I caratteri della modernità filosofica

by gabriella
Tra quattrocento e cinquecento, nel percorso che va dalla dissoluzione del mondo antico alla scoperta del soggetto (‘600) [per comprendere l’essenza della modernità filosofica si vedano i paragrafi La svolta cartesiana e la soggettività del mondo], che costituisce il tratto fondamentale del pensiero moderno, ci si imbatte in tre cambiamenti rivoluzionari che determinano i caratteri di fondo della modernità: la scoperta dei popoli altri, la rivoluzione della stampa e la crisi del principio d’autorità.

Le scoperte geografiche che culminano nella scoperta dell’America (1492) e nella conquista, impongono il confronto degli europei con la diversità culturale, preparando il terreno per una riflessione sulla convenzionalità e la relatività degli usi e costumi quale quella di Montaigne (qui l’articolo dedicato a questo tema).

La seconda grande rivoluzione è l’invenzione, ad opera di Johann Gutemberg, della stampa a caratteri mobili (1455) che permetterà un drastico abbattimento dei costi di riproduzione del libro, democratizzando e laicizzando un sapere non più riservato ai chierici, e facilitando la circolazione di idee e informazioni che alimenteranno i dibattiti filosofici e scientifici del Rinascimento e dei secoli successivi, a partire da Lutero. Benchè non sia certo, infatti, se il monaco agostiniano abbia davvero affisso le 95 tesi sulla porta della chiesa di Wittemberg (1517) (visto che la maggior parte della popolazione non sapeva leggere), non ci sono dubbi che i testi delle tesi in cui condannava la vendita delle indulgenze e la corruzione della Chiesa romana circolavano da tempo all’interno dell’Università nella quale insegnava e avevano una circolazione a stampa.

Rivoluzione del libro e crisi del principio d’autorità si fondono inscindibilmente nella vicenda storica di Lutero. La sua traduzione in tedesco della Bibbia rappresenta infatti la condizione di praticabilità dei principi teologici del sacerdozio universale e del libero esame (delle Scritture) attraverso i quali il professore di Wittemberg si accingeva a delegittimare dal punto di vista dottrinario, prima ancora che politico (con la critica alla corruzione), l’autorità della Chiesa. Affermando il principio teologico del sacerdozio universale, Lutero infatti sosteneva la relazione diretta dei fedeli con Dio, negando alla Chiesa la funzione di intermediazione e ogni potere di perdono e interpretazione del testo sacro. Al fedele, ormai solo con la sua coscienza (un concetto che il mondo protestante svilupperà da quello agostiniano dell’interiorità) davanti al proprio Creatore, serve ormai solo la capacità di cogliere autonomamente la verità dal testo trasparente della Scrittura – a questo proposito, è importante sottolineare che Lutero non pensa ad una interpretazione individuale o peggio arbitraria delle Scritture, ma alla luminosa trasparenza della Rivelazione che si mostra al fedele nella sua Verità, senza possibilità d’errore. Per questo Lutero fonderà delle scuole, aprendole agli umili e alle donne, per la prima volta accomunati ai ricchi e privilegiati dall’universale esigenza di salvare la propria anima.

A dimostrazione delle conseguenze rivoluzionarie di una Riforma protestante che si lega fin dall’inizio alla scoperta della stampa e determina la prima scolarizzazione popolare nel Nord Europa, alla fine della guerra dei trent’anni, poco più di un secolo dopo la protesta di Martin Luther, veniva trovata nelle campagne tedesche devastate dagli eserciti una bibbia contadina, all’interno della quale il capofamiglia aveva annotato: «Dicono che la terribile guerra è finita. Ma qui non ci sono segni di pace […] Viviamo come animali, strappando l’erba coi denti. Molti dicono che qui non c’è Dio». Era il 17 gennaio 1647, per la prima volta un contadino aveva potuto mettere per iscritto la sua disperazione – la parte d’Europa rimasta cattolica conserverà per questo un secolare ritardo, si pensi all’analfabetismo dei personaggi dei Promessi sposi, ambientato nello stesso periodo storico.

Se Lutero mette in crisi l’ordine politico della cristianità, spezzando la Respublica Christiana e negando legittimità al magistero della Chiesa, nell’orizzonte mondano/divino del Medioevo l’autorità della Chiesa è solo una della auctoritates su cui si fonda la cultura europea. In piena scolastica, l’autorità degli antichi, soprattuto di Aristotele, nella ricerca delle verità, trova espressione nella formula dell’ipse dixit e sarà solo quando alla parola della tradizione si sostituirà la necessità di trovare conferma nell’esperienza che il lungo percorso di dissoluzione del mondo antico potrà dirsi compiuto. La modernità nasce sotto il segno della critica e del cambiamento.
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