F. Clark Howell, Il processo di ominazione

by gabriella

Lascaux (Dordogna). Arte rupestre 17.000 anni fa

Lascaux (Dordogna). Arte rupestre 17.000 anni fa

[p. 37] I moderni studi paleoantropologici cercano di comprendere, sia nella prospettiva biologica sia in quella culturale, i fattori che hanno determinato l’evoluzione dell’uomo.

L’antropologo biologicamente orientato si interessa soprattutto della natura delle principali trasformazioni anatomiche e fisiologiche nell’evoluzione del corpo da un primate superiore scimmiesco alla specie variabile unica, Homo sapiens, e della loro importanza per l’adattamento. Egli deve interessarsi inoltre dell’origine e dell’evoluzione di modelli tipicamente umani di comportamento, specialmente delle capacità di cultura e delle manifestazioni di tali capacità, e non solo delle loro basi biologiche.

La documentazione fossile dell’uomo e dei suoi parenti primati superiori è ancora tutt’altro che adeguata. Comunque, negli ultimi decenni sono state fatte importanti scoperte che ampliano notevolmente la nostra conoscenza delle antiche popolazioni umane e quasi umane. Non v’è ormai un solo periodo importante dell’epoca del Pleistocene di cui, da una o più parti del mondo, non si abbia qualche resto scheletrico di ominide.

Esiste quindi ora una documentazione idonea a suggerire la sequenza generale e il relativo ordine di quelle trasformazioni corporee durante il processo di ominazione. In questo processo si realizzarono mutamenti importanti, a ritmi del tutto ineguali, nello scheletro locomotore, nei denti e nelle strutture facciali di sostegno, nella misura e nelle proporzioni del cervello e nelle ossa del cranio che lo ricoprono. E vi furono mutamenti egualmente importanti e contemporanei nel comportamento. Nel corso dell’ultimo decennio le più antiche fasi di questo processo sono state considerevolmente indagate. Alcuni significativi aspetti di quel lavoro saranno qui esaminati.

[p. 38] L’uomo è un primate e, nell’ordine dei primati, è soprattutto strettamente legato alle scimmie antropoidi africane viventi. Quanto stretto sia il rapporto, o, per dirla in altre parole, quanto lontano nel temnpo sia il punto di antenati comuni prima della divergenza noe è ancora accertato.

Tranne che in speciali circostanze, i resti di scheletri non si conservano bene nei terreni acidi di habitat coperti di foreste; quindi i resti fossili di scimmie antropoidi provenienti dall’area della tarda epoca terziaria sono rari quanto necessari, e quando si trovano sono spesso molto mal conservati.

Tuttavia, si sa che i primati superiori scimmieschi ebbero una vastissima distribuzione euroasiatica (fino a cinque-dieci milioni di anni fa, epoca nella quale tali creature scomparvero dalla sempre più temperata Europa); erano presumibilmente comuni anche in parti dell’Africa, sebbene ivi gli strati fossili di quell’epoca siano singolarmente rari. Frammenti di mascelle e di denti di tali creature indicano le loro affinità con primati superiori, specialmente con le scimmie antropomorfe. Mostrano inoltre una sostanziale diversità nella struttura anatomica nonché nella dimensione globale.

Il raro e fortunato rinvenimento di altre parti scheletriche (come ossa degli arti) indica che alcune caratteristiche distintive delle scimmie antropomorfe moderne furono specializzazioni evolutive posteriori più che la primitiva condizione ancestrale. Alcuni esemplari di mascelle e di denti, provenienti da regioni tanto distanti come l’India settentrionale e l’Africa orientale e lontani nel tempo da dieci a quattordici milioni di anni, mostrano alcune somiglianze ominidi. Fino a quando non saranno l’ecuperati resti di scheletri meglio conservati, questi pochi suggestivi frammenti rimarranno enigmatici.

Gli antecedenti degli ominidi, i cosiddetti proto-ominidi, sono ancora praticamente sconosciuti [importanti scoperte, come quella di ardipitecus e orririn, sono intervenute dopo la pubblicazione di questo testo degli anni sessanta, NDR], e si può solo fare ipotesi sulle antichissime fasi formative nel processo della comparsa degli ominidi.

