25 luglio 1943, caduta di Mussolini

by gabriella

Nel settantasettesimo anniversario della caduta di Mussolini, il ricordo dei fatti di INFOAut, e il discorso di Duccio Galimberti tenuto a Cuneo il giorno dopo. Qui il racconto di Emilio Gentile sul 25 luglio su Wikiradio.

Bologna, Piazza Maggiore (già Vittorio Emanuele): i cittadini esultano per la caduta del regime fascista

Bologna, Piazza Maggiore (già Vittorio Emanuele): i cittadini esultano per la caduta del regime fascista

[…] sì, la guerra continua, ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana.

Cuneo, 26 luglio 1943, Duccio Galimberti

E’ la notte tra il 24 ed il 25 Luglio 1943, quando Mussolini, alla seduta del Gran Consiglio del Fascismo prende la parola. Dice di aver convocato il Gran Consiglio non per discutere la situazione interna, ma bensì per informarlo della situazione bellica del momento e poter prendere una decisione a livello di strategia militare, da applicare in seguito allo sbarco degli alleati anglo-americani in Sicilia e alle difficoltà riscontrate.

Mussolini, che appare fiducioso e sicuro di sé, da tempo però è oggetto del malcontento di alcuni gerarchi, che trovano in Dino Grandi il loro portavoce. La situazione è grave e richiede decisioni chiare e capaci di creare una reale svolta nella guida del governo.  Terminata la relazione introduttiva, seguita da non poche critiche, prende la parola Grandi che si appresta a leggere il documento preparato e firmato dai dissidenti. Si tratta di un attacco diretto alla persona di Mussolini e di sfiducia nel suo operato, che si trova così con le spalle al muro, costretto ad ammettere tutta la sua colpevolezza.

Si apre la frattura: si parla di abolizione del regime totalitario, ritorno allo Statuto, ripristino del Parlamento e restituzione alla corona di tutte le sue prerogative. L’errore più grave che gli viene imputato è quello d’aver accettato la germanizzazione del partito e del paese, avviando l’Italia a intraprendere l’ascesa in guerra. Nel dibattito interviene anche Galeazzo Ciano. Mussolini viene quindi disarmato dagli stessi appartenti al PNF, tenta un ultimo misero tentativo di riabilitazione della sua immagine, ma ormai la sorte è certa, non può evitare la messa in votazione del documento. L’esito dello scrutinio avviene all’alba del 25 luglio ed è senza appello: diciannove sì contro sette no. I favorevoli sono: Grandi, Bottai, Federzoni, Ciano, De Vecchi, De Marsico, Albini, Acerbo, Alfieri, Marinelli, Pareschi, De Bono, Rossoni, Bastianini, Bignardi, De Stefani, Gottardi, Balella, Cianetti.

La StampaNonostante l’esito della votazione, Mussolini crede ancora di poter ottenere la fiducia del re; ma questi lo fa arrestare, mentre sale al potere come nuovo capo del governo Pietro Badoglio. La radio trasmette il seguente comunicato:

Sua Maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro e segretario di Stato, presentate da S.E. il Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato capo del governo, primo ministro e segretario di Stato S.E. il Cavaliere Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

Alle ore 22.45 il maresciallo legge alla radio un proclama alla nazione nella quale dichiara che “la guerra continua”. Vi è una confusione generale ma  il popolo non può fare a meno di esultare e riversarsi nelle piazze per festeggiare. Non può immaginare quello che di lì a poco accadrà.

Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da un commando nazista tedesco e trasportato in Germania dove darà vita alla Repubblica sociale italiana. Coloro che avevano firmato l’ordine del giorno Grandi sono processati e condannati a morte nel processo di Verona dell’8-10 gennaio 1944. I 5 arrestati (Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi), giudicati colpevoli d’alto tradimento, sono giustiziati mediante fucilazione.

Mussolini fece la storia degli avvenimenti militari gettando la colpa dei suoi crimini e delle sue sconfitte su tutti, salvo se stesso. La liberazione dal regime fu definitiva solamente con la sua uccisione il 28 Aprile del 1945. Ma quel 25 Luglio rimane nella memoria per la caduta definitiva del suo governo.

