Gianni Vattimo, Metafisica degli esclusi (o della libertà) vs metafisica delle auctoritates (o della necessità)

by gabriella

Traggo da L’Indice dei libri del mese, il testo della conferenza tenuta da Gianni Vattimo il 24 ottobre 2011 – su invito della Alexander von Humboldt Stiftung – dal titolo Quale metafisica, quale realtà? nella quale il filosofo sviluppa una riflessione sul bisogno di metafisica al servizio delle opposte necessità di concentrazione e controllo e di libertà e pluralità.

Che differenza c’è tra il bisogno di metafisica affermato dalle auctoritates, che lamentano la perdita della morale civile e religiosa dei popoli rovinati dal “nichilismo” postmoderno, dal multiculturalismo dilagante, in fondo dall’eccesso di libertà – da un lato – e il bisogno di metafisica dei rivoluzionari e di tutti i rivoltosi che si sentono legittimati dai “diritti umani” universali?

Max WeberMax WeberLa differenza, come è facile vedere, sta nel fatto che alcuni invocano la metafisica per mantenere lo status quo – la morale familiare tradizionale, il potere sacrale delle gerarchie religiose, anche semplicemente la validità “oggettiva” della scienza ufficiale o l’indiscutibilità dell’opinione pubblica mainstream dei grandi giornali e delle grandi catene televisive; mentre altri si richiamano alla metafisica come a una verità che si oppone criticamente allo status quo e vuole cambiarlo. Viene in mente qui una frase di un grande filosofo nordamericano (e grande amico) scomparso negli anni recenti, Richard Rorty, che diceva:

“Prendetevi cura della libertà, la verità si difenderà da sé”.

Inteso in questo senso, il “bisogno di metafisica” non è qualcosa di nuovo, ha una storia identica a quella dell’umanità o almeno dell’homo sapiens, dell’homo politicus che vive in una società e deve fare i conti con i rapporti di forza. Questo si può esprimere con l’aforisma con cui Nietzsche inizia il primo volume di Umano, troppo umano:

“I problemi filosofici riprendono oggi la stessa forma che avevano duemila anni fa”.

Ma ciò perché, come Nietzsche indica in tante altre pagine della sua opera, viviamo ormai in una società caratterizzata da una “selvatichezza indiana” (la società capitalistica già così fiorente al suo tempo), dove – ed è questo il senso del nichilismo che noi chiamiamo postmoderno – i valori supremi si sono svalutati, e vige un politeismo dei valori, come lo chiama Max Weber, in cui nulla funge più da punto di riferimento definitivo e bisogna prender atto che nessuno può parlare dal punto di vista (divino) della verità universale. Anche i differenti significati che può assumere il bisogno di metafisica esprimono il politeismo dei valori, sono resi possibili dall’avvento del nichilismo.

Friedrich NietzscheFriedrich NietzscheRiassumo: il bisogno di metafisica caratterizza tutta la storia dell’essere umano civilizzato – il quale nella comunità in cui vive ha bisogno di legittimazione sia nei confronti dei suoi simili, sia nella relazione con la propria coscienza morale (che ha introiettato le aspettative della comunità e verso cui si sente responsabile). Oggi, questo bisogno si fa sentire in modo più prepotente e urgente, perché le stesse condizioni della civilizzazione entro cui viviamo hanno condotto al politeismo dei valori, o a quella che con Nietzsche chiamiamo la scuola del sospetto: non ci fidiamo più delle pretese di universalità della verità, anche e soprattutto perché nel mondo moderno sempre più globalizzato hanno preso la parola culture e “metafisiche” diverse. Ciò è stato possibile anche e soprattutto perché l’universalismo della filosofia europea e occidentale è stato messo in discussione, praticamente, dalle rivolte dei popoli cosiddetti primitivi, che hanno fatto valere le proprie ragioni. In questa situazione, il bisogno di metafisica si fa sentire ormai solo in due formulazioni irriducibili l’una all’altra: o quella delle auctoritates, che hanno interesse a mantenere l’ordine, per dir così, che garantisce anche il loro potere (siano essi papi o comunità scientifiche autorizzate e finanziate da governi e corporations); o quella degli esclusi che vogliono cambiare lo status quo e cercano una legittimazione del loro progetto. Il “metà”, l’oltre, di “metafisica” ha dunque due significati: una verità oltre il visibile e il sapere quotidiano, che è posseduta solo dalle auctoritates; o una “verità” progettuale che non si fonda sui fatti e i “dati”, ma sulla forza del progetto stesso.

