Marco Romito, Classificare e competere. La scelta della scuola superiore e l’ossessione per il ranking

by gabriella

Un prezioso studio sociologico dedicaro al significato del ranking scolastico e della falsa neutralità di strumenti come Eduscopio, la cui logica di funzionamento agisce da moltiplicatore delle diseguaglianze. Tratto da Lavoro culturale.org.

Entro la fine della giornata chiunque abbia un figlio o una figlia iscritti all’ultimo anno della scuola media, dovrà effettuare l’iscrizione a una scuola superiore. Si tratta di un momento nei percorsi scolastici di migliaia di ragazzi e ragazze spesso enfatizzato, caricato di significati fatali e fatalistici, del quale tuttavia non vengono quasi mai approfondite e indagate le motivazioni. Cosa sappiamo di come viene effettuata la scelta della scuola superiore?

Sappiamo che la scelta della scuola superiore condiziona la qualità dell’esperienza scolastica, culturale e relazionale dei ragazzi e delle ragazze, le probabilità di abbandono scolastico, le probabilità di accesso al mondo universitario, quelle di conseguire una laurea, il tipo di carriera occupazionale a cui si potrà avere accesso[1]. Sappiamo, inoltre, che il mondo delle scuole superiori è un mondo frammentato in cui alle più evidenti e profonde differenziazioni legate alla distinzione tra filiera liceale, tecnica e professionale, si sovrappone una stratificazione interna a ciascuna filiera e che, come la precedente, è anch’essa una stratificazione di classe[2].

Come in altri paesi, le divisioni sociali si inscrivono nei territori, nelle connotazioni sociali dei luoghi, dei quartieri di residenza, dei comuni, dei piccoli centri; cosicché le scuole rispecchiano in parte la composizione sociale dei territori in cui sono insediate. In parte. Poiché dove questi fenomeni sono stati studiati in modo approfondito dalla ricerca sociale, si è visto che le scuole si caratterizzano per un’omogeneità di classe che è ancor più rilevante di quella che è possibile individuare a livello territoriale[3]. Dove non arriva l’ecologia urbana, la struttura stratificata e diseguale delle città, i processi di segregazione sociale a livello scolastico vengono accelerati e rafforzati dalle scelte delle famiglie. Queste ultime, lo sappiamo da innumerevoli studi[4], si fanno guidare da criteri di affinità culturale e sociale. Quando si tratta di scegliere a quale scuola iscrivere i loro figli tendono dunque a innescare processi che amplificano la segregazione sociale a livello scolastico.

Un esito rilevante dei meccanismi di segregazione sociale a livello di scuola superiore può essere rappresentato dalla variabilità di alcuni risultati ottenuti dagli studenti dopo aver conseguito il diploma. Per quanto riguarda il ramo liceale, il tasso di prosecuzione e i risultati universitari vengono considerati generalmente di grande interesse.

Ma perché i risultati universitari degli studenti ci dicono qualcosa sulla segregazione sociale e scolastica? Non sono invece un semplice indice della qualità formativa di ogni singola scuola?

Il ragionamento può essere ripercorso in estrema sintesi nel modo seguente:

1) le origini sociali, il ceto o la classe sociale, che dir si voglia, hanno un legame molto forte con la probabilità di iscriversi all’università, con la rapidità degli studi e con i risultati ottenuti[5];

2) le carriere educative non sono determinate solo dalla singola volontà, impegno, intelligenza del singolo, ma sono l’esito di processi di costruzione sociale in cui i gruppi dei pari e la cultura orientativa di ciascun contesto formativo hanno un peso importantissimo[6];

3) la segregazione sociale a livello di scuola superiore produce una situazione nella quale i gruppi dei pari e la cultura orientativa di ciascuna scuola amplificano l’effetto delle origini sociali sulle carriere educative degli studenti[7].

La combinazione di questi tre elementi darà come risultato la possibilità, per ogni scuola, di fregiarsi di un vessillo di merito o demerito (come gli outcomes universitari dei suoi studenti), che in realtà è l’esito dei meccanismi sociali (e di classe) che l’anno prodotto.

La Fondazione Giovanni Agnelli a novembre 2016 ha aggiornato il portale Eduscopio. Attraverso l’utilizzo di una serie di indicatori relativi alle carriere universitarie o lavorative dei diplomati, Eduscopio assegna dei punteggi a ciascuna scuola superiore della penisola: “Eduscopio: Confronto, scelgo, studio”. Il progetto, si esplicita sul portale, è quello di fornire a studenti e famiglie un indice semplice per trarre delle

“indicazioni di qualità sull’offerta formativa delle scuole”.