Il discorso di Duccio Galimberti – Cuneo, 26 luglio 1943

Il

Il discorso tenuto da Duccio Galimberti dal balcone del suo studio a Cuneo, il 26 luglio 1943

La ricostruzione del presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, Livio Berardo, del discorso tenuto da Duccio Galiberti il 26 luglio 1943, dopo la caduta di Mussolini. L’avvocato cuneese, ucciso diciassette mesi dopo dai fascisti, anticipava il disastro dell’8 settembre e il tradimento del re e delle corrotte élite che avevano convissuto con il fascismo, dando avvio alla lotta partigiana e alla guerra di liberazione.

Cittadini di Cuneo, italiani, la notizia che da tempo attendevamo è giunta. Mussolini è stato deposto… La situazione sociale e militare dell’Italia si era fatta insostenibile… Siamo arrivati a questo punto per una guerra assurda imposta al paese da una dittatura che ha distrutto non solo la vita pubblica della nostra patria ma anche la sua dignità e il suo onore.

Il 26 luglio 1943 Cuneo condivide con le mille città italiane le manifestazioni di giubilo per la caduta del fascismo. Conosce anche il fuoco repressivo di un esercito incaricato da Badoglio di mantenere l’ordine pubblico ad ogni costo. Non mancano i morti, anche se non si arriva a carneficine come a Bari o Reggio Emilia. Ciò che rende l’evento eccezionale, un punto di svolta della storia nazionale, è il discorso di Duccio Galimberti o meglio i suoi contenuti (qualche discorso fu tenuto da antifascisti in altre città, lo stesso Galimberti parlò alla folla nel pomeriggio del 26 in piazza Castello a Torino).

Mentre la stragrande maggioranza degli italiani pensa solo all’oggi e si illude che dalla guerra e dalla dittatura si possa uscire in modo indolore, Duccio guarda al futuro e sa che la libertà andrà riconquistata a caro prezzo. Mentre le vecchie classi dirigenti, ben rappresentate a Cuneo dall’ex ministro Marcello Soleri (a cui il 28 ottobre 1922 Vittorio Emanuele III aveva rifiutato la firma sul decreto di stato di assedio che avrebbe fermato la marcia su Roma delle camicie nere), si affidano al re e a Badoglio, raccomandando ordine e calma, Galimberti sa che il fascismo non può essere superato da chi ne ha favorito l’avvento al potere e condiviso per vent’anni le responsabilità.

Fra le molte lettere scambiate con compagni di partito [il partito d’azione], con leader antifascisti di varie città della provincia, con le autorità militari alle quali chiede con fermezza misura e buon senso nell’applicazione dello stato di assedio mancano appunti relativi al discorso del 26 luglio. A quanto risulta, l’intervento dal balcone dello studio fu improvvisato: così pure il comizio pomeridiano di Torino. Come ricostruire allora un testo quanto meno verosimile?

Ci è sembrata illuminante la lezione di Tucidide, intenzionato a scrivere un’opera duratura “per sempre” in un’epoca di prevalente comunicazione orale: vista l’impossibilità di ricordare puntualmente i discorsi ascoltati di persona (gran parte di quelli tenuti ad Atene fra il 431 e il 424 a. C.) o di verificare quelli riferiti da altri, perché tenuti ad Atene durante l’esilio dello storico oppure pronunciati in altre città, non gli rimase che adottare il criterio di argomentare ciò che era logico che il personaggio di volta in volta dicesse in quelle date circostanze. Fortunatamente per Galimberti abbiamo qualche traccia in più: i ricordi scritti di Ettore Rosa (e Antonino Repaci), di Adolfo Ruata e Nuto Revelli, quelli di testimoni come Nello Streri, concordi nel focalizzare il nocciolo essenziale dell’allocuzione.

