Gunther Teubner, Ordinamenti frammentati e costituzioni sociali

by gabriella

TeubnerIl lavoro di Gunther Teubner rappresenta il tentativo di ripensare il costituzionalismo alla luce della teoria sistemica di Niklas Luhmann, così da permettere alla teoria dei diritti fondamentali di fronteggiare le sfide contemporanee della globalizzazione, della privatizzazione e della digitalizzazione [qui il suo testo, a mio avviso, fondamentale].

Nel discorso pronunciato in occasione del conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Macerata [pubblicato nella «Rivista giuridica degli studenti dell’Università di Macerata», 0 (2010), pp. 45-57.] il giurista si è concentrato sulla capacità delle costituzioni e dei diritti fondamentali di vincolare gli stati che agiscono per mezzo di privati, e i privati che operano su un piano sempre più trasnazionale, sfuggendo al regime sanzionatorio degli stati nazione.

1. La nuova questione costituzionale

1.1 Gli effetti orizzontali dei diritti costituzionali
Durante la disastrosa epidemia di Aids in tutto il Sud Africa sono morte più persone di quante ne abbiano uccise le guerre civili degli anni ’90. I molteplici problemi sociali connessi al caso giudiziario Hazel Tau contro Glaxo e Boehringer sono stati tradotti in poche questioni di natura giuridica:

«La politica dei prezzi delle imprese farmaceutiche transnazionali ha violato i diritti umani fondamentali? Più in generale, i diritti fondamentali possono vincolare direttamente, non solo gli Stati, ma anche gli attori privati che agiscono in ambito transnazionale?».

Nell’ottobre 2003, la Commissione nazionale sulla concorrenza ha dovuto decidere se coloro che agivano in giudizio contro le industrie GlaxoSmithKline erano titolari di un effettivo diritto di accesso alle cure mediche per l’HIV. Da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico, gli attori basavano le loro rivendicazioni sul fatto che le suddette case farmaceutiche, avendo aumentato in modo eccessivo il prezzo degli antiretrovirali a danno dei consumatori, avevano violato il Competition Act 89 del 1998. Essi accusavano le case farmaceutiche – attori collettivi privati – di aver violato i diritti umani, sostenendo la seguente tesi:

«Il prezzo eccessivo degli ARV è direttamente responsabile della morte prematura, prevedibile ed evitabile delle persone affette da HIV/AIDS, sia adulti che bambini».

Con un esito inaspettato, la causa è stata vinta dai pazienti affetti da AIDS.
La questione giuridica degli effetti “orizzontali” dei diritti fondamentali, ossia la questione relativa alla capacità dei diritti fondamentali di vincolare oltre i sistemi statali, anche le organizzazioni private, assume attualmente in ambito transnazionale un rilievo decisamente maggiore che nei singoli contesti statali.
Tale questione diviene particolarmente controversa quando le violazioni dei diritti umani da parte delle società multinazionali sono semplicemente presunte. A questo proposito, mi limiterò a citare alcuni esempi particolarmente illuminanti: l’inquinamento ambientale e il trattamento disumano di gruppi di popolazione locale, come nel caso della Shell in Nigeria; la catastrofe chimica in Bhopal; le vergognose condizioni di lavoro in cui versa la manodopera nelle aziende cosiddette “sfruttatrici” presenti sia in Asia sia in America Latina; la politica di innalzamento dei prezzi delle industrie farmaceutiche di fronte al dramma AIDS in Sud Africa; lo sfruttamento del lavoro minorile da parte dei gruppi IKEA e NIKE; l’accusa mossa al produttore di articoli sportivi Adidas di aver realizzato palloni grazie al lavoro forzato in Cina; l’uso di velenosissimi pesticidi nelle piantagioni di banane; la “scomparsa” di lavoratori sindacalizzati.

La crescente privatizzazione degli apparati pubblici contribuisce a rendere la questione giuridica degli effetti orizzontali dei diritti fondamentali un argomento scottante all’interno del dibattito politico. Le dottrine giuridiche sugli effetti orizzontali di solito eludono la delicata questione relativa alla possibilità che i diritti umani impongano vincoli “diretti” agli attori privati. Esse tendono piuttosto a sviluppare numerose teorie che in genere concordano nell’affermare che i diritti fondamentali hanno solo effetti “indiretti” nella sfera privata.

