Alain Garrigou, La produzione delle convinzioni politiche

by gabriella

Questo articolo di Alain Garrigou sulla formazione delle credenze e convinzioni politiche è uscito su Le Monde Diplomatique il 27 marzo 2012 (traduzione dal francese di José F. Padova). L’autore vi propone una riflessione sugli esiti “produttori di realtà” del Teorema di Thomas e sulle loro dinamiche da “legge di potenza”, per effetto delle quali persone e fenomeni percepiti come vincenti vincono effettivamente le competizioni.

Il teorema di Thomas [William I. Thomas, 1863-1947] ha quella semplicità sconcertante che rischia di lasciarci dubbiosi e increduli:
«Quando le persone considerano certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze» (1).

Per metterne in luce la portata il sociologo Robert K. Merton evocava la disavventura della Last National Bank quando il suo direttore Cartwright Millingville, reso curioso da un’atmosfera inconsueta [regnante in banca], scopriva che i suoi clienti, messi in allarme dalle voci di una sua insolvenza, avevano appena ritirato i loro averi, provocando così il fallimento della banca stessa (2). Detto con altre parole, non era l’insolvenza che provocava il fallimento, ma erano le voci che creavano l’insolvenza. La crisi del 1929 offriva l’immagine di un effetto di credenza mediante la profezia auto-avverantesi. Quello della finanza è, più di qualunque altro settore, il brodo di coltura di questi fenomeni, come una volta di più l’ha dimostrato la crisi dell’autunno 2008.
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William Isaac Thomas (1863 – 1947)

Quanti commentatori non hanno così messo in rilievo la cecità degli economisti, incapaci di prevedere la crisi? Uno di essi, Nouriel Roubini, vi ha perfino guadagnato un’aura d’indovino, perché sarebbe stato il solo a prevederla. Senza dubbio vi è stato reale accecamento presso un certo numero di neoliberisti dottrinali, i quali credono sempre che il mercato autoregolandosi escluda necessariamente ogni tipo di crisi. Essi vi si agganciano come fanno quelle sette millenariste che aspettano la fine del mondo e, non vedendola arrivare, ne posticipano la scadenza per non doversi ricredere. Tuttavia, malgrado le apparenze, non tutti gli economisti sono così stupidi.

Alcuni vedevano molto bene avvicinarsi la crisi finanziaria innescata, fra le altre cause, dai subprime. Non glielo si chiedeva e, se sollecitati dai media, non lo dicevano pubblicamente ma dicevano il contrario nelle conversazioni private. Talvolta precisandone il calendario e i meccanismi. In pubblico essi annunciavano prospettive brillanti e celebravano la fiducia. Gli economisti sanno bene che in pubblico la parola può operare secondo il teorema di Thomas e in particolare come profezia auto-realizzatrice. Essi non potevano parlare francamente per paura, per compiacere ai media e ai loro proprietari o ancora perché ricevono remunerazioni da imprese private (3). I giornalisti specialisti in economia, poi, da parte loro, rischiavano molto più, vale a dire il loro posto di lavoro, senza che si sappia se, confessando a cose fatte di non aver potuto parlarne pubblicamente (4), essi cercassero di correggere una spiacevole impressione o di giustificare la loro autocensura. Nella sfera delle perizie di carattere economico imperversa il conflitto d’interessi, una forma di corruzione difficile da combattere, in quanto gli esperti tengono bene in conto il teorema di Thomas. 
William Thomas giovane

