Smartphone, o della connessione perpetua

by gabriella

Un corsivo baconiano de La Stampa dedicato al decennale dell’iPhone, un articolo dedicato allo smartphone walking e un video dedicato alla schiavitù dell’always on.

 

Alberto Mattioli, Così nacque l’homo-smartphone, schiavo della connessione perpetua

La tecnologia è sempre un progresso, ma double face [vedi l’uso baconiano del mito di Dedalo, nota mia]. l suo destino è quello di risolvere dei problemi creandone dei nuovi. Giorgio Stephenson inventa il treno e, insieme, i disastri ferroviari. Nasce la televisione, e se ne appropria Barbara D’Urso. Costruiscono gli scooter, e Alessandro Di Battista ci sale sopra per comiziare. Così, il decennale dell’iPhone non è solo una festa. Non sono tutt’oro quei pixel che luccicano. Certo, essere connessi a Internet è utile; sempre, magari, no. Fra mail, Facebook, WhatsApp, Twitter, Messenger, Instagram, Pinterest e via cliccando non c’è un attimo di pace. La connessione full time dà dipendenza (e talvolta anche un po’ alla testa).

«O maladetto, o abominoso ordigno», chiamava Ariosto l’archibugio, perché permetteva a un umile fantaccino di abbattere a distanza uno splendido cavaliere. Allo stesso modo, l’iPhone consente al commercialista di abbatterti spedendoti a tradimento l’F24 mentre stai facendo e pensando tutt’altro, ma quando salta fuori l’ansiogeno numeretto bianco su sfondo rosso sull’iconcina della mail proprio non resisti, e devi leggere. Tutti ci portiamo in tasca l’ufficio, e dire che di regola non vediamo l’ora di uscirne.

È ormai impossibile sottrarsi alla longa manus del web, strappare la rete, sospendere questo perpetuo cicaleccio.

Le città sono invase da nuove figure mitologiche. Quella classica italiana prevedeva la parte di sopra uomo e quella sotto poltrona, come i democristiani di un tempo e i loro derivati attuali. Oggi si aggiunge l’homo-smartphonicus con gli arti superiori metà braccio e metà iPhone, che mai viene staccato dagli occhi e, si direbbe, dal cuore (meraviglioso il tizio incrociato oggi nella metro di Milano, fornito anche di Apple Watch: guardava l’ora sul telefonino e le mail sull’orologio, ma tanto era preso che ha saltato la sua fermata).

La schiavitù, com’è noto, diventa irreversibile quando lo schiavo inizia ad amare le sue catene e a non poterne più fare a meno. È esattamente quel che capita al consumatore tecnologico tipo, che va in estasi ogni qual volta, sei mesi o giù di lì, l’Apple sforna un nuovo modello, cioè dà i numeri (iPhone 5, 6, 7) o aggiunge una «s» o «plus» a quelli già esistenti, in un vertiginoso aumento di funzioni sempre più sofisticate e generalmente sempre più inutili che scatenano le bramosie di possesso, con le pittoresche lunghe code fuori dai negozi monomarca deplorate dai moralisti sui giornali.

Ma già la mela morsicata ha precedenti poco raccomandabili nel passato remoto dell’umanità. E poi l’obsolescenza programmata dei prodotti, questa tecnologia che invecchia alla velocità della luce e dev’essere continuamente rimpiazzata ricordano quella «merde tartinée» che, secondo Voltaire, Dio servì nel deserto al profeta Ezechiele (il quale si precipitò subito a fotografarla e a postarla su Facebook, guardate il nuovo piatto etnico, e giù like). Siamo su una bicicletta che sta in piedi solo se pedaliamo sempre più veloci. Sperando di non finire, un brutto giorno, con una parte anatomica poco nobile per terra. Anche se la prima reazione sarebbe quella di controllare subito che il telefonino sia sano e salvo.