Il crescente fenomeno della globalizzazione contribuisce, poi, a complicare ulteriormente la situazione. In ambito transnazionale, infatti, la questione concernente la capacità dei diritti fondamentali di vincolare o meno gli attori privati diventa ancora più delicata e rilevante rispetto al contesto del singolo stato nazione.

1.2 Il costituzionalismo sociale
La situazione, così come è stata fin qui delineata, implica un problema teorico di portata giuridica più ampia. Si tratta di chiedersi in che modo la teoria costituzionale tenti di rispondere alle sfide che sorgono dalle due grandi tendenze che caratterizzano la nostra epoca: la privatizzazione e la globalizzazione. Questo è il principale quesito che l’attuale “questione costituzionale” dovrebbe porsi. Il costituzionalismo contemporaneo supera i confini dello stato-nazione e, muovendosi simultaneamente in due direzioni, penetra sia nel contesto transnazionale che nel settore privato.
Le vecchie costituzioni degli stati-nazione si servivano del diritto per riuscirea sviluppare e a far emergere le dinamiche delle politiche democratiche e, allo stesso tempo, per limitare e regolare il potere repressivo. L’obiettivo attuale, invece, è quello di favorire e di disciplinare dinamiche sociali piuttosto diverse, e di farlo a livello globale. Riuscirà la teoria costituzionale a generalizzare le idee sviluppate con riferimento allo stato-nazione e a ri-specificarle in modo da poterle adattare alle questioni contemporanee?
La teoria costituzionale contemporanea è ancora stato-centrica. Questo rappresenta un vero e proprio “ostacolo epistemologico” che rende la teoria costituzionale scarsamente equipaggiata per affrontare le organizzazioni private che operano a livello transnazionale. L’alternativa da sviluppare è quella di un costituzionalismo senza stato. Per i teorici del costituzionalismo questo equivale ad infrangere un taboo. La mia tesi è che noi oggi assistiamo all’emergere di una molteplicità di costituzioni civili.

Far coincidere la costituzione di una società mondiale con le istituzioni rappresentative delle politiche internazionali è troppo riduttivo, così come non è possibile realizzare una costituzione unitaria globale in grado di comprendere e regolare tutti gli ambiti sociali. La costituzione di una società mondiale emerge, invece, in modo incrementale dalla costituzionalizzazione di una molteplicità di sottosistemi autonomi della società mondiale.

2. La globalizzazione frammentata
Il costituzionalismo sociale di cui parlo presuppone la comprensione del carattere policentrico della globalizzazione. Possiamo raggiungere questa consapevolezza solo se accettiamo di rinunciare a cinque assunti ampiamente diffusi nella teoria sociale e giuridica, per sostituirli con alcune idee del tutto inusuali.

2.1 I conflitti di razionalità in una società globale policentrica
Un primo assunto che deve essere abbandonato è quello in base al quale la globalizzazione del diritto viene considerata essenzialmente un risultato dell’internazionalizzazione dell’economia.
L’alternativa ad una tale forma di globalizzazione diretta dall’economia è la “globalizzazione policentrica”. Il primo fattore di questo sviluppo è la differenziazione funzionale della società: ognuno dei molteplici sottosistemi funzionali autonomi della società supera i confini territoriali e si costituisce esso stesso globalmente. Questo processo non è limitato ai soli mercati economici, ma coinvolge anche la scienza, la cultura, la tecnologia, la salute, il settore militare, i trasporti, il turismo e lo sport, ed inoltre, sebbene con un certo ritardo, la politica, il diritto e il welfare.

L’aspetto interessante del panorama attuale è rappresentato dall’insieme di relazioni che questi villaggi globali intrattengono con l’esterno. In questo caso, più che altrove, appare appropriata la nozione di “scontro tra culture”. Attraverso la propria chiusura operativa, i sistemi funzionali globali si creano una propria sfera di azione all’interno della quale essi sono liberi di intensificare la propria razionalità indipendentemente dagli altri sistemi sociali e dal loro ambiente naturale o umano. Nella sua pionieristica analisi Karl Marx aveva già messo in evidenza il potenziale distruttivo di una razionalità economica globalizzata. Elaborando il concetto di “politeismo moderno” Max Weber è andato ancora oltre. Egli ha identificato il potenziale distruttivo di altri ambiti esistenziali ed ha analizzato i pericolosi conflitti di razionalità che ne derivano.
Nel frattempo, i rischi per l’uomo e per l’ambiente creati dai sistemi globali altamente specializzati, come la scienza e la tecnica, sono diventati palesi ad un pubblico sempre più ampio. Se poi prendiamo in considerazione i paesi cosiddetti del Sud del mondo, risultano del tutto evidenti i rischi reali che derivano dallo “scontro tra forme contrastanti di razionalità”, scontro acuito dal forte antagonismo tra le diverse sfere di razionalità economica, politica, scientifica e tecnologica.