Il portale non permette confronti tra scuole che appartengono a filiere formative differenti. Confrontare gli esiti universitari degli studenti di un liceo classico con quelli degli studenti di un istituto tecnico non avrebbe naturalmente molto senso perché si assume che ciascuno specifico indirizzo abbia una vocazione orientativa differente. Si possono invece confrontare tra loro, ad esempio, tutti i licei scientifici (o classici, o delle scienze umane, o artistici, ecc.) entro un raggio di massimo 30 km da un comune scelto dall’utente oppure da un punto definito attraverso una funzione di geolocalizzazione. L’esito dell’interrogazione è una classifica, un ranking, una graduatoria, definita a partire da un indice che mette assieme la media dei voti e dei crediti ottenuti dagli studenti che si sono diplomati in ciascuna delle scuole individuate per lo specifico indirizzo scelto dall’utente.

C’è qualcosa che non va in tutto questo? Il portale è accessibile a tutti e fornisce a tutti, dunque, informazioni rilevanti sugli esiti universitari e occupazionali dei diplomati. Informazioni a cui probabilmente molte famiglie possono essere interessate e che potrebbero orientarle nel fare delle scelte adeguatamente informate. Si potrebbe anche aggiungere che il portale ha il pregio di rendere visibili alcuni dati che altrimenti circolerebbero solo all’interno di specifiche cerchie di genitori, cerchie che è facile immaginare siano fortemente connotate dal ceto sociale. Mi ripeto dunque, dov’è allora il problema?

Il primo problema è di ordine metodologico, e direi anche deontologico. Chi ha costruito Eduscopio non può non sapere che le classifiche prodotte possono dire molto poco sulle “basi formative”, sulla “bontà del metodo di studio” e sulla “utilità dei suggerimenti orientativi” acquisiti dagli studenti nelle scuole di provenienza. E non possono dire nulla sulla qualità specificatamente scolastica o didattica, o pedagogica, o orientativa delle scuole poiché questo ranking non tiene conto di una variabile centrale nel definire gli esiti universitari, ovvero delle origini sociali degli studenti.

Non possiamo dire dunque se il liceo scientifico Umberto I, sia la scuola migliore nella città di Torino per via delle sue specifiche qualità didattiche o per via delle specifiche qualità sociali degli studenti che la frequentano.

Dal punto di vista delle famiglie, poi, il problema è anche un altro, vale per tutte le classifiche di questo tipo, e rimanda al loro reale contenuto informativo. L’indicatore che definisce la posizione in classifica di ogni scuola è una media. Questa media, per definizione, ci fornisce delle informazioni che possono essere accurate in riferimento allo studente medio di ciascuna scuola. Se lo studente medio del liceo scientificoUmberto I di Torino è figlio di genitori laureati, qual è il contenuto informativo di questa media per un figlio di genitori analfabeti? Se la media dei voti universitari ottenuti da ex-studenti (figli di laureati) dell’Umberto I è di 27,5, è possibile assumere che questo valore medio possa avere un contenuto informativo utile anche per un figlio di genitori analfabeti? La risposta è: naturalmente no. Insomma Eduscopio fornisce un indicatore che misura una cosa per un’altra e inganna le famiglie omettendo di evidenziare i limiti intrinsechi nello strumento.

Il secondo problema di Eduscopio, a mio avviso ancor più rilevante del precedente, è invece di ordine politico e rimanda alle considerazioni fatte in premessa. Provate a digitare “Eduscopio” su un motore di ricerca e avrete una chiara percezione dei risultati a cui porta la sempre crescenteossessione per il ranking. Scuole che si fregiano del titolo di prime in classifica, giornalisti di importanti testate nazionali che riportano le pagelle città per città, e così via. Poco importa se spesso la differenza tra un posto in classifica e un altro sia determinata da uno zero virgola nella media dei voti d’esame ottenuti dagli studenti.

Ora, ciò che vorrei sottolineare è che questa ossessione per la classifica, anche quando non è in grado di fornire informazioni realmente utili per operare una distinzione tra gli oggetti classificati, è il segnale più evidente della prorompente crescita della competizione scolastica. Competizione tra scuole, che vogliono (se ci riescono) attrarre gli studenti “migliori”: quelli che consentiranno loro di primeggiare nelle classifiche e che, ricordiamolo, generalmente non sono quelli che provengono da contesti familiari più problematici, poveri e poco istruiti. Ma anche competizione tra famiglie, sempre più disposte a spendere tempo ed energie per offrire ai loro figli il meglio dell’esperienza scolastica e sociale anche al costo di far percorrere loro qualche chilometro in più ogni mattina.