Così è ammissibile che possano scattare delle reazioni reazionarie modello «si stava meglio quando si stava peggio». E si finisce, senza ammetterlo, per invidiare certe prozie degasperiane nella provincia più profonda che l’iPhone non l’hanno, anzi non hanno nemmeno il telefonino, e tengono tuttora gli scarsi rapporti con il mondo circostante con il telefono fisso, magari, invidia massima, con quello a disco grigio. Sicuramente meno connesse, ma forse più felici.

 

Roberto Caccia, Gli zombie degli smartphone sono tra noi, resistere è futile

Un italiano su due è affetto dalla sindrome da smartphone walking. Testa china sul telefonino, occhi sul display e mente altrove durante le passeggiate: ecco a voi gli zombie 2.0.

no need to fear a zombie apocalypse

Questo è ciò che emerge dalla ricerca / esperimento sociale di Found!, che ha utilizzato oltre 5000 segnalazioni provenienti dagli osservatori sparsi per le 5 maggiori città italiane e che ha coinvolto 25 esperti tra psichiatri e sociologi.

Secondo lo studio i più distratti sono i milanesi (61%) seguiti a ruota dagli abitanti che passeggiano per le vie di Roma (58%). I peggiori di tutti sono i manager (65%) e gli imprenditori (62%) tra i 30 e i 45 anni, sempre intenti a dare un’occhiata a mail e documenti importanti. Dopo di loro i giovani studenti (58%) tra i 16 e i 29 anni.

Le statistiche proseguono con una casistica che sarebbe tutta da ridere, se non fosse che il problema esiste davvero. Il 65% degli intervistati ha ammesso di essersi scontrato almeno una volta con un pedone intento a scorrere il proprio diario di Facebook, mentre il 41% è rimasto bloccato sulla metro perché un passeggero si è fermato davanti all’ingresso del convoglio per mettere un like su Instagram.

Non so se il campione di osservatori di Found! sia stato particolarmente sfortunato, ma sono statistiche che purtroppo non sorprendono. Personalmente non mi è mai capitato nulla del genere, ma sono il primo ad ammettere che ogni tanto cammino in giro distrattamente, usando lo smartphone per intrattenermi durante passeggiate in luoghi che conosco a memoria e giuro che Pokémon Go non c’entra nulla… Forse. Diciamo che mi distraggo facilmente e m’intrattengo ancor più facilmente.

dratini

Tornando seri per un momento è doveroso segnalare che le abitudini segnalate nelle righe precedenti possono sfociare in comportamenti molto più pericolosi. Se scontrandovi con un passante potete rimediare un’occhiataccia, attraversando i binari potete rimetterci la pelle. Secondo i dati diffusi da Polfer le vittime da attraversamento sui binari sono aumentate del 33% e la “distrazione tecnologica” riconducibile agli smartphone è una delle indiziate principali di questa triste impennata delle statistiche.

Il problema non è diffuso solo in Italia e mentre in Ontario (Canada) si pensa di vietare l’uso dei “dispositivi wireless” su strade e marciapiedi nel resto del mondo si sta ancora cercando di capire il fenomeno e di definirne i contorni per individuare una soluzione.

Nel 2015, ad Antwerp (Belgio) hanno creato corsie separate dei marciapiedi per chi utilizza uno smartphone. Un’iniziativa temporanea (copiata anche in giro per il mondo) nata dalla mente di un imprenditore locale, proprietario di un negozio di smartphone, che ha fatto molto discutere all’epoca.

Texting no texting lanes

Ora, l’uso di questo sistema in giro per il mondo potrebbe creare più problemi che benefici. Per prima cosa, i trasgressori come dovrebbero essere puniti? Linciaggio da parte della folla? Multe salate? Lancio dello smartphone nello specchio d’acqua più vicino? In secondo luogo, come si dovrebbe gestire la questione nei vari paesi? Nel Regno Unito fresco di #BREXIT bisognerebbe invertire il senso di marcia? E con i rondò alla francese, come la mettiamo? Infine, come potremmo fare nelle strade italiane, dove si è già fortunati ad avere un marciapiede?

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