Secondo la tesi centrale di Niklas Luhmann le principali cause di questi rischi devono essere ricercate nel processo di massimizzazione della propria razionalità adottato dai diversi sistemi funzionali globali, un processo che espone a gravi rischi gli uomini, la natura e l’intera società. In questa prospettiva, le presunte violazioni dei diritti umani da parte delle imprese multinazionali non possono essere considerate come meri conflitti tra diritti individuali, ossia tra i diritti di proprietà delle aziende e i diritti umani della popolazione coinvolta. Tali violazioni rappresentano, piuttosto, uno scontro tra forme istituzionalizzate di razionalità: esse sono radicate nelle diverse politiche adottate dalle organizzazioni transnazionali.

2.2 I regimi giuridici transnazionali
In secondo luogo, dobbiamo rinunciare all’idea che esistano sistemi giuridici solo a livello statale. Al contrario, il diritto si è esso stesso diffuso globalmente come sistema funzionale unitario mondiale. Malgrado la sua unitarietà a livello globale il diritto deve fare i conti con una moltitudine di contraddizioni interne. Di conseguenza, l’unità interna del diritto globale viene ridefinita e non coincide più con la coerenza normativa, ma con una “inter-normatività” attiva ed efficace.

Il diritto si è differenziato ulteriormente al proprio interno. Questa nuova differenziazione interna al diritto è il risultato del forte impatto che la differenziazione sociale ha avuto sul sistema giuridico. Per secoli il diritto ha seguito la logica politica dello stato-nazione e si è manifestato attraverso una varietà di ordini giuridici nazionali. Ognuno di essi aveva una propria giurisdizione territoriale. Negli ultimi cinquanta anni, attraverso un processo di rapida e continua espansione, alcune istituzioni transnazionali, in particolare l’Organizzazione mondiale del commercio, si sono affermate come regimi normativi autonomi a livello globale. Al contrario di quanto comunemente si crede, lo sviluppo di un sistema giuridico globale non implica l’integrazione o la convergenza dei vari ordini giuridici. L’elevata frammentazione sociale, infatti, influenza il diritto in modo tale che la regolamentazione politica di sfere sociali differenziate richiede la creazione di arene politiche altamente specializzate che regolano giuridicamente se stesse.

Di conseguenza, la tradizionale differenziazione del diritto in ordini giuridici nazionali relativamente autonomi in conformità al principio di territorialità, viene superata da un principio di differenziazione che potremmo definire settoriale. Nel senso che si assiste alla progressiva differenziazione del diritto globale in regimi giuridici sopranazionali che delimitano gli ambiti di propria giurisdizione non più attraverso i confini territoriali, ma attraverso il riferimento a materie e settori specifici.

2.3 I regimi giuridici transnazionali “privati”
Queste considerazioni, tuttavia, non sono ancora sufficienti a fornirci un quadro abbastanza esaustivo della globalizzazione giuridica. Infatti, dobbiamo ancora parlare della altrettanto rapida crescita dei regimi giuridici “privati”, gli unici in grado di contribuire alla nascita di un vero e proprio “diritto globale senza stato”. Fenomeno, questo, che può essere considerato il principale responsabile della multidimensionalità del pluralismo giuridico globale. Una piena comprensione di questo pluralismo giuridico multidimensionale può essere raggiunta solo a patto di rinunciare ad un terzo assunto presente nella teoria politica e sociale. Ossia, alla convinzione che il diritto derivi la propria validità esclusivamente da processi di produzione normativa promossi dallo stato; ovvero, alla convinzione che il diritto, per essere qualificato come tale, debba necessariamente scaturire o da fonti giuridiche interne certe, oppure da fonti internazionali ufficialmente riconosciute. Ritengo opportuna, invece, una dilatazione semantica del nostro concetto di diritto, in modo tale che esso possa includere anche le norme operanti a prescindere dalle fonti giuridiche dello stato o del diritto internazionale.

