Emilio Carnevali, La Repubblica romana

by gabriella

La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

Articolo IV, Costituzione della Repubblica romana

Il 17 marzo del 1861 Vittorio Emanuele II veniva proclamato re d’Italia. Il compimento dell’unità rappresentava il successo, fino a non molto tempo prima improbabile per quanto sperato, del movimento nazionale; ma suggellava anche la vittoria di una precisa componente del movimento, quella monarchico-sabauda su quella repubblicano-democratica. Anche da un punto di vista simbolico Vittorio Emanuele continuava a chiamarsi “Secondo”, come se nulla fosse mutato rispetto a quando c’era ancora il Regno di Sardegna (qualche decennio prima, per fare un esempio contrario, Ferdinando IV di Borbone era diventato Ferdinando I salendo sul trono del Regno delle Due Sicilie dopo l’unificazione post-Restaurazione dei due regni di Napoli e di Sicilia). La costituzione del nuovo Stato era quella in vigore in Piemonte, lo Statuto albertino (che dava diritto di voto a circa il 2% della popolazione). Ed infatti la legislatura che si apriva dopo le prime elezioni politiche generali tenutesi il 27 gennaio e il 3 febbraio 1861 era l’ottava, non la prima, come sarebbe stato normale in presenza del “nuovo Parlamento”.

Ci vorrà ancora qualche anno prima che l’ufficialità del nuovo Stato rendesse omaggio anche all’“altro Risorgimento”, quello di Garibaldi e di Mazzini. Una delle date “spartiacque” può essere individuata nel 1896, quando Francesco Crispi inaugurò al Gianicolo la statua equestre di Garibaldi, monumento all’«amico fedele e devoto di Vittorio Emanuele». «In questi due nomi, e in quello di Giuseppe Mazzini», dichiarò l’allora presidente del Consiglio, «si compendia la storia del Risorgimento nazionale». A poche decine di metri dal luogo dove ancora sorge la statua, e da dove si gode una vista mozzafiato sul centro di Roma, c’è anche quella di Anita Garibaldi, opera dello scultore Mario Rutelli (bisnonno dell’ex sindaco). Dalla parte opposta, a Porta San Pancrazio, c’è il piccolo “Museo della Repubblica Romana e della Memoria garibaldina”, dedicato a una delle pagine più intense, drammatiche e commoventi del nostro XIX secolo. Il 1848 fu un anno segnato da moti in tutta la penisola e dalla sconfitta piemontese a Custoza nella guerra contro l’Austria. Il 15 novembre venne ucciso a Roma Pellegrino Rossi, il capo del governo pontificio, e qualche giorno dopo papa Pio IX fuggì a Gaeta. Il 21 gennaio 1849 si tennero le elezioni per l’assemblea costituente a suffragio universale maschile diretto. Il 9 febbraio venne proclamata la Repubblica. La Costituzione fu invece approvata il 3 luglio, mentre le truppe francesi espugnavano la città dopo settimane di combattimenti. Il suo primo articolo recitava: «La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in Repubblica democratica». Non potrebbe essere più stridente la differenza con l’articolo 1 dello Statuto albertino (concesso l’anno prima in Piemonte dal re Carlo Alberto): «La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato». Se mai, sorprendenti assonanze possono essere individuate con la Costituzione della Repubblica italiana che sarebbe nata dalla Resistenza un secolo dopo. E non solo nell’articolo 1. Vediamo ad esempio gli articoli 3 di entrambi i testi: «La repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini» (Costituzione della Repubblica romana); «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione italiana).

Coerentemente con lo spirito di quella carta la legislazione sociale della Repubblica romana – governata dopo il 29 marzo 1849 dal triumvirato formato da Giuseppe Mazzini, Carlo Armellini e Aurelio Saffi – fu avanzatissima. Dopo aver proceduto alla nazionalizzazione di tutte le proprietà degli enti ecclesiastici, venne stabilito che le terre fossero divise in piccoli appezzamenti e distribuite «alle famiglie del popolo sfornite di altri mezzi» (anche se il provvedimento non potrà mai trovare attuazione a causa della prematura caduta della Repubblica).

L’intera Costituzione si può ora leggere sulla balaustra della passeggiata del Gianicolo, nel tratto fra la statua di Garibaldi e l’ambasciata finlandese: l’opera-incisione è stata inaugurata proprio lo scorso 17 marzo dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, insieme al Museo di Porta San Pancrazio (www.museodellarepubblicaromana.it). Quest’ultimo custodisce, oltre a busti, dipinti, documenti e manifesti d’epoca, un ricco materiale multimediale: un grande plastico animato riproduce la cruenta battaglia di Villa Pamphili fra le truppe garibaldine e quelle francesi, mentre alcuni video danno voce – tramite bravissimi attori – ai protagonisti delle vicende (da Angelo Brunetti detto Ciceruacchio a Luciano Manara, da Giovanni Costa a Cristina di Belgioioso). Già nel 1990 Luigi Magni aveva diretto una trasposizione cinematografica della breve storia della Repubblica romana. Il film si intitolava In nome del popolo sovrano e nei panni di Ciceruacchio c’era un indimenticabile Nino Manfedi, spaventosamente somigliante alla statua del “carrettiere rivoluzionario” inaugurata nel 1907 e trasferita sul Gianicolo l’anno scorso. È proprio a due passi da Garibaldi e dagli altri busti dei Mille e degli eroi della Repubblica romana che lo circondano.

Ed è con le parole di Ciceruacchio-Manfredi che vogliamo ricordare e festeggiare questo 17 marzo: [si annotino i cultori della scuola come formazione al lavoro, il memorabile : «io so carrettiere, eccellenza, ma a tempo perso so’ omo». NDR]

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