Denis Diderot, Il libero servo Rameau. Rousseau, Il bisogno innalzò i troni, le scienze e le arti li hanno rafforzati

by gabriella

Il nipote di Rameau di Denis Diderot, capolavoro satirico della seconda metà del Settecento è la parabola grottesca di un musico fallito, cortigiano convinto, amorale per vocazione avvolto in un lucido cupio dissolvi. Nella sua imbarazzante assenza di prospettive edificanti, nella riduzione della vita a pura funzione fisiologica riesce in maniera paradossale a ribaltare la visione del bene e del male, del genio e della mediocrità, della natura umana e delle possibilità di redimerla. Rameau si è offerto attraverso i secoli come un nitido archetipo di libero servo, innocua foglia di fico per padroni a tolleranza variabile. Scorgiamo dietro la sua perversità le paure del filosofo del perdere se stesso e i propri riferimenti etici nell’affrontare un primo embrione di libero mercato delle idee che intuiva stesse nascendo in quel turbolento e fervido scorcio di secolo. Rameau manca dai nostri teatri dagli inizi degli anni Novanta, un ventennio di profonde mutazioni nel corpo della nostra società civile, le sue contorsioni intellettuali quindi assumono nuovo e violento impatto e nuovi motivi di aspro divertimento (Terni, Teatro Secci – 1 e 2 novembre 2011).

Con piece come Il nipote di Rameau, che Diderot scrive tra il 1762 e il 1763, il ‘700 pensa il proprio tempo funzionalisticamente (con un secolo d’anticipo su Marx e un paio su Talcott Parsons), inquadrando lucidamente la funzione di legittimazione del potere da parte degli intellettuali. Era stato Rousseau, una decina d’anni prima, ad aprire il dibattito. Nel primo dei suoi Discours (il Discorso sulle scienze e sulle arti), in aperta rottura con il suo tempo che pensava se stesso in termini di éclairement (lumi, rischiaramento) e di superamento di ignoranza e superstizioni, il ginevrino aveva sostenuto infatti che

«l’epoca presente è il regno della falsità»,

le lettere e le arti non sono mezzi di illuminazione ma di occultamento dell’ingiustizia, perchè 

«stendono ghirlande di fiori sulle catene»

di cui gli uomini sono carichi,

«soffocano in loro il sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravano nati, fan loro amare la schiavitù e ne formano i cosiddetti “popoli civili”».

Il filosofo può così concludere che «

«il bisogno innalzò i troni: le scienze e le arti li hanno rafforzati».

Bisogna aspettare Foucault (1926-1984) perchè si chiariscano le modalità di quel dressage (disciplinamento, creazione di “corpi docili”) a cui Rousseau si riferiva in termini di “civilizzazione” dello spirito autentico de l’homme naturel.

L’opera omnia di Diderot è accessibile dal sito di Gallica, in lingua originale.

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