E generalmente riconosciuto che la base anatomico-fisiologica della irradiazione degli ominidi è stata una importante trasformazione nella struttura e nella funzione del sistema locomotore. Lo scheletro degLucyli arti inferiori e la muscolatura connessa furono modificati sotto pressioni selettive per permettere alla fine una posizione completamente eretta e una efficiente andatura bipede abituale. I cambiamenti realizzati negli arti inferiori furono vistosi e rivoluzionari. La caratteristica curvatura dei lombi, le ossa iliache corte, larghe e spostate all’indietro e la loro articolazione col sacro spostata e [p. 39] rafforzata, la loro torsione sinuosa per formare una struttura in forma di bacino intorno all’addome inferiore, come pure la regione ischiale accorciata, tutto ciò faceva parte di un complesso di modificazioni largamente interdipendenti in vista dell’adattamento al bipedismo terrestre. Vi furono mutamenti correlati nella muscolatura dell’ilio e della coscia, nelle rispettive proporzioni e nella struttura e nella funzione di specifici gruppi di muscoli, tutto per fornire energia per la corsa e per il passo, per mantenere il tronco eretto durante l’andatura, e per estendere completamente e stabilizzare all’ilio e al ginocchio gli arti inferiori allungati: una posizione impossibile per qualunque scimmia antropomorfa. Il piede fu completamente invertito, con le dita laterali accorciate e l’alluce allargato e immobilizzato, la rigidità del tarso fu aumentata mediante l’angolarità delle giunture e i legamenti rafforzati, con lo sviluppo di prominenti arcate longitudinali e trasversali, e il calcagno allargato per poter sopportare completamente il peso.

La singolarità della posizione eretta fu riconosciuta molto tempo fa da studi anatomici comparati dell’uomo e dei primati non¬umani. La sua priorità nel processo di ominazione è stata pienamente confermata dalla scoperta in Africa dei più antichi ominidi tuttora conosciuti, gli australopitechi (genere Australopithecus), creature con cervelli piccoli, ma con arti inferiori adatti alla posizione eretta e all’andatura bipede, o almeno alla corsa sui due piedi. Qualche indizio fa pensare che il completo adattamento al bipedismo, quello che permise di camminare comodamente e a lungo, non fosse ancora del tutto perfezionato.

Il tipo di struttura dentale ominide, con denti incisivi piccoli, canini ridotti e a forma di spatola, e canini non uniti e denti premolari anteriori, tutti disposti in un arco dentale di forma parabolica, era anch’esso interamente distinto. La dimensione del cervello, come viene calcolata dalla capacità cranica, era solo da circa un terzo a due quinti della dimensione di quello dell’uomo anatomicamente moderno. Esistono parecchie forme diverse del genere Australopithecus, sicuramente specie distinte (e probabilmente valide sottospecie), con rilevanti differenze nell’anatomia dello scheletro nonché nelle dimensioni del corpo. Una forma più grande raggiungeva un peso corporeo da circa cinquantacinque a circa settanta chili, mentre un’altra era molto più piccola, con un peso corporeo di solo venticinque-trentacinque chili.

[p. 39] Sebbene fin qui risultino limitati all’Africa, questi più antichi ominidi conosciuti erano tuttavia abbastanza ampiamente distribuiti su larghe zone di quel continente. I loro adattamenti ecologiici sono ora conosciuti in qualche misura e possono anche trovare un parallelo fra certi attuali ambienti africani nelle stesse regioni. Una piccola specie sud-africana è documentata in condizioni di precipitazione di pioggia di circa il 50 per cento inferiore a quella attuale nella stessa regione, una pianura ondulata e senza alberi, di basso rilievo e poca acqua in superfìcie. Altri rinvenimenti testimoniano di più favorevoli situazioni climatiche e ambientali. Generalmente parlando, gli ambienti erano savana relativamente aperta. In Africa meridionale i resti di tali creature, insieme con altri animali, si trovano in caverne in un paesaggio di altipiano calcareo, dove grotte, fessure e inghiottitoi fornivano probabilmente fonti abbastanza permanenti di acqua, per il resto scarsa. Ma là. e anche in Africa orientale, le aree erano in prossimità di habitat più alberati, lungo corsi d’acqua poco profondi, o lungo i fianchi di regioni vulcaniche adiacenti. Proprio tali zone di transizione, gli ‘ ecotoni ’ dell’ecologo, offrono la più grande abbondanza e diversità di vita animale e vegetale.