Le “comunità transnazionali”, ossia i frammenti autonomi di società ormai globalizzati, come l’economia, la scienza, la tecnologia, i mass-media, la medicina, l’istruzione e i trasporti, stanno sviluppando una enorme “fame di diritto”, un’esorbitante richiesta di norme giuridiche. Poiché le istituzioni nazionali o internazionali non riescono a far fronte a tale richiesta, essa viene soddisfatta attraverso un autonomo ricorso al diritto. Nel senso che assistiamo al fenomeno sempre più diffuso della creazione, da parte di regimi giuridici privati a carattere globale, di un diritto sostanziale ad essi proprio. Questi regimi tendono a fare un uso sempre maggiore di proprie fonti del diritto, ossia di fonti che si situano al di fuori delle sfere di produzione normativa nazionale e dei trattati internazionali.

2.4 Il costituzionalismo nei regimi giuridici transnazionali
La progressiva frammentazione della società globale e l’impatto che questo fenomeno ha avuto sul diritto comportano ulteriori implicazioni per la teoria costituzionale. A livello globale, il centro focale del processo di costituzionalizzazione si allontana dal sistema di relazioni internazionali per avvicinarsi ai vari regimi sociali, i quali sono sempre più in grado di dotarsi di proprie costituzioni civili. In sintonia con il concetto di pluralismo costituzionale, ci sembra appropriato utilizzare il termine “costituzione” anche nel caso di organismi collettivi che esistono al di fuori dei confini dello stato-nazione.

Il termine “politica” in questo contesto non deve essere inteso nel senso delle politiche istituzionalizzate. Ma deve essere riferito anche alle istituzioni non politiche in senso stretto della società civile, dell’economia, della scienza, dell’istruzione, della salute, delle arti e dello sport, ossia a tutti gli ambiti sociali in cui si realizza il processo di costituzionalizzazione. In questo modo, agendo in qualità di regimi auto-costituzionali, regimi già di per sé autosufficienti si rafforzano ulteriormente. Definire tali regimi come autosufficienti significa che essi, oltre a creare norme primarie specialistiche, ossia norme di diritto sostanziale in specifici ambiti giuridici, elaborano anche proprie regole procedurali per la produzione, l’interpretazione e l’applicazione del diritto, cioè un insieme di norme cosiddette “secondarie”. In ogni caso, questo meccanismo riflessivo di produzione normativa non si configura ancora come processo normativo di tipo costituzionale in senso proprio. Le norme secondarie diventano norme costituzionali solo quando si sviluppano in modo strettamente parallelo alle norme delle costituzioni politiche (in senso ampio). Le costituzioni “politiche” in tale senso non contengono semplicemente le norme giuridiche di grado più elevato.
Al contrario, esse istituiscono un accoppiamento strutturale tra i meccanismi riflessivi della produzione giuridica e quelli della politica. Conseguentemente, la definizione di regime auto-costituzionale implica l’esistenza di un legame tra i meccanismi riflessivi di tipo giuridico e i meccanismi riflessivi che riguardano gli altri sistemi sociali. Per meccanismo riflessivo si intende un meccanismo che viene applicato a se stesso, come per esempio, la normazione di normazione, l’applicazione di principi politici al processo politico, la teorizzazione di teorie come sottoforma di epistemologia, etc.

I regimi auto-costituzionali, pertanto, sono caratterizzati da un doppio processo di riflessività. In un sistema sociale autonomo, la produzione giuridica di tipo secondario viene combinata con i principi fondamentali di razionalità propri del sistema stesso. Le costituzioni societarie realizzano un accoppiamento strutturale tra la produzione di norme secondarie di tipo giuridico e i meccanismi riflessivi che operano negli altri settori sociali. Di conseguenza, un processo di costituzionalizzazione non statale, non politico, ma guidato dalla società, si realizza nella misura in cui i meccanismi riflessivi di tipo sociale, che determinano i propri scopi razionali attraverso l’auto-applicazione, vengono giuridicizzati mediante il loro collegamento ai meccanismi riflessivi di tipo giuridico. Se si affronta il problema in questi termini, ha senso parlare dell’esistenza di elementi costituzionali all’interno del sistema economico, del sistema accademico e in quello digitale di Internet. Infatti, pur trattandosi di contesti assolutamente diversi tra di loro, in ognuno di essi è possibile rinvenire elementi caratteristici di una costituzione: le disposizioni sulla formazione e l’esercizio del potere decisionale (norme organizzative e procedurali) e la definizione delle libertà individuali e delle autonomie sociali (diritti fondamentali).

