Santino Spinelli, Rom, genti libere

by gabriella

L’intervista de La Repubblica a Santino Spinelli in occasione della pubblicazione di Rom, genti libere.

Alzare il velo del pregiudizio è necessario per conoscere realtà di cui spesso non sappiamo nulla se non quel poco che appare, deformato, dagli stereotipi e dalle mezze verità. Utile per svelare tutto quello che è doveroso sapere sui Rom, è appena uscito il libro di Santino Spinelli, in arte Alexian, un italiano Rom, musicista e compositore, poeta, attore e saggista, oltre che docente di Lingue e processi interculturali all’Università di Chieti. Il suo Rom, genti libere, storia arte e cultura di un popolo misconosciuto, (Dalai editore) è il frutto di ben venticinque anni di studi e ricerche ed è un libro illuminante ma non certo facile, anzi per certi versi perfino ruvido, severo nei confronti di chi identifica grossolanamente i Rom con gli zingari e ambizioso nel suo proposito di restituire l’identità “invisibile” alla sua gente.

Un popolo da sempre vittima di pregiudizi e sospetti, oggetto di persecuzioni (furono 500.000 i Rom e i Sinti massacrati dai nazisti) e invece una delle più antiche e dinamiche minoranze del Vecchio continente, con la sua cultura trasnazionale, distribuita ovunque nel mondo. Eppure c’è da scommettere che i tanti adepti di quella romfobia dura a morire che trasforma gli errori di alcuni in responsabilità di tutti e che identifica i Rom con l’emarginazione e i campi nomadi, neanche sanno che, dalla popolazione romanì, discende un piccolo esercito di personaggi amati e famosi della storia, delle professioni e delle arti. Ne fanno parte (e sono solo alcuni dei nomi di una lunga lista) l’attrice Rita Hayworth e suo nonno Antonio Cansino, il creatore della danza spagnola moderna, gli attori Charlie Chaplin (fu lui a rivelare che  sua nonna, in quanto “zingara”, Romanichal della famiglia degli Smiths, era la vergogna della famiglia), Michael Caine e Yul Brynner. E il danzatore Joaquim Cortès oltre a innumerevoli gruppi musicali e a campioni sportivi, artisti, uomini e donne della politica europea, fino al premio Nobel per la Medicina nel 1920, il Rom danese Schack A. Steenberg Krogh.

Ma Rom genti libere non si occupa certo solo di personaggi famosi, ricostruisce meticolosamente la storia comune del popolo Rom, dalla schiavitù nei principati romeni all’arrivo in Occidente e in Italia, dalle persecuzioni scatenate in Europa alle misure repressive subite in Italia. Un genocidio infinito. E racconta tutto sulla popolazione romanì, sparsa in ogni continente e che conta almeno 16 milioni di persone. Un viaggio documentato e completo nella storia e nella cultura per raccontare la forza e la tenacia di chi ha difeso libertà e identità.

Rom uguale zingari, uno dei tanti luoghi comuni?

Per rispondere a questa domanda bisogna necessariamente porsene un’altra: “Quante opportunità ha l’opinione pubblica di “vivere” realmente  la cultura romaní, nella sua ricchezza e nella sua complessità espressiva?”. La risposta, purtroppo è facile: quasi mai. La conoscenza è un sacrosanto diritto di cui l’opinione pubblica viene privata. E qui subentrano tanti fattori: innanzitutto una cattiva informazione che si trasforma facilmente in disinformazione, con la reiterazione di immagini e di cliché stereotipati che certamente non favoriscono il dialogo, ma al contrario, pregiudizi e atteggiamenti di ostilità. Vanno poi sottolineate le politiche repressive attuate nei confronti dei Rom (rom=sostantivo, romanì=aggettivo, romanès=avverbio) arrivati in Europa nel XV secolo: politiche di espulsione, di reclusione, di sterminio, di deportazione, di assimilazione. Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Romanichals, i cinque gruppi che con i loro svariati sottogruppi costituiscono il paradigmatico mondo romanò vengono volgarmente definiti “zingari”, ma pochissimi sanno che fra loro questi etnonimi (la maniera in cui un popolo definisce se stesso) sono sinonimi e significano “uomo”, da distinguere l’eteronimo (il modo in cui una popolazione viene definita da altri) “zingari” che ha un’accezione negativa. E’ la differenza che c’è tra “italiano” e “mafioso””. Rom, genti libere.

Chi ha preservato la loro identità?

La cultura romaní è transnazionale, multiforme e paradigmatica con infinite sfaccettature e sfumature essendo distribuita in ogni continente e in tantissimi paesi. Si è tramandata oralmente di generazione in generazione, per almeno quindici secoli, esponendosi all’influenza delle culture dei paesi attraversati nel corso del lungo viaggio dall’India verso occidente. Le vicende storiche, economiche e sociali hanno condizionato la diaspora romaní tanto che le diverse comunità romanès che son venute via via delineandosi sono, oggi, portatrici di diverse tradizioni culturali, affini e diversificate allo stesso tempo. L’identità e la cultura Romanì si sono preservate anche grazie all’apporto che hanno dato a tutti i campi dell’arte occidentale, dalla musica alla danza, alla pittura, alla letteratura. In molti Paesi è entrata a far parte del folklore locale, spesso il folklore di quei Paesi si identifica con la cultura o l’arte romanì: il flamenco in Spagna, i violinisti ungheresi, i cymbalisti romeni, la musica in Russia e nei Paesi della ex Jugoslavia. Alcuni generi musicali derivano dai Rom come la Czardas e Verbunkos, ma anche flamenco e tanta musica balcanica oltre che il jazz manouches. Basti pensare ai grandi compositori come Listz, Brahms, Schubert e più tardi Dvorak, Mussoskj, Ravel, Debussy, Bartok, Stravinskj, oggi Goran Bregovic che hanno attinto a piene mani dalla tradizione musicale romanì.

Chi sono realmente i Rom?

I rom, sinti, kale, manouches e romanichals con le loro differenti comunità  nel mondo sono 12 milioni, in Europa sono otto milioni e mezzo, in Italia circa 170 mila di cui 60% di cittadinanza italiana (55.000 Rom e 45.000 Sinti) e di antico insediamento. Bisogna ricordare, infatti, che i rom sono presenti in Italia da oltre sei secoli, che la maggior parte di loro vive in case, manda i propri figli a scuola e lavora, il restante, circa il 20%,è costituito da rom provenienti dai Paesi dell’Est Europa (circa 70.000 da Romania ed ex Jugoslavia). Qui in Italia, affrontano politiche di esclusione spesso supportate da vincoli e cavilli burocratici vari; spesso sono costretti a vivere in condizioni disumane in campi nomadi appositamente creati per tenerli ai margini della società e trasformarli non in cittadini ma in esseri continuamente in lotta per la sopravvivenza quotidiana. Il tutto per rafforzare lo stereotipo e giustificare determinati tipi di politiche da cui alcune organizzazioni di pseudo volontariato traggono vantaggi.

 

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