L’età assoluta di alcune di queste creature può ora essere stabilita in conseguenza del perfezionamento nella misurazione della radioattività (potassio/argo, ovvero K/A) in alcuni minerali componenti di rocce vulcaniche. La loro distanza nel tempo risale a quasi due milioni di anni, mentre alcuni esemplari sono evidentemente esistiti fino a meno di un milione di anni fa. La loro scoperta ha perciò triplicato la dimensione temporale precedentemente conosciuta per l’evoluzione degli ominidi.

Contemporaneamente ad essi, fa la sua apparizione un comportamento culturale. In alcuni casi c’è una diretta associazione con alcuni dei loro resti scheletrici. L’indagine eseguita in luoghi di occupazione indisturbata, portando al massimo la possibilità del recupero di documenti in un contesto archeologico, è culminata in queste significative scoperte. Gli studi archeologici tradizionali della preistoria, d’altra parte, si preoccupavano in larga misura del rapporto di successione delle tracce dell’attività svolta dall’uomo nel corso della propria evoluzione, spesso in contesti secondari. Accurati scavi di aree di occupazione indisturbate hanno portato a deduzioni completamente nuove sulla natura degli adattamenti e dei modelli di comportamento degli ominidi. Questo lavoro [p. 41] ha più ampie implicazioni, perché costringe a rifiutare completamente il tradizionale punto di vista di alcuni archeologi che immaginavano l’improvvisa apparizione del comportamento e della cultura umani a un ‘ punto critico ’ nella filogenia dell’uomo, ima questione già esaminata da Geertz.

Questo comportamento culturale estremamente primitivo si manifesta in diversi modi. C’era una limitata capacità di confezionare semplici utensili e armi di pietra (e presumibilmente con altre materie, anche se i materiali deperibili non sono stati conservati). Questi oggetti, la cui materia prima non di rado era portata da luoghi di origine abbastanza distanti, comprendono pietre naturali raccolte intenzionalmente, a volte frantumate o battute o pezzi più sostanzialmente modificati di noduli o di scaglie, modellati in forma di lame per spaccare, tagliare o trafiggere. Alcuni luoghi di occupazione indisturbati, con ossa di animali, attestano anche dell’acquisizione di una dieta a base di carne. Questa era Lascauxlimitata, tuttavia, allo sfruttamento solo di una ristretta estensione dell’ampia varietà di una ricca fauna della savana e delle foreste. Comprendeva prevalentemente vari pesci di acqua dolce, molte specie di piccoli anfibi, rettili (per lo più tartarughe e lucertole), e uccelli, molti piccoli mammiferi (roditori e insettivori), e alcuni erbivori ungulati di moderata grandezza, appena nati o comunque ancora piccoli. I prodotti vegetali costituivano senza dubbio una parte molto sostanziale della dieta di questi predatori-raccoglitori, ma le condizioni di conservazione consentono solo delle illazioni riguardo a quali possano essere stati quei prodotti. In ogni caso, il comportamento carnivoro di quegli antichissimi ominidi contrasta notevolmente con le inclinazioni sostanzialmente vegetariane delle attuali scimmie antropomorfe.

Questi resti di cibo e manufatti di pietra sono concentrati su superfici di occupazione di limitata estensione: pianure di fango in parte almeno stagionalmente all’asciutto, attorno a laghi temporanei. presso vulcani periodicamente attivi. Queste concentrazioni sono distribuite in modo non uniforme sulle superfici di occupazione: vi sono, al centro, ammucchiati, utensili e molte ossa spezzate e frantumate (presumibilmente per estrarne il midollo), e intorno mucchi più radi di pietre naturali o solo battute e parti diverse, per lo più intere, dello scheletro della preda. In un caso, una grande forma ovoidale di pietrisco concentrato e ammucchiato, e accanto mucchi irregolari di pietra, fanno pensare a una configurazione strutturale [p. 42] dell’area occupata. Queste aree conservate in modo eccezionale in Africa orientale, sigillate ben presto dalle prime cadute di cenere vulcanica, ci danno qualche stimolante barlume sulle attività di quelle creature primitive. Tali luoghi di occupazione possono ben rappresentare un’antichissima manifestazione dell’adattamento a un ‘ campo base ’ entro una zona d’azione, un caso unico nello sviluppo dell’adattamento ominide.