Un documento autografo di sei foglietti, scritto a matita e nervosamente corretto e ricorretto, posteriore di una giornata, forse anche di meno, come si può dedurre dai riferimenti interni, fa un bilancio delle manifestazioni popolari del 26 luglio e indica al PdA i nuovi obiettivi politici. Dunque sul contenuto generale del discorso di Duccio non esistono molti dubbi. Problemi e perplessità riguardavano semmai la chiave stilistica da adottare. Duccio scriveva ancora “cogli” e “pel” anziché “con gli” e “per il”. Dubito che facesse altrettanto in un discorso pronunciato a braccio [questi i criteri della ricostruzione].

Riproponiamo qui di seguito il celebre discorso di Duccio Galimberti, pronunciato a Cuneo, in piazza Vittorio Emanuele II, il mattino del 26 luglio 1943

Cittadini di Cuneo, Italiani,

la notizia che da tanto tempo attendevamo è giunta. Mussolini è stato deposto o, come dice l’eufemistico comunicato di Sua Maestà il Re, ha rassegnato le dimissioni. Da giorni aspettavamo qualcosa del genere. La situazione militare e sociale dell’Italia si era fatta insostenibile. Ogni giorno nuove sconfitte si aggiungevano a quelle patite sul fronte africano e su quello russo. Metà della Sicilia è stata occupata dagli Angloamericani. Ogni giorno centinaia di soldati italiani cadono in combattimento e tanti civili muoiono sotto i bombardamenti. Molte città sono colme di macerie. Dove non si muore per armi, si rischia di morire di fame. Manca il pane, manca l’indispensabile per vivere. Siamo arrivati a questo punto per una guerra assurda imposta al paese da una dittatura che ha distrutto non solo la vita pubblica della nostra patria, ma anche la sua dignità e il suo onore.

L’iniziativa del Re è stata accolta con tripudio dal popolo italiano. Ovunque la folla festante invade le piazze, abbatte i simboli del regime, riscopre la gioia del parlare di politica, di lanciare slogan senza il terrore della denuncia e dell’arresto. Tutti noi partecipiamo a questo sentimento. Tutti noi viviamo il senso di liberazione che la caduta della dittatura suscita.

Ma non lasciamoci prendere dall’entusiasmo ingenuo. La deposizione di Mussolini non riporta indietro le lancette della storia, come se vent’anni di regime non fossero mai esistiti e l’Italia potesse riavere di colpo libertà, pace e benessere.

Il Duce non è stato travolto da una rivoluzione popolare, ma da una manovra di palazzo.

Anche noi sentiamo gridare “Viva il Re”, “Viva Badoglio”, sappiamo però che la rottura fra il Re e Mussolini è giunta molto tardi, dopoché tanto sangue italiano è stato vanamente versato per soddisfare le ambizioni sfrenate di un dittatore. Ancor più siamo preoccupati per gli obiettivi che intende perseguire il nuovo Governo e per i metodi con cui vuole agire. Il maresciallo Badoglio, ora primo ministro, nel suo messaggio alla nazione ha dichiarato: “La guerra continua a fianco dell’alleato germanico. L’Italia mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni” e ha aggiunto “chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito”.

Ora io mi chiedo: come può continuare la guerra a fianco dei tedeschi e come possono al contempo le millenarie, o anche solo secolari, tradizioni nazionali essere rispettate? Il balcone da cui vi parlo, affiancato da tanti amici, sinceri patrioti, di diverso orientamento politico, è quello stesso dal quale nel novembre 1918 mio padre assieme con voi cuneesi salutò la battaglia di Vittorio Veneto, la sconfitta degli Imperi centrali e, con la liberazione di Trento e Trieste, il compimento del Risorgimento. E’ contro il dominio austrogermanico che il popolo italiano ha dovuto combattere per conquistare la sua indipendenza. E allora, se crediamo nel destino e nel senso della storia dell’Italia, noi ribattiamo che, sì, la guerra continua, ma fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana.

Ma forse, potrebbe obiettare qualcuno, il Re e Badoglio agiscono in modo contraddittorio e occulto perché pensano di poter gradualmente uscire dal conflitto senza che l’Italia debba patire danni ulteriori.

