Girolamo De Michele, A che serve la filosofia?

by gabriella

filosofia de micheleLa filosofia è l’attività di costruzione dei concetti, secondo la definizione di Gilles Deleuze e Felix Guattari. Girolamo De Michele spiega a cosa serve la filosofia con l’esempio del concetto di “altri”. Ne segue il paradosso che la filosofia, pur essendo totalmente inservibile, inutilizzabile (e dunque libera) è l’attività più utile di tutte.

Se seguite il basket americano, non potete non sapere chi è Phil Jackson. In ogni caso, basterà sapere che è l’allenatore che ha vinto più titoli di ogni altro: ben 11, 6 con i Chicago Bulls e 5 con i Los Angeles Lakers (più 1 nelle serie minori e 2 come giocatore).

Phil Jackson ha l’abitudine di distribuire libri di filo­sofia ai suoi giocatori, e di leggere pagine dei filosofi negli spo­gliatoi, mentre altri ripassano gli schemi prima della partita; tra i suoi libri preferiti ci sono Così parlò Zarathustra di Nietzsche, l’Etica Nicomachea di Aristotele e Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig.

Perché regala ai cam­pioni che allena libri di filosofia? Perché, sostiene Phil Jackson, la filosofia ti aiuta a capire che nel mondo esistono anche gli al­tri: “gli altri” è un concetto importante in uno sport di squadra nel quale non puoi vincere da solo, neanche se sei il miglior giocatore del mondo.

In effetti quello che rende Phil Jackson un grande allenatore è proprio questo: spesso ha allenato i mi­gliori giocatori del mondo (Michael Jordan, ad esempio), o gio­catori che si credevano tali (Shaquille O’Neal o Kobe Bryant, ad esempio), ed è riuscito a farli giocare all’interno di un grup­po, e non da soli.

Salutiamo Phil Jackson, e teniamoci le sue paPhil Jacksonrole. Cosa vuol dire: “nel mondo esistono anche gli altri”? In che senso “gli altri” è un concetto? Che cos’è un concetto? E soprattutto, a cosa serve la filosofìa (a parte vincere il campionato NBA)?

Dire che esistono “gli altri” non è una cosa banale: c’è un’in­tera visione del mondo dentro la parola “altri”. Chi sono gli “altri”?

Sono tutti quegli esseri viventi che condividono, o par­tecipano, a una essenziale qualità o caratteristica che io trovo dentro me stesso? In questo caso, chiameremo questa caratteri­stica “umanità”, e da essa faremo derivare determinati diritti che definiremo inviolabili.

O forse no, se troveremo questa ca­ratteristica anche in altri esseri viventi non-umani: e allora estenderemo il concetto di “diritto inviolabile” anche agli ani­mali, ai quali non saremo liberi di fare tutto ciò che ci piace (ad esempio torturarli nei laboratori, infliggere loro crudeltà, farne dei portatori di pelliccia a nostra disposizione, addirittura fare del cibo a nostra disposizione).

Come vedete, per costruire la parola “altri” e dotarla di senso bisogna compiere molte ope­razioni mentali, ciascuna delle quali è in rapporto con un deter­minato comportamento pratico.

Oppure potremmo pensare che “gli altri” siano qualcosa che precede la scoperta della nostra identità, e che quindi in qual­che modo noi siamo quello che siamo in conseguenza dell’esi­stenza di “altri”: siamo quello che siamo per effetto della socie­tà nella quale nasciamo, o della famiglia (delle figure familiari, o almeno di alcune, che ci hanno dato una “educazione”), dei modelli che ci siamo, volontariamente o meno, scelti, o di qual­cuno che ha determinato decisivi cambiamenti nella nostra per­sonalità.

In questo caso gli “altri” non sarebbero un’estensione del nostro Io (un passaggio dall’“Io” al “noi”), ma al contrario un’interiorizzazione degli “altri” in noi (dal “noi” all’“io”, più o meno).

In questo caso il concetto di “umanità”, o di “essere vi­vente” portatore di diritti inviolabili e inalienabili è più ampio del precedente: negli “altri” potrebbero esserci caratteristiche che non sono presenti in noi, e non saremo autorizzati a esclu­dere certi esseri viventi solo perché in loro non troviamo ciò che riteniamo essenziale per definire la nostra identità.

Deleuze

Gilles Deleuze (1925 – 1995)

Questi esempi (che non esauriscono il concetto di “altri”) ci mostrano come funziona un “concetto”, che è lo strumento fondamentale dei filosofi.

Il concetto è una parola che non si li­mita a nominare un determinato oggetto (come “casa”, “martel­lo”, “calamaio”), ma un insieme di significati complessi, che tutti insieme comportano una concezione del mondo.

Il concetto funziona come il confine di una regione sulla carta geografica: è una linea che, più che separare questa regione da un’altra, indi­ca cosa diverse regioni hanno in comune, e mette quindi in contatto regioni e territori che non confinano tra loro.

Ma attenzione: non facciamo l’errore di credere che i filosofi si distin­guano dagli altri esseri umani perché possiedono una visione del mondo. Ogni essere umano ha una visione del mondo che orienta le sue azioni e dà un senso a quello che fa: può non es­serne consapevole, ma ce l’ha; può essere fondata su una nozio­ne errata (ad esempio che non ci sia nulla al di là delle colonne d’Èrcole, o che la Terra sia il centro dell’universo), ma ce l’ha.

Ogni uomo è quindi, potenzialmente, filosofo, e la filosofia è l’espressione dell’umanità, cioè della possibilità di usare la ragione per inserire ogni singolo particolare dentro un disegno più ampio. Rispetto a questa possibilità, il filosofo fa una cosa che lo caratterizza: esprime questa complessità con un “concet­to”.

Il matematico fa la stessa cosa, ma non usa i concetti: usa piuttosto i numeri, o le funzioni. L’artista fa lo stesso, ma usa le percezioni – meglio: quella particolare relazione che esiste tra la percezione e la sua elaborazione in un oggetto artistico. Il filo­sofo, quindi, non è in alcun modo superiore all’uomo di scienza o all’artista: fa una cosa peculiarmente diversa, ma non per que­sto migliore o peggiore. […]

 

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