Possiamo ora delineare alcuni dei tratti fondamentali della prima irradiazione degli ominidi, che comprendono: 1. differenziazione e riduzione della dentatura precedente; 2. modificazioni scheletriche e muscolari per permettere la posizione eretta e il bipedismo eretto adatto alla corsa; 3. efficiente adattamento a un habitat terrestre e suo sfruttamento; 4. probabilmente un cervello relativamente esteso; 5. ampia manipolazione di oggetti naturali e sviluppo di abitudini motorie atte a facilitare la costruzione di utensili; 6. predazione carnivora che ha aggiunto le proteine della came a una dieta in gran parte vegetale.

Ardipithecus ramidus - inizi del Pliocene

Ardipithecus ramidus – inizi del Pliocene

L’adattamento fu essenzialmente quello di primati superiori bipedi eretti a un’esistenza di cacciatori-raccoglitori. Questi adattamenti permisero la dispersione in un ambiente terrestre — o forse ne furono condizionati — e lo sfruttamento di habitat nella prateria o nella foresta. Le scimmie antropomorfe africane (e anche il gibbone asiatico, specialmente gli individui molto giovani, presentano occasionali, anche se non prolungati, tentativi di bipedismo; è molto probabile che questa tendenza preadattiva, che si sviluppò come conseguenza dell’adattamento delle scimmie antropomorfe semierette all’arrampicamento alto sugli alberi, si accentuasse nei proto-ominidi del Pliocene, tuttora sconosciuti [nel 1992 è stato scoperto un cranio di Ardipithecus ramidus datato 4, 5 milioni di anni, all’inizio del Pliocene e di Ardipithecus kadabba, 5,6 milioni di anni, del tardo Miocene. Nel 2002 è stato trovato un cranio di Sahelanthropus tchadensis, 7 milioni anni; Orrorin tugenensis, 6 milioni di anni ed Ardipithecus kadabba 5, 6 milioni di anni; NDR]. Ora si è constatato che gli scimpanzè selvatici a volte mangiano la carne degli ammali che hanno ucciso, e inoltre manipolano oggetti inanimati e persino li usano e occasionalmente li modellano per servirsene nella ricerca di cibo. Ciò fa pensare sicuramente che tali tendenze fossero almeno altrettanto sviluppate fra i proto-ominidi strettamente affini.

Gli ambienti terrestri, di sicuro, furono colonizzati molto prima da altri primati : cercopitechi, scimmie quadrupedi ‘ patas ’ che vivono a terra in via secondaria, babbuini africani, e macachi dell’Asia (e in tempi anteriori anche d’Europa). Quindi i loro adattamenti, il loro comportamento sociale e la loro organizzazione di branco forniscono una utile analogia per deduzioni sull’irradiazione [p.43] dei proto-ominidi.

Homo sapiens e progenitore australopitecino

Homo sapiens e progenitore australopitecino

Indagini comparate su primati non-umani, comprendenti i sempre più numerosi e approfonditi studi comportamentali ed ecologici su scimmie in habitat naturali menzionati da DeVore, hanno notevolmente ampliato la nostra comprensione dello sfondo primate dell’evoluzione umana. Questi studi servono a mettere in rilievo le particolarità specifiche dell’adattamento umano.

Mezzo milione o probabilmente quasi un milione di anni fa, gli ominidi si trovavano nel processo di dispersione al di fuori della primitiva zona ecologica utilizzata dagli australopitechi. In parte, questa dispersione può essere compresa solo in considerazione delle possibilità di scambi di fauna tra i continenti africano ed euroasiatico e delle condizioni paleogeografiche e paleoecologiche del più antico Pleistocene. La zona del Sahara non costituì una barriera per questa dispersione, e, del resto, neppure per quella della fauna mammifera del Pliocene o del primo Pleistocene. Inoltre, i grandi mari del Pliocene e del primo Pleistocene si erano sufficientemente abbassatia causa della sollevazione dei continenti o, meno probabilmente, in conseguenza dell’incorporazione di acque oceaniche nelle grandi calotte di ghiaccio artica ed antartica — da poter offrire solidi collegamenti intercontinentali.

homo sapiensProbabilmente nell’arco di centomila anni, o meno, rappresentanti del genere Homo si erano sparsi attraverso la maggior parte delle regioni sub-tropicali euroasiatiche ed erano anche penetrati a nord ben dentro le latitudini temperate sia in Europa che nell’Asia orientale. Questa dispersione implicava un adattamento a una diversa e nuova varietà di habitat. Adatamenti culturali e forse fisiologici permisero, per la prima volta, l’esistenza dell’uomo al di fuori dei tropici e in condizioni climatiche inclementi, caratterizzate da lunghi e rigidi inverni. Ciò fu indubbiamente facilitato da modificazioni anatomo-fisiologiche destinate a produrre il genere Homo, tra cui il prolungamento della crescita e un’età adulta ritardata, e da cambiamenti comportamentali che favorirono l’apprendimento, la comunicazione e capacità generali di cultura.

