mouret, proprietario del grande magazzino che dà il titolo al tredicesimo dei Rougon-Macquart, Au Bonheur des dames.

La tirata di Mouret, rivolta nel romanzo a un amico d’infanzia, riscuote l’evidente plauso dell’autore (a suo tempo bocciato all’esame di maturità):

dovrai ammettere che i tuoi diplomi non ti hanno dato nulla di quello che cercavi… Lo sai che il mio caporeparto alle sete prenderà più di dodicimila franchi quest’anno? Proprio così! Un ragazzo di un’intelligenza lucida che si è accontentato di imparare a leggere, scrivere e far di conto… Da me i semplici commessi intascano dai tre ai quattromila franchi, più di quello che guadagni tu; oltretutto, la loro formazione è costata meno della tua e nessuno li ha lanciati nel mondo con la promessa di conquistarlo… Certo, il denaro non è tutto. Però, se devo scegliere tra i poveri diavoli infarciti di scienza che invadono le professioni liberali per fare la fame e i ragazzi pratici, armati per la vita, che conoscono a fondo il loro mestiere, no, non ho il minimo dubbio a schierarmi dalla parte di questi ragazzi, perché loro sì che l’hanno capita l’epoca in cui viviamo!

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