Hegel

by gabriella
Georg Wilhelm Hegel

Georg Wilhelm Hegel (1770 – 1831)

La filosofia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (Stoccarda, 1770 – Berlino, 1831) nasce dall’aspirazione, condivisa con il movimento romantico, di veder conciliate le contraddizioni tra soggetto e oggetto, sentimento e ragione, individuo e società, finito e infinito, umano e divino, termini che la cultura moderna e illuministica aveva invece contrapposto.

Hegel accusa i filosofi moderni e, particolarmente Kant, di restare ancorati alle rigidità dell’intelletto (definirà seccamente il modo di pensare moderno, o kantiano, frutto di un «intelletto tabellesco» Pref. Fenom., pp. 40-41) e mantenere la loro riflessione sul livello astratto della distinzione uomo/natura – per quanto riguarda il piano conoscitivo – e dell’opposizione di essere/dover essere su quello etico, senza cogliere il nesso razionale e necessario che lega i singoli aspetti della realtà.

Hegel sarà infatti il sistematore di quella linea di pensiero che, a partire da Fichte, rifiuta la concezione dogmatica dell’essere, inteso come realtà oggettiva e indipendente dal soggetto e la riconduce all’attività creativa dello spirito.

mappa  

Nei cosiddetti Scritti teologici giovanili, risalenti al periodo 1795-1800, la ricerca di un principio unificatore porta Hegel a soluzioni non ancora logico-speculative. Il giovane Hegel si affida infatti a un’idea della religione cristiana come unità di uomo e Dio, legge e natura, attraverso l’amore.

E’ a partire dal periodo jenese (1801-1806) che la ricerca dell’Assoluto, cioè della realtà incondizionata – ab solutus, significa infatti sciolto, libero – o fondamento di tutte le cose, è assegnata in via definitiva alla filosofia.

assolutoCon il concetto di Assoluto, Hegel delinea una realtà infinita che non è un insieme di sostanze autonome, indipendenti, ma un organismo di cui tutto ciò che esiste è manifestazione. In questo contesto, ogni realtà esistente è espressione – parziale, in quanto finita – dello spirito – infinito – in cui deve risolversi.

La realtà è l’Assoluto in cui tutto ciò che esiste si dà per poi risolversi

All’intellettualismo illuministico – incapace di superare i limiti del finito e del condizionato – non viene più contrapposta la fede, ma la ragione filosofica. L’esigenza di superare le opposizioni in cui la modernità ha dissolto ciò che in origine è uno, si presenta ormai come «bisogno della filosofia».

Hegel concepisce questa nuova visione nel periodo jenese, già con la Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e Schelling (1801), nella quale svolge una critica serrata delle filosofie di Kant e Fichte.

Kant concepisce, infatti, le forme a priori come rigidamente soggettive, contrapponendo ad esse un’oggettività irriducibilmente estranea (l’inconoscibile “cosa in sé”). E’ vero, osserva Hegel, che almeno nell’intenzione, la filosofia kantiana è “autentico idealismo”, cioè una filosofia che ammette l’identità di soggetto e oggetto. Questa identità si riduce tuttavia alle categorie, mentre al di là di esse rimane uno sterminato campo oggettivo a cui è negata ogni identità col soggetto.

Johan Gottlieb Fichte (1762-1814)

Anche Fichte, nonostante si sia avviato alla comprensione dell’unitarietà della realtà, concepisce l’Assoluto in modo ancora intellettualistico, sbilanciato sulla soggettività.

Ma, la contraddittorietà di questo modo di pensare è stata ormai evidenziata. Come spiegherà più tardi nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817), il pensiero è ormai entrato in una nuova fase, quella della consapevolezza di essere tutta la realtà – e dunque della risoluzione o abbattimento di tutte le opposizioni.

Al suo sorgere, nelle società antiche, lo spirito si è infatti manifestato come sostanza (o identità immediata di essere e pensiero), nella modernità lo spirito alienato ha fatto esperienza di scissioni e opposizioni (opposizione di essere e pensiero) e si è dunque presentato come essenza, mentre nel tempo presente matura l’idea che il vero e l’assoluto non sono solo sostanza (essere), ma anche soggetto (pensiero). A questa nuova nozione dell’assoluto come spirito, nota Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, corrisponde il terzo momento della logica, il concetto.

storia hegeliana della filosofia

 

La Fenomenologia dello spirito

13 ottobre 1807, Hegel assiste all’ingresso di Napoleone a Jena

Nella Fenomenologia dello spirito (1807) – di cui Hegel completa la stesura mentre Napoleone entra a Jena – il filosofo si propone di dare una compiuta risposta al «bisogno di filosofia», reso tanto più necessario a causa dei caratteri dell’epoca vista da Hegel come un’età di trapasso e impetuoso rinnovamento: solo la filosofia infatti è in grado di comprendere il tempo presente, non nelle apparenze transitorie con cui si manifesta alla coscienza comune, ma nella sua essenza ancora nascosta allo sguardo dei più.

L’opera affronta la natura dell’Assoluto (cioè dello spirito come unica realtà) e l’esposizione di «una storia delle manifestazioni dello spirito» cioè le tappe dello sviluppo spirituale della civiltà umana.

 

L’Introduzione e la Prefazione

Al tema dell’Assoluto è dedicata l’Introduzione dell’opera nella quale Hegel torna sulle critiche alla filosofia di Kant e Fichte alle quali nella Prefazione aggiunge quella a Schelling di cui precedentemente aveva condiviso la concezione – idealismo compiuto, filosofia come sistema – paragonando sarcasticamente l’Assoluto schellinghiano, cioè l’idea di una identità originaria, o indifferenza, sempre esistita di soggetto e oggetto, finito e infinito – a una

assoluto-schellinghiano

l’Assoluto schellinghiano

«notte in cui tutte le vacche sono nere»,

immagine con la quale Hegel intende evidenziare la confusa indistinzione nella quale va perduta ogni specificità dei termini opposti: l’assoluto schellinghiano non distingue tra soggetto e oggetto per mancanza di luce, non perché le vacche siano davvero nere.