Il tipo completamente umano di locomozione fu perfezionato probabilmente verso quest’epoca. Trasformazioni definitive nell’anca, nella coscia e nel piede permisero una posizione eretta completamente rilassata, con il corpo in riposo, nonché il camminare prolungato su lunghe distanze. Testimonianze sullo scheletro sono purtroppo ancora incomplete, ma appare evidente che [p. 44] quattro-seicentomila anni fa lo scheletro degli arti inferiori non differiva sotto alcun aspetto importante da quello dell’uomo anatomicamente moderno. La dimensione del cervello, e specialmente le relative proporzioni delle aree associate temporale-parietale e frontale, aumentarono notevolmente, fino a una metà o due terzi di quelle dell’Homo sapiens (e ben all’interno di quella dimensione che permette un comportamento normale in quest’ultima specie). E avvenne anche una ulteriore riduzione e semplificazione nei denti molari te premolari) e nella struttura ossea che sorregge la faccia e la mascella inferiore.

La caccia fu importante come base di sussistenza. La carne costituì una parte molto maggiore e più stabile della dieta normale. Si utilizzavano molte varietà della fauna mammifera, e la preda comprendeva alcuna delle più grandi specie erbivore, o tutte, compreso forme gregarie di ‘ mandrie nonché specie più solitarie, e una quantità di piccoli mammiferi. Diverse zone di occupazione di questi antichi e primitivi cacciatori, alcune delle quali sono rimaste completamente indisturbate, sono conservate e sono state scavate in Africa orientale e ora anche in Europa. Queste località conservano enormi quantità di resti di scheletri di mammiferi uccisi e consumati. La famosa e immensa località cavernicola (Località I) di Choukoutien (presso Pechino) nell’Asia orientale è un caso unico di occupazione di un’area di questo tipo in epoca così antica. A Choukoutien, pur essendo presenti anche altri mammiferi ungulati e carnivori, circa il 70 per cento dei resti animali sono rappresentati solo da due specie di daino. In Africa l’imponente cava includeva una quantità di specie erbivore giganti, nonché altre forme estinte. In due di tali aree di occupazione in Africa orientale, antiche di oltre cinquecentomila anni, l’abbondantissima fauna comprendeva specie di tre scimmie, due carnivori, due rinoceronti, otto cinghiali, da due a tre elefanti, ovini e bufali, due ippopotami, tre giraffidi, un calicotero, sei cavalli, nonché numerose antilopi e gazzelle, e altri resti di piccoli mammiferi (roditori), uccelli, e alcuni rettili (tartarughe). La caccia preferenziale di certe specie in branco si riconosce in alcune aree di occupazione alquanto meno antiche in Europa. In una o due aree nella Spagna centrale. che sono state recentemente oggetto dell’indagine dello scrivente. sono rappresentate solo cinque grandi specie di mammiferi, e di queste le più numerose sono un elefante silvestre e un cavallo selvatico. con rari bovini (uri) e cervi selvatici (daini rossi), e rarissimi [p. 44] rinoceronti. I resti di circa trenta elefanti, molti dei quali immaturi, sono rappresentati in un’area di approssimativamente trecento metri quadrati! In un’altra di tali posizioni all’aria aperta, sulla costa del mar Tirreno a nord di Roma, i resti di cavallo predominano su tutte le altre specie. Qualche indicazione del livello di capacità e adattamento culturale, nonché della malleabilità necessaria per l’adattamento ecologico locale, è fornita dalla diversità dellle specie di selvaggina utilizzate, e dalle corrispondenti distinzioni nella preferenza per un habitat, nella dimensione dell’aggregato, e in particolari modelli di comportamento.