Capisco che una situazione come questa appaia “pericolosa” e sembri persino poco “filosofico” tentare di esprimerla. Eppure anche questa tesi può richiamarsi a illustri precedenti filosofici: Nietzsche come teorico del nichilismo compiuto nella storia del pensiero e della scienza europea; Heidegger come critico della metafisica in quanto preteso rispecchiamento della “realtà” da rispettare anche come norma dell’agire umano. Quando Nietzsche scrive che Dio è morto, ed è stato ucciso dai suoi fedeli, vuol dire semplicemente quello che noi intendiamo parlando di postmoderno: è la stessa progressiva integrazione del mondo sotto la spinta delle forze politiche e tecniche della modernità che determina alla fine il politeismo dei valori nel quale non c’è più universalità possibile. All’annuncio che Dio è morto, Nietzsche aggiunge anche l’invito: ora vogliamo che vivano molti dèi. Per l’appunto. Muore l’unità moderna – imperialista, colonialista, tecnico-scientifica e anche metafisica – del mondo; e la possibilità della pace – che finora era assicurata dall’unità di un dominio (imperi, poteri sovranazionali, chiese) – si può realizzare solo riconoscendo le molte metafisiche e creando le condizioni perché esse aprano negoziati tra di loro. La verità universale non è alla base e all’inizio di tutto, la si può realizzare solo alla fine, attraverso il libero consenso.

Martin HeideggerMartin HeideggerInutile dire che nell’alternativa tra metafisica delle auctoritates e metafisica degli esclusi, la metafisica buona, da scegliere, è la seconda. Non solo per amore degli esclusi, né solo per simpatia con il pensiero ancora metafisico di Marx, per il quale chi è espropriato, e dunque senza veli ideologici, vede la verità vera. C’è alla base della scelta che preferisco un’idea dell’essere e della filosofia che mi viene anzitutto da Heidegger, che con Sein und Zeit ha criticato definitivamente (così pare a me) l’idea che l’essere sia una struttura stabile data che il pensiero dovrebbe rispecchiare adeguatamente e rispettare come norma. È la metafisica intesa in questo modo quella che, alla fine, esclude la libertà, la storicità, la struttura aperta dell’esistenza. Heidegger formulava questa critica negli anni venti del Novecento, anche lui per ragioni non puramente teoriche: prendeva atto, insieme alle avanguardie artistiche e intellettuali dell’epoca, che la metafisica oggettivistica stava producendo alla fine l’oggettivazione universale dell’umano e preparava quella che la Scuola di Francoforte avrebbe chiamato la società della totale Verwaltung, del dominio razionalistico totalitario. Per lui e gli esistenzialisti dell’epoca si trattava di opporre a tutto questo una nuova ontologia, appunto una concezione dell’essere che rendesse pensabile la libertà e il futuro.

Come per Heidegger a inizio del secolo passato, così anche per noi quello che appare come un nuovo bisogno di metafisica non è ispirato da ragioni teoriche; noi abbiamo bisogno di meta-fisica, di un “oltre”, perché nel frattempo la Verwaltung è diventata sempre più totale, con la differenza che oggi è anche infinitamente più visibile. Nessuno, o quasi nessuno, crede più alle verità metafisiche “universali”. Come nel caso della morte di Dio di Nietzsche, i nuovi dèi, o anche semplicemente un nuovo dio in cui sperare non può più essere il dio della metafisica classica, quello che Pascal chiamava il dio dei filosofi. Così la metafisica di cui sentiamo il bisogno non può più pensarsi come verità necessaria, data, universale. Le rovine prodotte dalle pretese universalistiche del pensiero europeo (persecuzioni religiose, colonialismo, fondamentalismi di ogni tipo) sono ormai visibili a tutti. È per questo che anche i poteri tradizionali (chiese, stati, scienza ufficiale, etica) invocano la metafisica, perché stanno perdendo la loro credibilità, e vogliono di nuovo controllare le coscienze, i fedeli dei “molti dèi”, mediante principi unitari e assoluti. Contro di loro, si leva l’esigenza di una metafisica che, come suggeriva Rorty, prediliga la libertà rispetto alla verità “oggettiva”. La quale ha sempre bisogno di un potere assoluto per farsi valere. L’azione per rendere possibile una società dove le diverse metafisiche possano liberamente confrontarsi, negoziando accordi che non le costringano a rinnegarsi in nome di una verità assoluta – anche una tale azione richiede un impegno “metafisico”. Posso suggerire che un simile impegno ha più da fare con il precetto religioso, non solo cristiano, della carità, piuttosto che con il raggiungimento di principi ultimi che garantirebbero la pace costringendo tutti a riconoscerli come veri?

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