La Prefazione è interamente una presa di distanza da Schelling:

«Mentre si abbandonano all’incomposto fermentare della sostanza, costoro, imbavagliando la coscienza e rinunciando all’intelletto, si ritengono i Suoi ai quali Iddio, durante il sonno, infonde la saggezza; ma ciò che durante il sonno essi effettivamente concepiscono e partoriscono altro non è che sogno » [Prefazione, p. 8];

e l’affermazione che

«la vera figura nella quale la verità esiste, può essere soltanto il sistema scientifico di essa» (non il sentimento o l’intuizione) [Pref., p. 4].

Con queste parole, Hegel evidenzia che solo la filosofia – ovvero la dialettica in quanto legge del pensiero e della realtà – è in grado di cogliere l’Assoluto, non l’intuizione o il sentimento dell’unità delle cose indicati da Schelling.  L’unità o identità di soggetto e oggetto propria dell’Assoluto – inteso come Spirito – non è infatti statica e immediata indifferenza tra i due termini, ma il processo in cui ogni momento o tappa, di volta in volta realizzato, è riconosciuto come espressione o manifestazione dell’Assoluto stesso.

L’unità hegeliana dell’Assoluto è quindi mediata, nel senso che implica la consapevolezza dello spirito che ogni manifestazione della realtà è un suo particolare momento destinato, come tale, a togliersi (aufhebung).

circolo

L’Assoluto è l’intero che si completa mediante il suo sviluppo

Hegel esprime questa nozione dicendo che l’assoluto, il vero, è l’intero, e che tale intero è l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo il cui movimento è dialettico.

Negli scritti di logica [ovvero, la Scienza della logica e la sezione ad essa dedicata dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio] Hegel indicherà, come vedremo, i momenti dello sviluppo dialettico dell’intero come:
– tesi, o in sé, quale posizione astratta e immediata di una singola determinazione;

antitesi, o per sé, come momento dell’esteriorizzazione o del diventar altro della stessa determinazione, vale a dire il momento in cui il pensiero si aliena, si oggettiva, diventando estraneo a se stesso e non riconoscendosi: è il momento del negativo e dell’opposizione; e

sintesi (in sé e per sé), il ritorno a sé dei due momenti precedenti, tolti come indipendenti e risolti nella vita dell’intero o assoluto. È il momento in cui l’assoluto si rivela a se stesso, negando la negazione, cioè l’esteriorizzazione dell’antitesi e riconoscendo le opposizioni come momenti necessari del proprio manifestarsi a sé. La sintesi è quindi una nuova positività che si distingue dall’immediatezza ed astrattezza della tesi per il lavoro di mediazione che incorpora.

Questa concezione dell’assoluto come soggetto o movimento dell’intero, supera, per Hegel, l’astratto formalismo (ad esempio di Kant) e rende possibile una comprensione integrale della realtà: non c’è più nulla, infatti, che resti fuori delle possibilità conoscitive dello spirito. Nel movimento dell’intero, nel suo scindersi dando vita ai fenomeni e nel ritrovarsi come unità sta l’essenza della dialettica hegeliana.

 

Il significato dell’opera

solo alla fine del percorso, la coscienza supera l’ignoranza, cioè la propria duplicità

Il motivo più caratteristico della Fenomenologia dello spirito è l’esposizione del percorso che la coscienza deve compiere per giungere alla speculazione filosofica o, nel linguaggio hegeliano, al sapere assoluto.

Si tratta della narrazione dell’uscita della coscienza dalla “caverna” cioè dalla sua inadeguata visione del mondo, e del suo elevarsi alla scienza, cioè del racconto teorico delle esperienze storiche attraversate dallo Spirito del mondo.

Lungo questo itinerario, la coscienza è portata per gradi a superare la sua costitutiva duplicità (cioè l’alterità e l’opposizione) tra io e non-io, tra soggetto e oggetto, duplicità per cui la coscienza avverte come altro da sé l’oggetto (che si tratti dell’oggetto dei sensi o della percezione, o dell’intelletto, o di un altro soggetto o autocoscienza).

Solo alla fine del percorso la coscienza giunge a far propria la prospettiva dell’identità dialettica tra soggetto e oggetto, caratteristica della filosofia come intesa da Hegel.

La coscienza impara a dubitare di ciò di cui prima era certa

Al dubbio cartesiano, al tribunale kantiano della ragione, Hegel oppone il cammino della coscienza che non si libera dei suoi pregiudizi in un sol colpo, ma impara a dubitare di ciò di cui prima era certa, attraverso un percorso accidentato segnato da esperienze negative e da sconfitte.

Hegel pensa che il sapere della coscienza, per quanto limitato e non vero rispetto al sapere assoluto o filosofico, non sia soltanto errore. Anche la coscienza individuale, infatti, è una manifestazione (tappa o figura) dell’Assoluto fattosi altro da sé.

Lo stemma di Lutero che ispira ad Hegel l’idea che la filosofia, lo “scandaglio del presente”, deve trovare “la rosa nella croce”.

Il negativo contiene, quindi, una positività; superando le prove la coscienza ascende a un livello di consapevolezza superiore: nella croce del presente la filosofia sa quindi trovare la rosa.