Le capacità di costruire utensili sono notevolmente progredite insieme col consolidarsi di abitudini persistenti di manifattura. Queste rispecchiano, almeno in parte, un più accorto ed efficiente controllo delle abilità manuali. I corrispondenti mutamenti evolutivi nella struttura e nella funzione della mano, specialmente lo sviluppo del pollice opponibile con forza ed efficacia alle altre dita, con l’ampliamento e la complicazione del corrispondente set¬tore della corteccia cerebrale motoria e delle aree associate interdipendenti, avvennero tutti sotto l’azione della selezione naturale.

Non solo fu accresciuta la quantità globale e la qualità degli utensili di pietra. Furono sviluppate nuove tecniche per la preparazione iniziale nonché per modellare successivamente in utensili (e armi) diversi tipi di pietra selezionati. Fecero la loro comparsa nuovi tipi di utensili di pietra, compresi in particolare utensili dalla punta acuminata e dalla lama tagliente di diversi tipi, apparentemente adatti soprattutto all’uccisione di selvaggina dalla pelle spessa. Certe pietre già di forma adatta furono intenzionalmente tagliate in forma sferoidale, come proiettili offensivi, si può ritenere. Queste ed altre forme di utensili in seguito si standardizzarono notevolmente. Questo fatto, e il vastissimo schema di distribuzione geografica attraverso l’Africa, l’Europa meridionale e occidentale, l’Asia occidentale e meridionale e il sub-continente indiano fanno pensare anche a un livello perfezionato di comunicazione e presumibilmente anche alla capacità di simbolizzazione.

I materiali più deperibili, come legno e fibre, sono purtroppo conservati molto raramente. Comunque, alcune di tali aree primitive in Europa attestano l’utilizzazione e la lavorazione del legno, modellato in forme allungate, appuntite e spatolate. Era stata fatta senza dubbio la scoperta dell’asta da conficcare, un’importante arma offensiva, nella caccia di grandi mammiferi dalla pelle [p. 46] spessa. E ancora, sebbene le tracce dell’utilizzazione del fuoco siano altrettanto raramente conservate, esiste la prova incontrovertibile della sua scoperta e utilizzazione (se per scaldarsi o per cuocere è incerto), sia in Europa sia in Asia orientale.

E stato dimostrato che lo sviluppo di un modo di vivere da cacciatori, anche a un livello ancora del tutto rozzo di adattamento, pone esigenze quanto mai diverse alle popolazioni umane primitive. Esso portò a pressioni selettive notevolmente modificate e fu, di fatto, responsabile di profondi cambiamenti nella biologia e nella cultura umane. Molti ricercatori considerano questo adattamento come un fattore critico nel sorgere di istituzioni fondamentalmente umane. Alcuni di quei cambiamenti che rappresentano il modo umano (Homo) di vivere includerebbero: 1. dimensioni grandemente accresciute del territorio domestico con difesa dei confini territoriali per impedire infrazioni a danno delle risorse alimentari; 2. organizzazione associativa di gruppi umani interdipendenti e affiliati, di dimensioni variabili ma relativamente piccole; 3. larghi raggruppamenti familiari con prolungati rapporti maschio-femmina, proibizione dell’incesto, regole di esogamia per gli accoppiamenti, e sub-gruppi basati sulla parentela; 4. divisione del lavoro in base al sesso; 5. comportamento altruistico, con spartizione del cibo, aiuto reciproco e cooperazione; 6. comunità linguistiche basate sul linguaggio.

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Può sembrare addirittura impossibile ottenere una prova diretta di questo tipo dai documenti fossili e archeologici. Eppure un approccio che combini lo studio sul campo e di laboratorio del comportamento dei primati viventi non-umani con l’analisi dei modelli fondamentali di adattamento e di comportamento di popolazioni umane di cacciatori-raccoglitori può accrescere enormemente i tipi di deduzioni che di solito si traggono dalle testimonianze incomplete dei reperti paleoantropologici. Le conseguenze favorevoli della cooperazione attiva tra studiosi che si interessano dell’origine e dell’evoluzione del comportamento umano, per quanto diverse per formazione e orientamento, sono già evidenti e hanno fatto progredire notevolmente la comprensione del processo di ominazione. Negli anni avvenire questo progresso si potrà paragonare a quei progressi nelle ricerche paleoantropologiche resi possibili dalla più completa collaborazione con i colleghi in scienze naturali.

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