Kant, Progetto per una pace perpetua

by gabriella
kant anziano

Immanuel Kant (1724 – 1804)

Secondo articolo definitivo per la pace perpetua: Il diritto internazionale deve fondarsi su una federazione di stati liberi [I. Kant, Progetto per una pace perpetua, BUR, 1968, pp. 36-40].

I popoli, quali stati, possono venir considerati come singoli individui, che nelle loro condizioni di natura (cioè nell’indipendenza da leggi esterne) si ledono già per la loro vicinanza e ognuno dei quali, per la propria sicurezza, può e deve pretendere dall’altro di entrare con lui in una costituzione simile alla civile, nella quale ad ognuno possa venire assicurato il proprio diritto. Ciò sarebbe una lega di popoli, ma non dovrebbe essere uno stato di popoli.

In questo vi sarebbe però una contraddizione, poiché ogni stato comporta il rapporto di un superiore (che detta leggi) con un inferiore (sudditi, popolo), ma molti popoli in un stato costituirebbero un sol popolo, cosa che contraddice al presupposto (perché noi dobbiamo qui esaminare il diritto dei popoli fra loro in quando essi costituiscono altrettanti stati e non devono fondersi in un unico stato).

Ora, come noi consideriamo con profondo disprezzo l’attaccamento dei barbari alla loro libertà senza legge, che li porta a preferire di azzuffarsi continuamente piuttosto che sottoporsi ad una coazione legale da loro stessi stabilita, a preferire cioè una libertà pazza ad una ragionevole, e consideriamo questo come barbarie, rozzezza e brutale degradazione dell’umanità, così sarebbe giusto pensare che popoli civili (che formano ognuno uno stato a sé) si dovrebbero affretta­re ad uscire al più presto possibile da una situazione così degradante: ma ogni stato ripone piuttosto la sua maestà (poiché la maestà del popolo è una espressio­ne assurda) nel non sottostare ad alcuna coazione esterna, e lo splendore del suo sovrano consiste nel fatto che ha a sua disposizione, senza che egli stesso si esponga al pericolo, molte migliaia di uomini pron­ti a sacrificarsi per cose che non li riguardano affatto. La differenza tra i selvaggi europei e quelli ame­ricani consiste soprattutto nel fatto che in America molte tribù sono state divorate interamente dai toro nemici, mentre gli europei sanno meglio valersi dei vinti e anziché divorarli preferiscono aumentare con loro il numero dei sudditi, e con ciò anche la quantità di strumenti per guerre più vaste.

[…]

Però la ragione, dal suo trono di suprema potenza morale legislatrice, con­danna assolutamente la guerra come procedimento giuridico, mentre eleva a dovere immediato lo stato di pace, che tuttavia non può essere creato o assicu­rato, senza una convenzione dei popoli tra loro: così diviene necessaria una lega di particolare tipo, che si può chiamare lega della pace (foedus pacificum) e che va distinta da patto di pace (pactum pacis), per il fatto che questo cerca di mettere semplicemente fine ad una guerra, mentre invece quella cerca di mettere fine a tutte le guerre, e per sempre. Questa lega non ha lo scopo di far acquistare potenza ad un qualche stato, ma mira solo alla conservazione e alla sicurezza della libertà di uno stato, per sé, e al tempo stesso per gli altri stati confederati, senza che questi debbano sottomettersi (come gli uomini nello stato di natura) a leggi pubbliche e a una coazione tra di loro. Si può immaginare l’attuabilità (realtà oggettiva) di questa idea di federalismo che gradualmente si deve estendere a tutti gli stati, e condurre così alla pace perpetua: poiché se la fortuna portasse un popolo potente e illuminato a costituirsi in repubblica (la quale per sua natura deve tendere alla pace per­petua), si avrebbe in ciò un nucleo dell’unione federativa per gli altri stati, per unirsi ad essa e garantire così lo stato di pace fra gli stati, conformemente all’idea del diritto internazionale, estendendolo sempre più tramite altre unioni dello stesso tipo. Si capisce che un popolo dica: «Tra noi non ci deve essere più nessuna guerra; perché noi vogliamo costituirci in uno stato, cioè dare a noi stessi un potere supremo legislativo, esecutivo e giuridico che risolva pacificamente i nostri dissensi”. Ma se questo stato dice: “Non ci deve essere alcuna guerra fra me e gli altri stati, sebbene io non riconosca nessun potere legislativo supremo che garantisca a me il mio diritto e agli altri il loro”, allora non si può capire su che cosa io voglia basare la fiducia nel mio diritto, se non su di un surrogato della lega sociale civile, cioè sul libe­ro federalismo, che la ragione deve necessariamente associare all’idea di diritto internazionale, se gli vuol dare un qualche significato.

Riguardo al concetto di diritto internazionale quale diritto alla guerra, in sé esso non significa propriamente nulla (poiché dovrebbe essere il diritto di determinare ciò che è giusto, non secondo leggi esterne universalmente valide, che limitano la libertà di ciascuno, ma secondo massime unilaterali, per mezzo della forza); dovrebbe infatti venire inteso nel senso che uomini che la pensano così hanno la sorte che si meritano se si distruggono tra loro e trovano quindi la pace eterna nell’ampia fossa che ricopre tutti gli orrori della violenza insieme con i loro autori.

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