 

 

Il cammino dello Spirito

Nelle figure che costituiscono questo percorso non c’è dunque niente di accidentale o arbitrario, sono tappe necessarie anche se alla coscienza impegnata in questo cammino sfugge la loro necessità e se, una volta scoperta la loro non-verità, essa vive come sconfitte l’abbandono delle precedenti certezze.

L’assoluto non si rivela soltanto nella coscienza singola, ma anche nelle sue oggettivazioni nella vita, nelle credenze, nella cultura materiale di un popolo. Lo spirito, cioè si oggettiva in civiltà storiche e nell’agire collettivo di una comunità o popolo. In questo senso, lo spirito si sviluppa nel tempo, è storia. La formazione della coscienza singola non avviene dunque in una condizione di astratto isolamento, ma sulla base della cultura, anche filosofica, dell’epoca. Le idee e i valori dominanti ne condizionano in misura più o meno determinante il punto di vista.

 

La dialettica della coscienza

La prima triade dialettica riguarda la coscienza nella sua espressione più semplice che coincide con la certezza che la verità sia tutta fuori di sé, nell’oggetto o realtà. La dialettica della coscienza illustra quindi il cammino dello spirito dal senso comune (che ritiene vere le attestazioni i dei sensi) alla consapevolezza filosofica.

La prima figura in cui si trova la coscienza è la certezza sensibile, l’esperienza della coscienza che coglie il dato immediato dei sensi. Questa appare a prima vista come la più certa e la più sicura, ma si rivela come la più povera (è una certezza della cosa particolare, qui ed ora davanti a noi) ed è destinata dunque ad entrare in crisi a causa della dialettica interna che ne rivela il carattere illusorio. Ogni cosa, infatti, è per l’io che la considera.

Nella successiva figura della percezione la coscienza non è più certa di quanto è testimoniato dai sensi. E’ invece certa che la verità sia nella cosa percepita, intesa come il sostrato o la sostanza a cui le proprietà sensibili si riferiscono. Ma la sostanza, secondo la lezione dell’empirismo, non è altro che l’insieme delle sue proprietà (idea complessa) aggregate dall’intelletto (si veda la critica all’idea di sostanza di Locke).

La terza figura della coscienza è quindi l’intelletto, che non pone più la verità nella cosa, ma nella causa, cioè nella legge a priori, non sensibile, del mondo fenomenico.

Come si vede, conoscendo il mondo, la coscienza procede verso una sempre maggiore consapevolezza di sé (autocoscienza). La dialettica della coscienza ha infatti esaurito la conoscenza della realtà (dei fenomeni) comprendendo il proprio ruolo (la tappa dell’intelletto è quella delle forme a priori kantiane): ora non può che rivolgersi a sé. Ma l’autocoscienza, in quanto si considera come un oggetto, si scinde di nuovo e considera le sue più diverse manifestazioni.

 

La dialettica dell’autocoscienza

Chartres

La coscienza infelice

Hegel passa quindi all’analisi dell’autocoscienza, il secondo momento della dialettica della coscienza, quello dell’oggetto, del negativo, nel quale la coscienza acquista consapevolezza della verità non solo attraverso conoscenze teoriche, ma anche attraverso esperienze pratiche.

La parte della Fenomenologia sull’autocoscienza è dedicata appunto alle esperienze pratiche attraverso cui la coscienza acquisisce “certezza di sé”: l’esperienza dell’appetito o desiderio (nella quale il mondo esterno appare come un semplice mezzo di soddisfazione), il confronto/scontro con l’altro uomo o lotta per il riconoscimento, la definizione dei rapporti di potere o dialettica di signoria e servitù e la coscienza infelice, l’ultima figura in cui l’autocoscienza è in conflitto con se stessa in quanto scissa tra una coscienza immutabile ed eterna (il divino) e una coscienza finita e mutevole (uomo) che non giunge mai ad identificarsi con la prima – qui Hegel individua la figura concettuale del desiderio di elevazione a Dio di cui sono espressione le cattedrali medievali i cui pinnacoli si protendono infinitamente verso il cielo senza potersi mai ricongiungere ad esso.

Al livello soprastante, quello della consapevolezza filosofica o ragione, la coscienza coglie se stessa come essenza della realtà. La ragione, afferma infatti Hegel, è la certezza della coscienza di essere ogni realtà. Nella filosofia moderna – siamo infatti nell’autocoscienza, secondo momento (di mediazione, di negazione, di opposizione) della dialettica dello spirito – essa viene colta nel suo elemento a priori, cioè nell’Io penso e nelle categorie kantiane.

 

La lotta per il riconoscimento e la dialettica di signoria e servitù

servitù signoria

Lotta per il riconoscimento e dialettica servo/signore

Particolare attenzione merita la lotta per il riconoscimento, pagina celeberrima delle Fenomenologia e oggetto di importanti ricerche anche nella filosofia novecentesca, all’interno della quale Hegel analizza la relazione servo-signore, centrale nel mondo antico e medievale. Il filosofo vi mostra come, sdoppiatasi, l’autocoscienza si confronti con un’altra autocoscienza con l’obiettivo di riconoscere a sé soltanto, e non all’altra, la propria natura spirituale – vale a dire la natura di essere autocosciente, o umano – di ciò dando prova attraverso il disprezzo per la propria vita con la decisione di metterla a repentaglio.