Come pensano di poter ingannare i tedeschi? Da quando gli Angloamericani sono sbarcati in Sicilia, molte Divisioni tedesche hanno attraversato le Alpi e non tutte si sono dirette in Sicilia a combattere, ma hanno preso posizione in altri punti strategici della penisola. L’invasione dell’Italia da parte germanica è già cominciata. Per questo non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani. Il Re e Badoglio con le loro mosse miopi e grette rischiano di consegnarci indifesi e impreparati nelle mani di un feroce occupante. Rischiano anche di far risorgere o lasciar vivere più rigoglioso di prima il fascismo, anche se orfano del Duce. La Milizia è stata messa al sicuro, inserendola nell’Esercito: un riconoscimento mai ottenuto neppure negli anni di maggior forza del regime. I fascisti possono continuare a camminare impettiti per le strade e esibire il loro potere. Gli antifascisti che in questi anni hanno osato sfidare il carcere o il confino, restano in prigione, e molti altri sono destinati a raggiungerli in quei luoghi di sofferenza.

Mentre io parlo, le autorità militari stanno traducendo in bandi le direttive di Badoglio e del generale Roatta, che impongono il coprifuoco, proibiscono ogni manifestazione e minacciano il ricorso alle armi contro i civili.

Sono ordini spietati che vengono motivati con le esigenze di guerra.

Ma la loro guerra è incompatibile con la volontà di liberazione e di rinnovamento del paese. L’Italia vuole liberarsi dal giogo della dittatura e vuole anche farla finita con la barbarie nazista che tante rovine ha portato all’Europa. La guerra continuerà, perché i tedeschi e i loro complici fascisti non rinunceranno a perdere le posizioni di forza possedute in Italia. La guerra dovrà quindi continuare, ma non sarà quella di cui parla il maresciallo Badoglio: sarà guerra di Liberazione contro i tedeschi e i fascisti.

Il prezzo da pagare sarà alto e andrà ad aggiungersi a quelli già pagati dall’inizio della guerra, anzi i patrioti saranno costretti a prendere le armi non solo contro i tedeschi, ma anche contro i fascisti. Sarà una pena atroce, combattere contro degli italiani, ma inevitabile. Pensate: come è possibile che una nazione la quale per vent’anni ha sopportato le continue violazioni dei diritti e della dignità umana da parte di una dittatura, fino alla proclamazione delle guerre di aggressione, in poche ore ne venga liberata dall’alto da chi fino a ieri spartiva il potere con Mussolini oppure da un esercito straniero, sia pure inviato da paesi democratici?

No, il Risorgimento non sarebbe stato possibile senza il sangue versato dai cospiratori di Mazzini, senza l’eroismo e l’audacia di Garibaldi. Solo una libera scelta, compiuta dal basso, di massa, può riscattare gli Italiani dalla vergogna di vent’anni di fascismo.

Sarà una guerra popolare e nazionale; dunque, combattuta volontariamente dal popolo preparato e guidato da chi è consapevole della gravità del momento storico. Una guerra che esige, accetta ed anzi cerca, il sacrificio non mai è sterile, mai. Soltanto essa, tramontate le menzogne e le illusioni del regime, può creare i nuovi valori morali di cui l’Italia ha bisogno. Soltanto essa può garantire all’Italia quella vera pace a cui aneliamo, contribuendo alla costruzione di un nuovo ordine europeo democratico e confederale.

Non potrà essere una parte politica sola a costruire o ricostruire quei valori. Proprio qui nel mio studio, si sono or ora incontrati esponenti dei Partiti liberale, socialista e comunista, della Democrazia Cristiana e del Partito d’Azione. Assieme abbiamo costituito un Comitato provinciale provvisorio che lancerà un appello alla popolazione. Chiediamo giustizia, non vendetta. Vogliamo che le insegne fasciste siano rimosse anche dai luoghi presidiati dalle forze militari, al gen. Vasarri comandante di zona avanzeremo questa richiesta e inoltre chiederemo che le direttive sull’ordine pubblico siano applicate con prudenza e buon senso.

Dodici ore fa, dopo vent’anni di oppressione, abbiamo riconquistato la libertà. Non vogliamo separarcene mai più.

W l’Italia, W la libertà.

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