William Thomas giovane

La gamma dei meccanismi operanti sul convincimento è molto ampia, come testimoniano le conseguenze sui titoli degli Stati delle classificazioni fatte dalle agenzie di rating circa il livello dei tassi d’interesse. L’economia non ne è il solo terreno d’azione. La “classificazione di Shanghai” delle università mondiali deve proprio a essi la sua notorietà. All’origine strumento per uso domestico diretto a orientare gli studenti cinesi, è stato promosso a classificazione internazionale prima di far nascere altre classificazioni, giustificate dalla critica ma anche dall’obbligo di non essere sottoposti a una classificazione straniera. Basta ancora osservare l’interesse dei professionisti della sanità per i palmarès [o albi d’oro] degli ospedali, che come si sa hanno effetto sulla preferenza accordata loro dai pazienti e quindi sulla loro redditività. Nulla di veramente nuovo, se ci si riferisce per esempio alla classificazione del 1855 sui vini di Bordeaux, inizialmente ideata per la Fiera universale del 1855, ma che serve ancor oggi come riferimento per i consumatori e determina in parte le quotazioni [dei vini stessi].Oggi la produzione di numeri va ad aggiungersi a questi meccanismi di oggettivazione, attraverso i quali la convinzione dà forma alla sua consistenza. La loro apparente esattezza e la fede scientistica contribuiscono effettivamente alla loro forza sociale. Comprendendolo intuitivamente, i governanti sorvegliano le statistiche ufficiali – sulla disoccupazione, i prezzi, il debito, ecc. – talora con la tentazione di controllarle. A forza di manipolazioni opportuniste, nell’opinione pubblica si è alla fine diffuso un certo scetticismo. Il successo dei sondaggi si spiega ampiamente con la loro capacità, anche se limitata, perfino condizionale, di modellare le convinzioni.

Profezie

Thomas i sondaggisti si sono sempre rifiutati di ammettere che i sondaggi hanno influenza sul voto e aggirano di traverso la competizione politica leale. Oggi, tuttavia, ammettono volentieri di pesare sulla selezione dei candidati alle elezioni. Senza dubbio è difficile negare troppo brutalmente le evidenze. E poi, la tesi dell’inanità non è per nulla sostenibile: se i sondaggi non sono altro che strumenti di conoscenza senza effetti sulla realtà, a che servirebbe farli? La passione della conoscenza?
In ogni caso, tutto questo non convincerebbe per niente coloro che li pagano, i dirigenti politici e le grandi società che hanno tutto fuorché non scopi intellettuali.La domanda era anche mal posta perché, seguendo una meschina concezione positivista, si riteneva che la conoscenza del reale non avesse su di esso alcun effetto. Tutta l’esperienza accumulata nel mondo lo smentisce. I numeri dei sondaggi sono senz’altro meno brutalmente efficaci delle note di rating diffuse da Standard & Poor’s o da Moody’s, ma sono attesi, temuti o sperati.Al punto che a volte il timore non è molto distante dal diventare un ricatto contro i dirigenti politici. Perché [fare] tanti sondaggi, se non per agire sulla realtà? Senza saperlo, i fruitori dei sondaggi agiscono secondo un sapere pratico che trasforma la condizione del teorema di Thomas: il teorema diventa un precetto.Tutto questo non differisce per niente dal passaggio da scienza a tecnologia, poiché quest’ultima utilizza scoperte scientifiche, per esempio le proprietà di una molecola, per mettere a punto tecniche di utilizzo delle proprietà di quelle molecole. Conoscere porta allora a cercare di provocare effetti. Il parallelo con le scienze naturali si ferma qui. In effetti, i convincimenti non sono proprietà chimiche.
Nell’incerto universo della politica, gli spin doctor si presentano come stregoni che dispongono di una specie di martingala [http://www.sportytrader.it/martingala.htm] o capacità di raddoppiare la posta in gioco. Occorre certamente che credano in ciò che vendono, è necessario tanto più in quanto vendono indicazioni, perfino trucchi, fondati su un poco di scienza e su molta intuizione. Essi possono tanto meno dubitare quanti più motivi hanno per farlo. Nel loro spazio di concorrenza essere sicuri [di sé] è una qualità indispensabile. «La formula di Thomas», così chiameremo il dispositivo performativo che mira a creare l’opinione [pubblica] enunciando [la formula stessa], in modo giusto o errato, ma sempre allo scopo, dicendolo, di fare accadere ciò che si desidera, e allora si parla di profezia autocreativa, o il contrario di ciò che si dice, e si parla allora di profezia autodistruttiva.Nel primo caso i sondaggi performativi cercano di attivare l’effetto bandwagon  (prendere partito per il vincente, chiamato anche l’effetto del gregge] annunciando il progresso di un candidato per incrementarlo o perfino per crearlo ex novo. Essi fanno affidamento sulla voglia di credere alla buone notizie e, annunciandole, contribuiscono a produrle. Sia i candidati che gli elettori preferiscono la prospettiva della vittoria. Inversamente, mostrare la flessione di un candidato rischia di provocarla o amplificarla spingendo gli elettori a interrogarsi sulla pertinenza di un loro sostegno diretto a un candidato abbandonato da altri e con sempre meno chance di vincere. Probabilmente è proprio questa dinamica di fuggifuggi che i candidati temono di più. Non vi è meccanica univoca quando un’evoluzione negativa, come quella dei voti di scarto, serve al contrario a mobilitare le energie intorno al candidato minacciato secondo l’effetto di underdog [detto anche del perdente]. Come potrebbe la politica sfuggire a questi timori e a queste speranze di approfittare dei sondaggi – o almeno di non esserne danneggiati? Si possono immaginare altri obiettivi per quei sondaggi che negli Stati Uniti sono chiamati push polls e che non hanno bisogno di essere tanto grossolani come i loro modelli, anche se addirittura presi come sotterfugi. È sufficiente che siano indirizzati a modificare la realtà.