Nella lotta, il signore affronta la morte mostrando la propria superiorità al livello della pura naturalità. La pura vita infatti vuole solo prolungarsi, non morire, mentre l’uomo, quale essere spirituale, è l’unico capace di sacrificarla per un fine più alto della mera autoconservazione. Sfidando la morte ed elevandosi sopra la natura, il signore si afferma dunque come spirito (uomo), negando umanità al servo che respinge nella mera naturalità (di semplice vivente) e che può dunque sottomettere come ogni altro elemento della natura.

bandiera rossa

Marx: dal dolore umanizzante alla superiorità morale del servo

Avendo temuto la morte – non essendosi elevato sopra la natura – il servo si sottomette e lavora per il signore a cui procura i mezzi di sussistenza. Ma il lavoro, quale attività di trasformazione della natura è anch’esso un’attività spirituale – l’animale preleva risorse dalla natura senza manipolarla (mangia crudo), l’uomo modifica le risorse naturali attraverso la cultura (in senso antropologico) (cuoce, manipola il cibo) –, strumento di elevazione sopra la pura naturalità, dunque il rapporto con il signore si rovescia: non solo le due autocoscienze si affermano ormai entrambe nell’elemento spirituale, ma il signore da cui il servo dipendeva per aver salva la vita, ora dipende dal lavoro del servo che lo supera in umanità. Il lavoro del servo, infatti, ha in sé un ulteriore elemento di eticità (o spirituale) perché il lavoratore subordinato è costretto a separarsi dal prodotto delle proprie mani a favore del signore, rinunciando disciplinatamente al godimento immediato dei beni prodotti.

Il duro lavoro del negativo, la cui potenza forgia l’elemento spirituale (mediato, autocosciente) è qui completamente dispiegato: nella sofferenza pienamente umana (consapevole, autocosciente) del servo c’è la sua superiorità – e, ne dedurrà successivamente Marx, il germe di una nuova umanità libera ed eguale.

Il lavoro […] invece, è appetito tenuto a freno, è un dileguare trattenuto; ovvero: il lavoro forma. Il rapporto negativo verso l’oggetto diventa forma dell’oggetto stesso, diventa qualcosa che permane; e ciò perché proprio a chi lavora l’oggetto ha indipendenza. Tale medio negativo o l’operare formativo costituiscono in pari tempo la singolarità o il puro essere-per-sé della coscienza che ora, nel lavoro, esce fuori di sé nell’elemento del permanere: così, quindi, la coscienza che lavora giunge all’intuizione dell’essere indipendente come di se stessa. […]. Così, proprio nel lavoro, dove sembrava ch’essa fosse un senso estraneo, la coscienza, mediante questo ritrovamento di se stessa attraverso se stessa, diviene senso proprio. Fenomenologia dello spirito

 

Stoicismo e scetticismo

Epitteto (50-130)

Il raggiungimento dell’indipendenza, l’ultimo dei tre momenti della dialettica servo-padrone, coincide con la figura storica dello stoicismo, ovvero con la visione del saggio che ritiene di poter fare a meno delle cose e quindi si sente al di sopra della natura raggiungendo così l’autosufficienza.

Lo stoico, in realtà, si illude di eliminare la realtà che continua invece a sussistere e a influenzare la sua vita.

Chi invece riesce ad ignorare totalmente la realtà è lo scettico. Tuttavia lo scetticismo si contraddice, poiché da un lato lo scettico dubita della realtà e dichiara che tutto è vano e incerto, mentre dall’altro vorrebbe poter sostenere qualcosa di reale e vero. Questa scissione tra l’uno e il Tutto, tra l’individuo e la totalità del mondo, si ripropone nella figura della coscienza infelice, perpetuamente divisa tra il soggetto-individuo e la totalità divina.

 

Allo stadio dell’autocoscienza – a cui corrisponde la filosofia kantiana e l’idealismo di Fichte e Schelling – la formazione della coscienza non può certo considerarsi completata. Hegel, infatti, considera il criticismo e l’idealismo fichtiano e schellinghiano incapaci di rispondere al «bisogno di filosofia» del suo tempo, un tempo a cui si addice invece solo una filosofia che pensa «il vero» come «intero», vale a dire la sua (di qui la critica a una filosofia, come quella hegeliana, che in quanto “storica” è necessariamente tappa, momento finito, ma si pensa come “intero”, come conclusione della storia della filosofia).

Ogni filosofia è stata necessaria, e tale è ancora; nessuna quindi è scomparsa, anzi tutte sono conservate affermativamente nella filosofia come momenti d’un tutto.[…]. I princìpi si conservano, e la filosofia più recente è il risultato di tutti i princìpi precedenti; in tal senso nessuna filosofia è stata confutata. Ciò che è stato confutato, non è il principio di quella data filosofia, ma soltanto la pretesa che esso rappresenti la conclusione ultima, assoluta  [Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia].

L’ultimo passo del cammino della coscienza individuale sarà quindi l’acquisizione di questa nuova prospettiva filosofica, non formalistica, ma sistematica.

 

Spirito, religione e sapere assoluto

Nelle ultime tre parti della Fenomenologia (spirito, religione, sapere assoluto), Hegel delinea una storia della civiltà umana dai tempi più remoti fino all’epoca presente e all’ultimo deciso passo verso il sapere assoluto, che si compie con essa.

religione come rappresentazione

religione come rappresentazione

Le figure che si trovano nelle ultime sezioni della Fenomenologia dello spirito non sono più forme della coscienza individuale, ma «figure di mondi» a ciascuna della quali corrisponde una cultura, cioè un patrimonio collettivo di tradizioni, istituzioni, consuetudini, visioni del mondo (Weltanschauung), proprie di un popolo. La successione di questi mondi, cioè delle manifestazioni storiche dello spirito, delinea dunque una storia ideale dell’umanità nella quale opera una dialettica dello spirito che conduce verso una sempre maggiore libertà e consapevolezza (la cui realizzazione, secondo Hegel, è compito del tempo presente).

