Jean Paul Galibert, Essere o non essere? Le quattro possibilità di Amleto

by gabriella

Amleto

Durante l’illustrazione della dottrina dell’essere in Parmenide ad una delle ragazze della 3D è venuto in mente il monologo Amleto, dove quell’«essere» su cui si interroga il principe di Danimarca assume un significato completamente diverso da quello inteso dall’eleate.

Come mostra Jean-Paul Galibert [Philosophie de l’inexistence], applicando all’Amleto il quadrato semiotico di Greimas, la scelta su cui si interroga il giovane non è semplicemente quella di vivere denunciando l’intrigo mortale contro il re (essere) affrontando a sua volta la morte, ma anche quella di forme nuove di resistenza: quella della rinuncia (suicidarsi senza lottare) o quella della sublimazione (lottare attraverso forme sotterranee di elaborazione culturale, alla De Certeau). La traduzione dell’articolo di Galibert è mia.

Dormire, forse sognare: ah, c’è l’ostacolo,
perchè in quel sogno di morte
il pensiero dei sogni che possano venire,
quando ci saremo staccati dal tumulto della vita,
ci rende esistanti.

Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo
le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi,
le ferite dell’amore disprezzato,
le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati
e i calci che i giusti e i mansueti
ricevono dagli indegni.

Amleto

Amleto non è mai stato di fronte a un dilemma che opporrebbe la vita e la morte come la sua testa ad un teschio. Non è affatto questo dilettante stanco dell’esistenza che comparerebbe i vantaggi dell’essere e del non essere. La sua domanda non é “a che scopo vivere”? o “perché non morire”, perché la questione non è mai stata binaria. Invece di rinchiuderci in un dilemma, Amleto ci libera grazie a un tetralemma, ricco di quattro possibilità, opposte a coppie.

All’inizio, la sua domanda é quella di tutti i ribelli: “è meglio morire in piedi o vivere in ginocchio?” La scelta si effettua dunque tra quattro termini, non due, perchè Amleto, opponendo un’esistenza senza vita a una vita senza esistenza, apre le altre due possibilità della vita colma d’esistenza e della morte priva d’esistenza: vivere senza esistere, è soffrire, subire le ingiustizie che egli enumera, essere sfruttati. Esistere senza vivere, é ribellarsi ed essere uccisi. Essere morti senza esistere, é il suicidio, rifiutato qui come un sonno pieno di sogni. Quanto alla vita pienamente esistente, è l’arte, la creazione, in questo caso il teatro, solo fattore di verità e di gioia.

Il quadrato semiotico di Amleto (osservare come sulla stessa linea siano i contrari, lungo la diagonale i contraddittori e sui lati verticali i complementari), secondo Galibert:

Amleto

 Hamlet n’a jamais été face à un dilemme, qui opposerait la vie à la mort, comme sa tête à un crâne. Il n’est en rien ce dilettante, à jamais las de l’existence, qui comparerait les mérites de l’être et du non-être. Sa question n’est pas : « à quoi bon vivre ? » ou « pourquoi ne pas mourir ? », parce qu’elle n’a jamais été binaire. Au lieu de nous enfermer dans un dilemme, Hamlet nous libère par un tétralemme, riche de quatre possibilités, contraires deux à deux. Au départ, sa question est celle de tous les révoltés : vaut-il mieux mourir debout, ou vivre à genoux ? Le choix s’effectue donc entre quatre termes, et non pas deux, car Hamlet, en opposant une existence sans vie à une vie sans existence, ouvre les deux autres possibilités de la vie avec existence et de la mort sans existence : Vivre sans exister, c’est souffrir, subir les injustices qu’il énumère, être exploité. Exister sans vivre, c’est se révolter, et être tué. Etre mort sans exister, c’est le suicide, répudié ici comme un sommeil plein de rêves. Quant à la vie existante, c’est l’art, la création, ici le théâtre, seul facteur de vérité et de joie.

Il monologo

Essere o non essere, questo è il problema.
Se sia più nobile sopportare
le percosse e le ingiurie di una sorte atroce,
oppure prendere le armi contro un mare di guai
e, combattendo, annientarli.

Morire, dormire.
Niente altro.
E dire che col sonno mettiamo fine
al dolore del cuore e ai mille colpi
che la natura della carne ha ereditato
È un epilogo da desiderarsi devotamente.

Morire, dormire.
Dormire, forse sognare: ah, c’é l’ostacolo,
perchè in quel sogno di morte
il pensiero dei sogni che possano venire,
quando ci saremo staccati dal tumulto della vita,
ci rende esistanti.

Altrimenti chi sopporterebbe le frustate e lo scherno del tempo
le ingiurie degli oppressori, le insolenze dei superbi,
le ferite dell’amore disprezzato,
le lungaggini della legge, l’arroganza dei burocrati
e i calci che i giusti e i mansueti
ricevono dagli indegni.

Qualora si potesse far stornare il conto con un semplice pugnale,
chi vorrebbe portare dei pesi
per gemere e sudare
sotto il carico di una vita logorante
se la paura di qualche cosa dopo la morte,
il paese inesplorato dal quale nessun viandante ritorna,
non frenasse la nostra volontà,
facendoci preferire i mali che sopportiamo
ad altri che non conosciamo?

Così la coscienza ci fa tutti vili
e così il colore innato della risolutezza,
lo si rovina con una squallida gettata di pensiero
e le imprese d’alto grado e il momento,
proprio per questo, cambiano il loro corso
e perdono persino il loro nome di azioni.

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