 

L’intervento dei sondaggisti

Molto antica, la strategia performativa va a prestito dall’arte divinatoria. I calcoli politici riempiono la storia degli oracoli dell’antichità quando, tutt’attorno al Mediterraneo e in altri continenti, furono le poste delle lotte politiche e spesso di manovre corruttive. Si narra che gli aruspici, i quali leggevano nelle viscere degli animali sacrificati, non potevano incontrarsi senza scoppiare in grandi risate. Si può avere dubbi su questa ironia. Oggi, i sondaggisti ne sono privi. In qualche decennio essi hanno aggiunto a questo mestiere quelli di consiglieri politici e di commentatori. Questo accumulo ha fatto della loro una professione pericolosa. Essi non fanno più soltanto sondaggi, ma li commentano ai giornalisti o ai cittadini. Le cose vanno più veloci. Forti della famigliarità derivante da questa collaborazione, sono essi stessi diventati commentatori patentati della politica. Talvolta spiegano di saper mantenere bene chiusa una paratia stagna fra i ruoli, insomma che bisogna fidarsi di loro.[…]

Fare dire e fare credere

Durante i primi anni del quinquennio i sondaggi hanno martellato l’idea di una assenza d’alternative, facendo sondaggi sulle intenzioni di voto che ponevano in testa il presidente in carica davanti a non-candidati e non-presidenti della Repubblica per una scadenza elettorale ancora lontana; ripetendo dall’8 giugno 2007 in poi un’altra domanda obliqua come: «Secondo voi l’opposizione se fosse al potere agirebbe meglio dell’attuale governo?» (barometro Ifop Paris-Match), le cui risposte sono inevitabilmente negative, poiché aggregano gli avversari e gli scettici. In occasione di una conferenza-stampa (14 dicembre 2009), Nicolas Sarkozy ha evocato significativamente una domanda di sondaggio per suggerire di chiedere:
«E se ci fosse stato qualcun altro in quel posto, avrebbe fatto meglio?».
La domanda non offre una scelta simmetrica: è difficile preferire un«altro», misterioso e vagamente minaccioso, alla persona che ha un nome e che, nel caso specifico, pone la domanda.Come definire il sistema di persuasione che mira a produrre l’adesione?
Quando lo storytelling, questa arte di fabbricare storie delle quali mal si conosce l’effetto, non è che una sfaccettatura del dispositivo (7), si tratta di una combinazione più complessa e potente che associa il potere, la stampa e i sondaggi. Lo storytelling suggerisce effettivamente una spiegazione magica: le buone storie sarebbero efficaci perché semplici e si indirizzerebbero alle emozioni. Per applicare il metodo i candidati
«tentano di svelarsi, di creare un’intimità e di fare confidenze al loro uditorio per apparire in una relazione di famigliarità […], utilizzano il pathos per rivolgersi alla sensibilità dell’uditorio e giocare sul registro delle passioni e dei sentimenti (8)».
La seduzione esercitata dalle storie semplici e famigliari si rivolge soprattutto a cittadini lontani dalla sfera politica, i quali la percepiscono precisamente secondo gli schemi meno politici (9). Così questo storytelling si indirizza verso gli elettori più spoliticizzati per vincere le elezioni.Ma gli elettori, spoliticizzati o no, come conoscerli e anche sapere che cosa raccontare loro, se non li si divide in segmenti ai quali rivolgere discorsi ad hoc? Occorre quindi indagare su di essi, sapere chi sono, quanti sono e a che cosa essi sono più o meno sensibili.