E’ in questa sezione che Hegel si rivolge alla religione come ad una forma di autocoscienza basata sulla dimensione mitico-narrativa (che Hegel definisce rappresentativa, cioè legata alla dimensione dell’immagine, come l’arte) nella quale lo spirito si presenta in forma tanto più adeguata (in riferimento alla libertà e all’autocoscienza) quanto più è maturo lo spirito dell’epoca. Il cristianesimo, particolarmente nella forma del luteranesimo in cui prevale la dimensione dell’interiorità, è la forma più matura.

Lo spirito però non deve solo conoscere se stesso, ma deve anche farlo nella forma adeguata che è quella del concetto (o della ragione filosofica) e non della rappresentazione.

Nella forma compiuta del sistema, il sapere assoluto é autocomprensione dell’intero e dunque conoscenza delle precedenti figure in quanto momenti necessari dello sviluppo dell’intero, manifestazioni nel tempo della sua essenza. Nell’intero è ognuno dei momenti dello sviluppo storico dell’assoluto, cioè è tolto in quanto tale, come finito, ma conservato in quanto momento dell’Assoluto.

In conclusione, nella Fenomenologia dello spirito Hegel sviluppa la sua riflessione intorno all’idea che la sola conoscenza vera sia quella che apprende la realtà nella sua totalità, e che dunque la filosofia debba assumere la forma di sistema; che l’assoluto non è solo sostanza, ma anche spirito (cioè soggetto); che ogni finito, cioè ogni cosa determinata, è un momento dell’assoluto; e che, quindi, soggetto e oggetto, ragione e realtà sono uniti dialetticamente, sono la stessa cosa. 

Si tratta ora di esaminare i fondamentali nuclei teorici enunciati nella Fenomenologia, alla luce delle opere della maturità di Hegel: la Scienza della Logica (1812-16), l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817); i Lineamenti della filosofia del diritto (1821) e i grandi cicli di Lezioni tenute all’Università di Berlino.

 

La Scienza della logica

Nella Logica il pensiero si pensa in forma pura, cioè indipendentemente dagli ambiti del reale in cui si esplica. Ciò non comporta la reintroduzione delle opposizioni moderne, perché anche se viene considerato separatamente, il pensiero non si pensa comunque altro dalla realtà, ma identico ad essa (identità di soggetto e oggetto).

Il dualismo della coscienza è ormai alle spalle del sistema hegeliano, per cui la «scienza della ragione», o del «concetto» corrisponde allo svolgimento del pensiero, quale principio immanente allo sviluppo della realtà che è dunque pensata in termini dinamici e non statici. Sciolta dalle opposizioni della coscienza, la logica hegeliana coincide quindi con una ontologia, più precisamente con la confutazione dell’ontologia tradizionale, intellettualistica e con la sua ridefinizione ad opera della ragione speculativa.

 

La dialettica

hegel_morettiIl cuore della logica hegeliana è la dialettica la quale descrive il ritmo triadico del pensiero, quindi il modo in cui evolve ogni realtà. In ogni suo momento, il processo logico prende avvio da una determinazione immediata, tesi. Essa identifica l’astratta identità con sé del soggetto individuale che si pone come un qualcosa che é, cioè come qualcosa che pretende di essere, di consistere, di valere in sé, isolatamente dagli altri individui e dalla trama della realtà: A=A, io sono io.

Il secondo momento della logica dialettica, l’antitesi, è quello del negativo, nel quale ogni determinazione passa nel suo opposto e dunque viene tolta e negata nella sua astratta identità iniziale: il soggetto individuale diventa altro [come osservava Eraclito, il caldo diventa freddo, il freddo caldo, il vivo morto, tanto che è impossibile dire cos’è – «una e la stessa è la via all’insù e la via all’ingiù» – cioè indicare l’identità (tesi) che pretendeva di incarnare] e si confronta esistenzialmente con l’altro che lo fronteggia, lo osteggia, lo forgia nella fondamentale esperienza (mediazione) del dolore. E’ nel momento, propriamente dialettico, del negativo, che Hegel pensa, come si vede, l’unità degli opposti, superando l’ontologia tradizionale, basata sui principi di identità (ogni cosa è se stessa e non altro; A=A) e non contraddizione (è impossibile dire che una cosa è se stessa e il proprio opposto nello stesso momento e nel medesimo riguardo; è impossibile che A sia non-A).

Il terzo momento è quello della sintesi, in cui i momenti determinati della tesi e dell’antitesi risolvono in una unità superiore (sintesi) la contraddizione tra i due termini opposti. La contraddizione infatti,

non si dissolve in uno zero […] ma nella negazione del suo contenuto particolare; in altre parole tale negazione […] è una negazione determinata, cioè viene negata la sussistenza separata dei termini opposti. L’elemento speculativo o positivamente razionale» che così si afferma, è infatti volto a cogliere «l’unità delle determinazioni nella loro contrapposizione», cioè «l’elemento affermativo che è contenuto nella loro risoluzione e nel loro passare in altro.

La logica, quale scienza in cui il  pensiero coglie se stesso in forma pura, deve quindi muovere dallo studio di categorie “astratte” perché isolate dalle altre e, passando dalla loro negazione in quanto contrapposte ad altre categorie, deve mostrare l’inconsistenza di ciascuna quando è concepita solo in opposizione altre altre, e infine portare alla luce l’unità profonda che accomuna le diverse determinazioni del pensiero, dapprima occultata dietro la separazione e l’opposizione.

Il concetto di dialettica, quindi, è sia riferito all’importanza della negazione nel processo di rivelazione della verità, sia al dividersi “intellettualistico” dell’originaria unità ontologica. La negazione delle determinazioni astratte (Aufhebung), d’altra parte, investe solo la loro sussistenza separata e l’opposizione con le altre. Essa porta alla ricomprensione delle determinazioni contrapposte in una unità superiore che ne mostra la connessione unitaria, pur salvaguardandone la distinzione reciproca.