2.5 Lo scontro tra i diversi regimi costituzionali
Che significato ha parlare di scontro tra diversi regimi costituzionali rispetto alla ricorrente idea di un’unica costituzione mondiale? L’ultimo assunto da abbandonare è proprio la speranza di poter elaborare un’unica costituzione applicabile a livello globale. Si tratta di una tesi accolta, tra gli altri, anche da filosofi politici come Jürgen Habermas. Ogni aspirazione ad una unità costituzionale del diritto globale è senza dubbio una chimera. La società globale, infatti, è una “società senza un vertice né un centro”. Come conseguenza del decentramento delle politiche, in realtà non esiste nessuna autorità tale da rivestire una posizione che possa permettere di intraprendere un processo di costituzionalizzazione dei vari frammenti societari.

Dopo il collasso delle gerarchie giuridiche, l’unica opzione realistica è quella di sviluppare forme gerarchiche di diritto con la sola funzione di creare libere relazioni tra i frammenti costituzionali. I contrasti tra i diversi regimi costituzionali potrebbero essere risolti attraverso un processo selettivo di formazione di reti di diffusione delle informazioni. Un tale processo potrebbe rafforzare giuridicamente i network già di fatto esistenti tra i vari regimi costituzionali: il collegamento di ogni regime costituzionale con gli altri regimi sociali autonomi; e, ancora più importante in questo contesto, il collegamento dei singoli regimi costituzionali tra di loro. I recenti sviluppi della network theory possono così essere applicati al diritto costituzionale internazionale. Questa teoria ha identificato l’esistenza di una paradossale logica di azione all’interno dei network, la unitas multiplex delle configurazioni eterarchiche. Intesi come “contesti altamente improbabili di riproduzione di elementi eterogenei” i network sono le contro-istituzioni dei regimi autonomi. Combinando differenti logiche di azione, essi riescono a mediare tra sistemi funzionali autonomi, tra organizzazioni formali e, ciò che più interessa al nostro scopo, tra regimi normativi autonomi.

A livello analitico possono essere identificati tre principi guida per il networking decentralizzato dei regimi giuridici:
1. la semplice compatibilità normativa anziché l’unità gerarchica del diritto;
2. un processo di produzione costituzionale che nei regimi transnazionali come in quelli statali si realizza attraverso la reciproca stimolazione, osservazione e riflessività di tali regimi giuridici autonomi;
3. l’utilizzo di modalità decentrate per gestire i conflitti tra i vari regimi costituzionali mediante procedure giuridiche.

3. Diritti costituzionali nei regimi privati transnazionali
3.1 I diritti fondamentali come limiti alle politiche dello stato-nazione

A questo punto è giunto il momento di chiederci: quali sono le conseguenze del costituzionalismo sociale per i diritti fondamentali? Se si escludono le norme procedurali che regolano i processi decisionali, i diritti fondamentali sono gli elementi più importanti delle costituzioni. Nel loro specifico significato moderno, i diritti fondamentali nascono a seguito dell’autonomizzazione di una molteplicità di universi comunicativi separati, di una pluralità di “matrici” diverse, se così si può dire. Nel corso del tempo, come è stato ben evidenziato fin dall’epoca di Macchiavelli, la matrice della politica diviene autonoma. La sfera politica si libera progressivamente da tutti i forti legami con la morale, la religione e l’economia che caratterizzavano la vecchia società europea, ed estende il proprio potere senza alcuna restrizione di tipo immanente.

Attraverso la propria chiusura operativa e la propria autonomia strutturale il sistema politico sviluppa tendenze espansionistiche che, in effetti, assumono una connotazione decisamente imperialistica. Così, il potere centralizzato per legittimare le decisioni collettive, assume una tendenza ad espandersi all’interno della società al di là di ogni limite. In questo modo esso libera forze altamente distruttive.