Hanno anche prosperato i metodi qualitativi, i focus group o i verbatim estratti da quelle interviste. Ora, sono le stesse persone quelle che vendono i sondaggi e le interviste qualitative. Poi bisogna concepire proposte politiche che si indirizzino meno alle emozioni, che è difficile negare anche se sono allo stesso tempo semplicistiche e tanto poco esplicative quanto lo è, secondo il medico di Molière, la virtù soporifera per spiegare gli effetti dell’oppio. Occorre ancora tentare di modellare l’opinione [pubblica].È possibile distinguere qualcuno dei meccanismi mediante i quali i sondaggi influenzano i convincimenti e, condizionatamente, la realtà secondo la formula di Thomas. Un primo procedimento passa quasi inosservato grazie alla sua banalità: quando i sondaggi sulle intenzioni di voto ripetono a sazietà, molti anni prima, che il favorito di un’elezione presidenziale è il candidato uscente, tendono a trasformare la profezia in evidenza. Non basta affermare con sicurezza che è assurdo misurare intenzioni di voto tanto lontane dalla scadenza, a forza di ragionamenti logici sull’esistenza stessa di intenzioni di voto, a forza di esempi precedenti che dimostrano quanto questi sondaggi siano smentiti all’avvicinarsi della scadenza e perfino a forza di informazioni riservate da parte dei sondaggisti che conoscono bene la mancanza di valore di ciò che vendono. Niente da fare! E allora si sa che un obiettivo politico è raggiunto: produrre la convinzione.Molto tempo prima dell’elezione presidenziale del 2012 il convincimento era stato tenuto vivo a colpi di titoloni, come quello ripetitivo
«Sarkozy largamente in testa al primo turno nell’ipotesi di una [elezione] presidenziale» (OpinionWay-LeFigaro-LCI, 20 giugno 2009).
Tale fu lo scenario che si potrebbe avvicinare al dogma dei neoliberisti: There is no alternative (TINA). […]

Note [1] Thomas, W. I. and Thomas D. S., « The Child in America : Behavior problems and programs », Knopf, 1928, p. 572. [2] Robert K. Merton, Eléments de méthode et de théorie sociologique, Plon, Paris, 1962. [3] Renaud Lambert, « Des économistes à gages », Le Monde diplomatique, mars 2012. [4] Per esempio, Jean-Marc Sylvestre. Allora era necessario giustificare la sorprendente storia della crisi finanziaria, pubblicata soltanto due mesi dopo il suo esplodere pubblico. Dati i termini temporali di pubblicazione, si immaginano le svolte e le correzioni all’ultimo istante che si sono dovute fare. Una giustificazione estrema non era meno necessaria, dopo che gli autori ebbero a lungo vantato le virtù del mercato che si regola da sé. Cf. Olivier Pastré, Jean-Marc Sylvestre, Le vrai roman de la crise financière, Perrin, Paris, novembre 2008. [5] Jean-Marc Lech, Sondages privés, Stock, Paris, 2001, p. 182-183. [6Cf. Rémi Lefebvre, « Partis politiques, espèce menacée », Le Monde diplomatique, mai 2010 et La société des socialistes. Le PS aujourd’hui, Editions du Croquant, Bellecombe-en-Bauges, 2006. [7] Christian Salmon, « Une machine à fabriquer des histoiresLe Monde diplomatique, novembre 2006 et Storytelling, La machine à fabriquer des histoires et à formater les esprits, La Découverte, Paris, 2007. [8] Virginie Martin, « Des émotions au service d’une stratégie de séduction », Revue française de marketing, décembre 2009. [9] Pierre Bourdieu, La Distinction. Critique sociale du jugement, Minuit, Paris, 1979 et Daniel Gaxie, Le Cens caché, Seuil, Paris, 1978.

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