In sintesi, Hegel insiste sull’astrattezza e caducità di ogni determinazione che pretende di essere, ma presto si rovescia nel proprio opposto e si toglie, assegnando alla relazione, cioè all’essere per un altro e in virtù di un altro la condizione ontologica di ogni esistente.

La logica hegeliana mostra il movimento del pensiero (dunque della realtà) nei tre grandi momenti della dottrina dell’essere, cioè del pensiero nella sua immediatezza, o del concetto in sé; della dottrina dell’essenza, che studia il pensiero per sé, cioè in quanto appare e si manifesta (estraneandosi da sé) e la dottrina del concetto, che studia il pensiero nel suo essere tornato in sé ed esser preso per sé. Prendiamo in considerazione la sola dottrina dell’essere.

 

La dottrina dell’essere

Eraclito

Eraclito (535 – 475 a. C.)

I caratteri logici che distinguono la dottrina dell’essere sono, in quando primo movimento della triade, l’immediatezza e la semplicità. I concetti più astratti di cui si occupa sono quindi quelli di essere, nulla e divenire. Hegel mostra che l’essere in quanto tale é pura assenza di determinazioni (non è cioè questo o quell’essere particolare). Come tale, pensandolo, è impossibile distinguere la forma del pensare dal suo contenuto: l’essere puro è perciò puro pensiero. Proprio perché vuota di determinazioni, la nozione dell’essere coincide con il nulla. Essere e nulla sono infatti lo stesso, perché entrambi privi di significato determinato.

Il divenire è l’unità di essere e nulla. Non è dunque possibile pensarli come isolati, ma solo in quanto momenti del movimento in virtù del quale passano l’uno nell’altro. Hegel quindi fonda la logica (e tutta la filosofia) sul divenire che costituisce la prima categoria della logica. Con ciò indica nel movimento e nello sviluppo la struttura fondamentale del pensiero e della realtà, privilegiando la relazione rispetto ai termini tra cui essa intercorre, e dunque rinunciando all’approccio sostanzialistico dell’ontologia tradizionale.

Aristotele (384-322 a.C.)

Si vede, quindi, come Hegel torni ad Eraclito. Anche Aristotele, infatti, che pure aveva difeso contro Parmenide la processualità del reale (cioè aveva ammesso che il divenire esiste e ne aveva trovato la logica nella dottrina di potenza e atto), aveva poi ritenuto di fondarla su un sostrato permanente, facendo dell’hypokeìmenon, ciò che sta sotto, la base immobile del mutamento.

Per Hegel, invece, come già in Eraclito, non c’è niente di ontologicamente saldo, le cose sono semplici astrazioni, figure del tutto, momenti in cui lo Spirito si manifesta, ma non realtà sostanziali.

 

L’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio

Il sistema hegeliano

Nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817) Hegel presenta il sistema nel suo complesso, partendo non più dalle manifestazioni dello spirito come aveva fatto nella Fenomenologia, ma dal momento più astratto del sapere filosofico, quello della logica, in cui la realtà come Idea si presenta in sé. Nella prima sezione dell’opera, Hegel riepiloga quindi i risultati già esposti nella Scienza della logica.

Nel secondo momento, lo spirito si estranea a se stesso, si aliena e diventa altro da sé; l’idea si presenta quindi come natura. Nella filosofia della natura, in cui la realtà come Idea si considera nell’elemento estraneo (della natura, separato dallo spirito), per sé, (è cioè per uno spirito ancora alienato che la natura è altro da sé), Hegel fonda speculativamente le scienze della natura (fisica, chimica, biologia);

E’ la terza sezione, dedicata alla filosofia dello spirito, che concilia i primi due momenti, separati e astratti, risolvendoli nella superiore unità dell’Idea che ritorna in sé – considerandosi in sé e per sé. Qui Hegel dà fondazione filosofica alle scienze dell’uomo (antropologia, psicologia, sociologia, diritto).

Enciclopedia

Mappa

Essendoci già soffermati sulla logica, tralasciamo la filosofia della natura ed esaminiamo la dialettica dello spirito.

 

Lo spirito soggettivo

homo sapiens

La filogenesi dell’Homo sapiens

Nella prima parte della filosofia dello spirito, dedicata allo spirito soggettivo o individuale, Hegel muove dal De Anima di Aristotele (in cui l’uomo viene visto come l’espressione di tre funzioni spirituali – anima nutritiva, anima sensitiva e anima razionale – di cui solo la prima è innata, cioè natura, mentre le altre sono spirito, cioè si sviluppano attraverso l’educazione) concentrandosi sulla distinzione tra l’essere naturale e quello spirituale (natura/cultura), cioè nell’emergere nell’uomo di elementi che lo rendono differente dall’essere naturale (antropologia).

Hegel studia qui la prima manifestazione della coscienza, una sorta di psichicità oscura che emerge dalla natura ed ha sede nell’inconscio, luogo della vita onirica e di comportamenti automatici legati a quanto depositato nella memoria.

Dalla certezza sensibile alla razionalità

Al secondo livello dello spirito soggettivo, Hegel studia la fenomenologia, cioè la descrizione dell’evoluzione della coscienza dal grado più elementare della certezza sensibile al raggiungimento della razionalità.

I comportamenti linguistici e pratici

Lo studio dello spirito soggettivo si compie con la psicologia, la quale affronta la complessità della mente umana nel processo di conoscenza e nei comportamenti linguistici e pratici. E’ qui che si manifesta, a livello embrionale, la libertà, seppure nella forma elementare dell’arbitrarietà soggettiva.

La libertà come arbitrio individuale

Ed è proprio la disamina dell’arbitrio individuale a far emergere l’insufficienza della dimensione soggettiva, rendendo evidente la compenetrazione tra la vita del singolo e la sfera intersoggettiva e pubblica a cui è intrecciata.