In questo quadro altamente competitivo e in assenza di misure correttive in grado di controbilanciare il libero gioco degli attori in campo, è naturale che chi parta da posizioni di vantaggio tenda a rafforzarle[8]. Così, la competizione esaspera i processi di segregazione e dunque le disuguaglianze tra scuole anche all’interno della medesima filiera formativa. E la Fondazione Giovanni Agnelli, con la produzione dell’ennesima classifica, sceglie di entrare a gamba tesa in questa arena. Eduscopio è un’arma posata sul campo di battaglia, un’arma potente perché semplice, intuitiva e facile da usare, che consente agli attori in competizione di lottare con più efficacia; è un acceleratore di meccanismi competitivi già in atto che possono facilmente portare a una situazione di crescente frammentazione e disuguaglianza dell’offerta formativa.

Infatti, quando si tratta di scegliere una scuola, la capacità di reperire, immagazzinare, manipolare e usare le informazioni è fortemente influenzata dai contesti socio-culturali delle famiglie. In primo luogo possiamo dunque immaginare che le scuole “migliori” di Eduscopio inizieranno sempre più ad essere l’oggetto dei desideri di famiglie istruite e capaci di dedicare tempo ed energie per guidare i loro figli nella transizione verso la scuola superiore. In secondo luogo, queste scuole, dovranno iniziare a gestire una pressione crescente definendo barriere e criteri di selezione sulla cui equità occorrerebbe indagare in modo estremamente approfondito.

Ciò a cui si sta assistendo è peraltro un processo già pienamente sviluppatosi in paesi che hanno anticipato il nostro nell’implementazione di meccanismi di mercato nel governo del campo scolastico[9]. Questi meccanismi, assieme ai ranking che sollecitano la ricerca dell’eccellenza e la spinta competitiva, irrobustiscono le posizioni di forza e accrescono le divisioni sociali che attraversano il mondo della scuola. La crescente spinta competitiva alimenta processi che surrettiziamente tendono ad accrescere la chiusura sociale (e di classe) di alcune scuole e a distinguerle dalle altre – per il tipo di esperienza sociale, culturale, relazionale, e conseguentemente didattica – creando, anche all’interno delle medesime filiere formative, dei circuiti scolastici di serie A, di serie B, di serie C e così via.

[1]    Sulla dispersione nella scuola secondaria si veda il Dossier Dispersione di Tutto Scuola, liberamente scaricabile da tuttoscuola; relativamente all’impatto della scelta della scuola superiore sugli esiti universitari e occupazionali si può vedere Ballarino e Checchi (a cura di), Sistema scolastico e disuguaglianza sociale. Scelte individuali e vincoli strutturali, Bologna: Il Mulino, 2006.

[2]   Su questo si veda ad esempio la ricerca di Pitzalis, Effetti di campo. Spazio scolastico e riproduzione delle disuguaglianze, «Scuola Democratica», vol. 6, 2012.

[3]  Oberti, M. (2007). L’école dans la ville, Paris: SciencesPo, les presses.

[4]  Roda, A., & Wells, A. S. (2013), School Choice Policies and Racial Segregation: Where White Parents Good Intentions, Anxiety, and Privilege Collide, «American Journal of Education», 119(2), 261–293.

[5]  Trivellato, P., & Triventi, M. (2008), Le onde lunghe dell’università italiana. Partecipazione e risultati accademici degli studenti nel Novecento, «Polis», 22(1), 85–116.

[6]  Smyth, E., & Banks, J. (2012). “There was never really any question of anything else”: young people’s agency, institutional habitus and the transition to higher education, «British Journal of Sociology of Education», 33 (2), 263–281.

[7]   Reay, D., David, M. E., & Ball, S. J. (2005), Degrees of Choice: Class, Race, Gender and Higher Education. Trentham Books; Roksa, J., & Robinson, K. J. (2016), Cultural capital and habitus in context: the importance of high school college-going culture, «British Journal of Sociology of Education», 1–14.

[8]  Fiel, J. (2015), Closing Ranks: Closure, Status Competition, and School Segregation, «American Journal of Sociology», 121(1), 126-170.

[9]  Reay, D. (2004), Exclusivity, Exclusion, and Social Class in Urban Education Markets in the United Kingdom, «Urban Education», 39(5), 537–560.

 

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