L’espansione della matrice politica procede in due direzioni diverse. In primo luogo, attraversa i confini di tutti gli altri sistemi sociali. La loro risposta nei confronti delle ingerenze della politica consiste nell’invocare la propria autonomia comunicativa. Ed è proprio in questa rivendicazione di autonomia che possiamo identificare l’atto di nascita dei diritti fondamentali. La funzione dei diritti fondamentali, infatti, è proprio quella di sottrarre alla politica alcune sfere di autonomia ascritte sia alle istituzioni sociali, sia alle persone in quanto costruzioni sociali. In entrambi i casi i diritti fondamentali pongono dei limiti alle tendenze totalitarie della matrice politica all’interno della società. In secondo luogo, nel suo intento di controllare sia il corpo sia la mente degli uomini, la politica si espande con una particolare energia superando ogni barriera sociale.

Le proteste che ne derivano vengono tradotte socialmente in lotte politiche tra oppressi ed oppressori. Questi scontri alla fine si concludono con compromessi che assicurano garanzie di auto-limitazione da parte del sistema politico nei confronti dei singoli individui. A differenza dei suddetti diritti fondamentali riconosciuti alle istituzioni e alle persone, queste garanzie politiche possono essere considerate diritti umani in senso stretto.

3.2 La moltiplicazione dei sistemi sociali
Questo modello orientato alla politica e allo stato dei diritti fondamentali funziona solo se lo stato può essere equiparato alla società o, al limite, solo se lo stato viene considerato come la forma organizzativa della società, e la politica come una sua coordinazione gerarchica. Tuttavia, nella misura in cui altri media comunicativi altamente specializzati – come il denaro, il sapere, il diritto, la medicina, la tecnologia – acquisiscono autonomia, questo modello perde la sua plausibilità. In tal senso, gli effetti orizzontali dei diritti umani fondamentali diventano rilevanti. La frammentazione della società moltiplica le zone di confine tra le matrici comunicative autonomizzate e gli esseri umani. Ogni nuovo “territorio” traccia i propri confini rispetto al proprio ambiente umano, ed è qui che sorgono nuovi rischi e pericoli per l’integrità fisica e mentale dell’uomo e per l’autonomia delle sfere istituzionali comunicative.

Sulla base di tali considerazioni, ritengo che l’applicazione dei diritti fondamentali non può essere limitata ai rapporti tra individuo e stato. Una specifica situazione di pericolo per l’integrità degli individui e delle istituzioni da parte di una matrice comunicativa proviene non solo dalla politica ma, in linea di principio, anche da tutti quei settori sociali che mostrano tendenze espansionistiche. Per quanto concerne la matrice economica, Marx ha evidenziato questa situazione di pericolo soprattutto attraverso i concetti di alienazione, di autonomia del capitale, di mercificazione del mondo, di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Oggi noi assistiamo – come risulta in modo estremamente chiaro dagli scritti di Focault, di Agamben, di Legendre, ad attentati simili all’integrità individuale e istituzionale da parte delle matrici delle scienze naturali, della psicologia, delle scienze sociali, della tecnologia, della medicina, della stampa, della radio e della televisione. I crudeli esperimenti realizzati dal dottor Mengele sui prigionieri dei campi di concentramento non devono essere considerati solo come l’espressione di una personalità sadica o di un asservimento della scienza alla politica nazista. Recenti ricerche sul coinvolgimento di prestigiosi istituti scientifici rivelano che tali esperimenti devono essere considerati anche come un risultato della tendenza espansionistica delle scienze naturali a sfruttare qualsiasi occasione per accumulare sapere, se tali scienze non vengono limitate da controlli esterni.

3.3 Le matrici anonime dei processi comunicativi
Se la violazione dei diritti fondamentali deriva dalle tendenze totalitarie di razionalità parziali, non esistono più motivi per considerare gli effetti orizzontali dei diritti fondamentali come se i diritti degli attori privati dovessero essere rivolti uno contro l’altro. La metafora della “orizzontalità” sottrae in modo assolutamente inaccettabile all’intera questione dei diritti umani ogni suo aspetto spinoso, come se lo scopo dei diritti umani fosse solo quello di proteggere i singoli individui minacciati da altri individui. La violazione dell’integrità individuale da parte di altri individui concerne una serie di problematiche completamente diverse, che nascono dalla radicale frammentazione della società contemporanea. Tale questione deve essere tenuta sistematicamente separata dalla questione dei diritti fondamentali in quanto tali.