 

 

Lo spirito oggettivo 

Diritto

Nella successiva sezione della filosofia dello spirito, Hegel affronta lo studio dell’oggettivazione della libertà soggettiva, cioè del momento in cui la libertà individuale si concretizza in un sistema di relazioni familiari, sociali e politiche. L’attenzione per il singolo lascia quindi il posto a quella per i rapporti che legano gli individui tra loro.

Anche la filosofia dello spirito oggettivo si articola in tre momenti: quelli del diritto astratto, della moralità e dell’eticità.

Hegel aveva concluso l’analisi del diritto soggettivo mostrando la differenza tra la vera libertà e l’astratto arbitrio individuale. Il singolo, considerato nella sua individualità, è infatti per Hegel sempre un’astrazione (una parte che staccata dall’organismo è morta, senza significato), pertanto la sua volontà personale, piuttosto che a una vera libertà può essere ricondotta solo a un’astrattezza soggettiva.

proprietà

La proprietà

Nella filosofia dello spirito oggettivo, Hegel delinea quindi un percorso di graduale “concretizzazione” della libertà, la quale trova esistenza nel diritto astratto che regola il dominio sulla materialità delle cose.

Appena si incontrano gli altri si contendono le cose

Uscendo dalla loro sfera individuale ed entrando in relazione con gli altri, i singoli si contendono infatti il diritto di esclusiva su un numero limitato di beni che esige immediatamente la regolazione giuridica. La prima, elementare forma di libertà si realizza dunque nella proprietà.

Nasce così il contratto, quale rapporto privato, patto tra singoli individui, non ancora entrati nella sfera pubblica. E’ vero, osserva Hegel, che l’infrazione del contratto costituisce un delitto per il quale esiste una pena, ma la triade contratto-delitto-pena non è ancora “diritto”, né “stato”, cioè bene comune, a causa del carattere vendicativo della pena, assimilabile a una ritorsione (è il carattere retributivo della pena), tale dunque da creare un nuovo torto anziché la pacificazione.

La pena è vera moralità solo se suscita ripensamento

Se rimane nell’orizzonte del diritto astratto, la pena risulta infatti una mera vendetta. Essa acquisisce piena efficacia solo se suscita ripensamento in chi la subisce (l’elemento riabilitativo o rieducativo della pena), superando così il diritto nell’elemento meno astratto della moralità.

 

Moralità

Per proseguire il percorso di conquista della libertà, lo spirito oggettivo deve quindi innalzarsi alla moralità. Essa rappresenta il tentativo di emanciparsi dalle cose per trovare una dimensione di libertà in cui i beni esteriori risultino indifferenti e la dimensione del libero volere venga raggiunta in una sfera spirituale. Nella moralità, quindi, lo spirito oggettivo si erige sopra le rovine del conflitto materiale, perché nei propositi morali non si persegue più il benessere personale, ma una più universale idea del bene.

Kant

La critica al dover essere kantiano e alla sua moralità scissa

Qui Hegel riprende alcuni motivi della critica a Kant, osservando che il Bene come dovere morale è un bene troppo lontano che prefigura un dover essere sempre scisso e distante dall’essere, cioè dalla realtà. Di conseguenza, l’individuo rivive nella moralità la separazione tra la propria condizione reale e quella ideale, analoga a quella tra uomo e Dio, che non può mai venire risolta in una identità successiva.

L’etica kantiana è quindi per Hegel un’etica astratta a causa della duplicità irrisolvibile di essere e dover essere e della conseguente impossibilità della realizzazione del bene nella sua pienezza. Questa condizione – del tutto simile a quella della coscienza infelice o alle altre forme in cui si esprime la “duplicità” della coscienza moderna – non soddisfa l’aspirazione dello spirito a una libertà vera, concreta, per raggiungere la quale lo spirito deve innalzarsi alla dimensione dell’eticità che si esprime in organismi come la famiglia, la società civile, lo stato.

 

Eticità

L’eticità è superamento dell’astratta moralità, nell’oggettività del bene comune

Con il passaggio dalla moralità soggettiva all’eticità oggettiva, lo spirito accede alla dimensione della sintesi tra individualità e universalità e dunque della sfera più alta, quella della morale sociale. Tale sfera trova la sua concretizzazione nelle istituzioni, la cui dialettica interna viene individuata da Hegel nelle tre dimensioni della comunità: famiglia, società civile, stato.

La famiglia

La famiglia

La famiglia, come rapporto intersoggettivo costituito su basi naturali unite a sentimento spirituale, è il primo momento della vita etica. Nella famiglia si realizza infatti il primo superamento dell’isolamento individuale nell’oggettività della dimensione interpersonale. Ma, la famiglia è ontologicamente destinata alla dissoluzione, perché i figli crescono, si emancipano dai genitori e se ne separano. Ciò implica che la famiglia non possa costituire l’orizzonte ultimo della realizzazione etica.

Società civile

La società civile, le comunità di ceto, professione e interesse

Lo spirito oggettivo cerca allora la sua realizzazione in una dimensione più ampia, nella quale l’immediatezza individuale lascia il posto alla mediazione e alla differenziazione tra le volontà particolari che si costituisce attraverso la comunanza di mestiere, di ceto o di interesse comune: la società civile. 

Il momento in cui tanto la dimensione familiare quanto quella della società civile trovano un vero compimento è nella realtà dello stato, da Hegel enfaticamente indicato come un «Dio reale» il cui fondamento è

«la potenza della ragione che si realizza come volontà».

