Federico Batini, NEET

by gabriella

neetLa rivista Lifelong Lifewide Learning ha dedicato il numero 26 alle categorie emergenti di Neet e Dropout inserendoli nel più ampio discorso della crisi economica. Essa ha influito negativamente soprattutto sui giovani, i quali sono infatti prevalentemente occupati con contratti atipici e questo spiega perché sono anche i primi a perdere il lavoro, quando la situazione economica tende al peggioramento.

Il termine Neet è un acronimo inglese: Not engaged in Education, Employment or Training. Fu il governo del Regno Unito ad utilizzarlo per indicare tutti quei soggetti tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati in alcun percorso di istruzione e formazione né nel lavoro (o in percorsi assimilabili). Secondo i dati OCSE del 2012 si evidenzia come la performance peggiore, per la più alta percentuale di Neet, sia del Messico, mentre al secondo posto è stata collocata l’Italia. Nel nostro paese la situazione è di due milioni e quattrocentomila, in continua crescita; di questi solo il 28% cerca di fare qualcosa per trovare un’occupazione. In base al rapporto Istat “Noi Italia 2011, cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo” definiamo Neet i giovani che non lavorano, non studiano e non risultano iscritti a corsi riconosciuti dalla Regione di durata non inferiore a 6 mesi o 600 ore.

Se ignoriamo i dati ufficiali e andiamo ad indagare sulle identità di questi soggetti rileviamo che essi fanno parte di un universo molto variegato: ci sono i giovanissimi che hanno terminato la scuola dell’obbligo e lavorano in nero (principalmente al Sud); ci sono i demotivati, coloro i quali cioè hanno smesso di cercare un impiego perché dopo il diploma non sono riusciti a entrare subito nel mercato; e infine ci sono i laureati che hanno acquisito competenze risultate subito obsolete per le esigenze del mondo del lavoro. Il 40% della disoccupazione giovanile in Italia ha natura strutturale e affonda le sue radici nello scarso dialogo tra sistema educativo e sistema economico.

In questo discorso è importante citare la ricerca condotta da McKinsey & Company che analizza le cause del problema e propone un piano organico di interventi a livello nazionale e territoriale. Secondo tale rapporto, condotto su otto paesi UE e presentato a Bruxelles (gennaio 2014): «Il viaggio tempestoso dell’Europa, dall’educazione all’occupazione» i problemi sono dovuti non soltanto all’inesistenza di un sistema di formazione continua stabile e alla bassa efficacia/efficienza e agli elevatissimi livelli di dispersione e abbandono dei sistemi di istruzione, in Italia c’è, ed è evidente e rilevante, un problema di incomunicabilità tra domanda e offerta. Tre cause sono all’origine della difficile transizione dei giovani dalla scuola al mondo del lavoro:

Sbilanciamento quantitativo tra domanda delle imprese e scelte dei giovani. Nonostante il gran numero di giovani disoccupati, in varie aree del Paese molte posizioni restano vacanti a causa dei pochi candidati disponibili. La ragione è che, al momento della selezione del percorso di studi, i giovani non hanno piena consapevolezza delle implicazioni lavorative di tale scelta.

Carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico. Solo il 42% delle imprese italiane ritiene che i giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro abbiano una preparazione adeguata. Nel 47% dei casi (rispetto a una media europea del 33% e al 18% del Regno Unito), le aziende del nostro Paese ritengono che tali carenze abbiano un impatto negativo sulla loro attività. In particolare, lamentano un deficit di competenze generali (non solo la padronanza delle lingue straniere e della matematica di base, ma anche capacità analitiche, intraprendenza e autonomia, etica e deontologia professionale) e di esperienza pratica, che non può svilupparsi da sola ma ha bisogno di un adeguato supporto da parte sia delle Istituzioni scolastiche ma anche dello Stato e imprese.

Inadeguatezza dei canali di supporto alla ricerca del lavoro. L’80% dei disoccupati under 30 in Italia utilizza la rete di amici, conoscenti e familiari per cercare lavoro, mentre solo circa un terzo sperimenta i canali istituzionali (in Germania gli uffici pubblici di collocamento rappresentano il mezzo principale di ricerca in oltre l’80% dei casi).

Sostiene il rapporto McKinsey:

« Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti. I giovani non sanno spesso esplicitare le proprie competenze, non sanno dove e come farsi cercare. Gli imprenditori non sanno come reperirli, a volte non conoscono nuovi settori di competenza che potrebbero essere loro estremamente utili. Un problema di orientamento (formativo), di informazione e di cultura imprenditoriale diffusa? Il citato rapporto precisa come l’Unione Europea abbia «il più alto tasso di disoccupazione ovunque nel mondo, a parte il Medio Oriente e il Nord Africa».

Per poi precisare:

«In Italia, Grecia, Portogallo e Regno Unito sempre più studenti stanno scegliendo corsi di studio collegati alla manifattura, alla lavorazione, nonostante il brusco calo nella domanda in questi settori. E in generale, non è una cosa positiva vedere un ampio numero di giovani scommettere il loro futuro su industrie in decadenza […] Portogallo, Italia e Grecia hanno la più alta percentuale di giovani che riferiscono di non aver potuto frequentare l’università per ragioni economiche; «ed è in questi tre Paesi che la più bassa proporzione di giovani (sotto il 40%) ha completato l’istruzione post-secondaria».

A fronte della natura strutturale della disoccupazione giovanile in Italia, è necessario intraprendere un piano d’azione sia a livello nazionale sia mirato su territori, distretti o filiere specifiche, che intervenga su più ambiti: offerta formativa adeguata alla domanda, informazione diffusa e trasparente, rivalutazione delle scuole tecniche e professionali, stretta collaborazione tra scuola e lavoro (con giovani e insegnanti in azienda e datori di lavoro nelle scuole), servizi di orientamento per gli studenti, efficacia dei canali di collocamento dei giovani sul mercato. Si tratta di un programma ampio e strutturato il cui obiettivo è portare a scala le esperienze di successo già testate altrove, sia in Italia sia all’estero, coinvolgendo in modo sistematico i giovani, le famiglie, le scuole, le imprese, le associazioni di categoria e i canali di collocamento presenti sul territorio.

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