Nella tradizione europea il problema dei conflitti individuali è stato affrontato attraverso l’attribuzione di “diritti soggettivi” alle persone. La teoria dei diritti soggettivi nella tradizione kantiana delimita idealmente per ogni cittadino la rispettiva sfera di godimento delle libertà personali, in modo tale che il diritto assume una forma generalizzata. Questa idea è stata sviluppata in modo molto più chiaro nel classico diritto delle obbligazioni, in cui la violazione dei diritti soggettivi assume un ruolo centrale. Ora, i “diritti fondamentali”, così come sono stati proposti in questa sede, differiscono totalmente dai “diritti soggettivi” del diritto privato. Essi non si riferiscono alla reciproca possibilità che ogni singolo individuo ha di nuocere agli altri, ossia a rapporti intersoggettivi, ma ai danni all’integrità individuale o istituzionale che possono derivare da anonime matrici comunicative.

Come si è visto, il dibattito relativo all’ambito di applicabilità dei diritti umani è caratterizzato dall’esistenza di due prospettive: una maggiormente incentrata sulla politica, e un’altra più recente che prende in considerazione l’esistenza di una pluralità di contesti sociali. Entrambe dovrebbero essere lette partendo dal presupposto che le minacce più serie alle persone derivano non tanto dai loro simili, quanto piuttosto da anonimi processi comunicativi. Ovviamente questi processi devono innanzitutto essere identificati. Michael Focault, per esempio, li ha individuati in modo molto chiaro. Egli, infatti, ha liberato completamente la fenomenologia del potere da ogni riferimento di tipo personalistico e ha individuato nei discorsi e nelle pratiche delle varie “discipline” i rapporti di micro-potere che si sviluppano all’interno dei sistemi capillari della società contemporanea.

A questo punto mi sembra opportuno riassumere i risultati delle mie considerazioni. La questione diritti umani in senso stretto oggi deve essere analizzata alla luce delle minacce all’integrità individuale e istituzionale da parte di una molteplicità di processi comunicativi anonimi e ormai globalizzati. La frammentazione della società mondiale in sottosistemi autonomi crea nuovi tipi di confini tra questi sottosistemi e gli esseri umani, nonché tra i vari sottosistemi stessi. Le tendenze espansionistiche dei sottosistemi procedono in entrambe le direzioni.

Risulta ormai chiaro quanto sia importante sostituire la vecchia equazione degli effetti orizzontali con una nuova “equazione”. La vecchia equazione si basava sulla relazione tra due attori privati: l’esecutore e la vittima della violazione. I termini della nuova equazione, invece, sono del tutto diversi. Da un lato non c’è più un attore privato nella veste di trasgressore dei diritti fondamentali, ma la matrice anonima di un medium comunicativo autonomizzato. Dall’altro non c’è più semplicemente l’individuo inteso in senso unitario. Al contrario, la tutela dell’individuo si suddivide in una pluralità di dimensioni diverse:

– i diritti istituzionali, che tutelano l’autonomia dei discorsi sociali l’autonomia dell’arte, della scienza, della religione (in modo da sottrarli alla conquista da parte delle tendenze totalitarie delle matrici comunicative);
– i diritti personali, che tutelano l’autonomia delle comunicazioni e vengono riconosciuti non alle istituzioni, ma a quegli artefatti sociali chiamati “persone”;
–– i diritti umani, intesi come limiti negativi imposti alle comunicazioni sociali, laddove l’integrità fisica e mentale dell’individuo viene messa a repentaglio da una matrice comunicativa.

3.4 Dimensione individuale e dimensione istituzionale

Se ora riprendiamo il discorso sulla violazione dei diritti umani da parte delle società multinazionali, possiamo individuare la direzione verso la quale i diritti umani potrebbero svilupparsi. A questo punto dovrebbe essere ormai chiaro il fatto che, all’interno di un procedimento giudiziario, confrontare un diritto fondamentale dell’individuo contro il diritto individuale di una multinazionale risulta del tutto inadeguato. In tal caso, infatti, non si tratta di “responsabilità sociale corporativa”, con un singolo attore sociale che infrange i diritti fondamentali. Un diritto umano può diventare vincolante solo se l’effetto “orizzontale” dei diritti fondamentali viene riformulato e quindi spostato dai conflitti interpersonali ai conflitti tra un sistema sociale e il suo ambiente.