Aristotele: la polis precede l’individuo

Hegel non pensa qui ad uno stato dispotico – che realizzerebbe la volontà particolare di un individuo o di un gruppo – ma al potere dello stato di diritto che si realizza nelle leggi, e il cui rispetto coincide con la libertà (formale) dei cittadini e con il loro diritto alla proprietà. Le leggi, e in particolare la Costituzione, non sono infatti, frutto dell’arbitrio di uno o più legislatori, ma vera espressione dello spirito di un popolo.

Per questo, nella compiuta eticità dello stato ogni particolarità si riconosce come tale e si risolve in una sintesi superiore. In questa sfera ognuno è libero perché parte di un bene comune, una volontà universale (dunque razionale), che supera le volontà individuali. Hegel rivendica in questo la continuità con il pensiero di Aristotele, per il quale la polis precede il singolo.

Lo spirito assoluto

Arte; l’unità di finito e infinito è soltanto intuita

Religione: l’unità di finito e infinito è soltanto rappresentata

Spirito soggettivo e spirito oggettivo trovano nello spirito assoluto la coscienza della propria assolutezza che si esprime nelle tre forme dell’arte, della religione e della filosofia. Nell’arte, lo spirito vive la ricomposizione tra soggetto e oggetto in modo soltanto intuitivo, mentre nella religione viene colta con maggior profondità l’unità di finito e infinito che tuttavia resta ancora solo rappresentata, non pensata.

Solo con la filosofia viene raggiunto il grado di consapevolezza adeguato allo spirito assoluto. A differenza dell’arte e della religione, infatti, nel concetto, la filosofia pensa anche se stessa, per questo

«è il sistema della necessità, della sua propria necessità, che è anche la sua libertà».

Solo la filosofia è davvero libera

Coincidendo con l’assoluto, la filosofia è assolutamente libera, non condizionata da altro, perché ogni sapere le è interno. Filosofia e storia della filosofia, quindi, coincidono, poiché ogni filosofia particolare è un momento necessario dello sviluppo dell’intero. Solo superficialmente quindi, è possibile vedere al filosofia come una sequenza di opinioni contrapposte.

 

 

 

La filosofia del diritto

I Lineamenti di filosofia del diritto, pubblicati da Hegel nel 1821, riprende l’analisi dello spirito oggettivo svolta nell’Enciclopedia. L’autore vi esamina il farsi dell’idea, il concretizzarsi della libertà e della razionalità nella realtà. 

L’affermazione, posta nella Prefazione, che

ciò che è reale è razionale e ciò che razionale è reale

rinvia alla concezione dell’assoluto come vero e concreto, cioè come la realtà diveniente dello spirito in cui tutto si risolve. Questo infatti è l’intero e concreto, mentre le singole determinazioni, destinate a togliersi, sono astratte e prive di consistenza.  Si tratta di una concezione discussa accanitamente dai pensatori successivi, perché se da un lato riconcilia la realizzazione della giustizia con la realtà (contro la kantiana ricerca infinita del dover essere), dall’altro rischia di attribuire a ciò che già esiste, la patente di migliore realizzazione possibile nel momento dato.

La Prefazione contiene anche le celebri definizioni della filosofia come nottola di Minerva e «il proprio tempo appreso col pensiero».

 

La filosofia della storia

13 ottobre 1807, Hegel assiste all'ingresso di Napoleone a Jena

13 ottobre 1807, Hegel assiste all’ingresso di Napoleone a Jena

La storia, per Hegel, è la concretizzazione di uno spirito del mondo che si incarna nel tempo nell’esistenza dei popoli. La storia quindi non è dominata dal caso o dall’accidentalità, ma il suo svolgimento rappresenta il manifestarsi di un unico principio spirituale e razionale, lo spirito del mondo, appunto, nel tempo e nello spazio.

Il momento di massima ascesa di un popolo è il segnale della capacità conseguita dallo stesso di incarnare il punto più alto della vita dello spirito in una data epoca, dopo il quale decade. Anche singoli individui possono incarnare lo spirito del mondo quando, perseguendo la propria gloria vengono guidati inconsapevolmente dall’astuzia della ragione alla realizzazione di una necessità storica. Ne è emblema Napoleone (l’«uom fatale» dell’ode manzoniana Cinque maggio), in cui Hegel si imbatte a Jena nel 1806.

Uomini e popoli, mentre sono convinti di operare per i propri scopi individuali e collettivi, agiscono quindi, in realtà quali strumenti della realizzazione dello scopo universale della ragione, immanente nella storia. Hegel chiama questa dinamica eterogenesi dei fini, nel senso che i fini dell’azione umana non sono quelli posti dagli uomini, ma dall’astuzia della ragione.

 

Esercitazione

1. Illustra la critica a Kant svolta da Hegel nella Differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e Schelling.

2. Illustra il significato della celebre critica all’assoluto di Schelling, sprezzantemente paragonato da Hegel ad “una notte in cui tutte le vacche sono nere”.

3. Indica qual è il tema affrontato nella Fenomenologia dello spirito e cosa intende Hegel con la nozione di assoluto.

4. Illustra la dialettica della coscienza, cioè il significato della prima triade esaminata da Hegel nella Fenomenologia, indicando anche che cosa si intende per dialettica.

5. Illustra le figure della dialettica dell’autocoscienza, soffermandoti sulla dialettica di signoria e servitù.

6. Quale risultato raggiunge la coscienza giunta alla ragione?

7. Illustra la dialettica di spirito, religione, sapere assoluto.

8. Indica che cos’è la logica dialettica e in cosa consiste la sua specificità rispetto alla logica tradizionale.

9. Illustra i concetti cardinali della dottrina dell’essere.

10. Illustra lo sviluppo dello spirito oggettivo affrontato da Hegel nell’Enciclopedia delle scienze filosofiche.

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