Nella dimensione dei diritti istituzionali, il conflitto deve essere risolto nel suo contesto sociale, e questo ci porta ad osservare che il conflitto dipende dallo scontro tra logiche d’azione reciprocamente incompatibili. Il conflitto critico sorge dalla contraddizione tra norme che esprimono differenti razionalità sociali. Il punto, pertanto, non è quello di imporre controlli su particolari società commerciali, ma quello di sviluppare norme astratte e generali sulle incompatibilità tra diversi sistemi sociali. Si tratta, cioè, di preparare i regimi giuridici transnazionali a rispondere ai conflitti distruttivi tra logiche di azione reciprocamente incompatibili attraverso l’adozione di meccanismi inclusivi. Ossia di meccanismi che permettano di incorporare gli interessi dell’altro nelle norme interne alla propria sfera di razionalità. Dal momento che non esiste una corte suprema legittimata a risolvere tali tipi di conflitti, questi possono essere risolti solo in base ai criteri propri di uno dei vari regimi giuridici in conflitto tra di loro. Ma i principi giuridici di uno specifico settore, in una logica competitiva, possono essere introdotti all’interno di altri contesti solo come misure restrittive.

3.5 Dove finisce il diritto?
Questa descrizione sommaria delle modalità giuridiche di reazione ai conflitti mostra come sia del tutto inopportuno l’ottimismo circa la possibilità di risolvere tutte le questioni relative ai diritti umani usando esclusivamente le risorse giuridiche. Può un discorso rendere sufficientemente giustizia di un altro? Si tratta di un vero e proprio dilemma che è stato già analizzato da Francois Lyotard. Ma è una questione di grande rilievo sociale, alla quale Niklas Luhmann ha tentato di rispondere attraverso il concetto di giustizia inteso come complessità sociale adeguata. La situazione è ancora più complessa qualora si considerino i diritti umani in senso stretto, quelli situati al confine tra la comunicazione e il singolo essere umano. Tutti i tentativi di giuridicizzare i diritti umani non possono nascondere il fatto che si tratta di un progetto assolutamente irrealizzabile. Come può la società rendere giustizia alle persone reali se le persone non ne costituiscono parte integrante ma si collocano al di fuori della comunicazione? Se la società non può comunicare con loro ma, al massimo, relativamente a loro? Se, quindi, la società non riesce neppure ad avere rapporti diretti con le persone ma solo a stimolarle negativamente o ad annientarle? Di fronte al continuo proliferare di pratiche sociali atroci e disumane la giustizia dei diritti umani è una questione decisamente scottante, che non ha nessuna prospettiva di essere risolta. Questo va detto con estremo rigore.

Se applicare un concetto positivo di giustizia alle relazioni tra la società e gli esseri umani appare difficile se non impossibile, allora – se non vogliamo soccombere al quietismo del post-strutturalismo, ci resta solo una seconda possibilità. Ossia, dobbiamo accettare che un attentato all’integrità fisica e mentale può essere percepito solo attraverso i sensori assolutamente inadeguati per il diritto dello stimolo negativo, della ricostruzione e del reentry.
L’ampia portata dei conflitti tra la comunicazione da una parte e la mente e il corpo dall’altra può unicamente essere supposta dal diritto. E il solo elemento significativo che ci resta per poter realizzare un’auto-limitazione della comunicazione è il divieto giuridico (dichiarazione di incompetenza). La giustizia dei diritti umani, quindi, al massimo può essere formulata negativamente. Essa aspira a rimuovere le situazioni ingiuste, non a crearne di giuste. È solo il contro-principio alla violazione comunicativa del corpo e dello spirito, una protesta contro gli aspetti disumani della comunicazione. Una protesta, però, incapace di affermare chiaramente, in modo positivo, quali dovrebbero essere le condizioni di una comunicazione umanamente giusta e corretta.

Solo l’auto-osservazione del corpo e della mente – introspezione, sofferenza, dolore – può giudicare se la comunicazione viola i diritti umani. Se questa auto-osservazione, per quanto distorta, raggiunge la comunicazione, allora c’è qualche possibilità di una auto-limitazione della comunicazione giusta sotto il profilo umano. L’aspetto decisivo è quello temporale: la simultaneità della consapevolezza della coscienza e della comunicazione, il grido che esprime il dolore. Da ciò si deduce la prossimità della giustizia all’indignazione spontanea, all’agitazione, alla protesta, e la sua distanza dai discorsi filosofici, politici e giuridici.

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