Olmo Viola, Gay si nasce? Una sfida scientifica

by gabriella

simon-levayPerché alcune persone sono eterosessuali e altre omosessuali? Come si sviluppa l’orientamento sessuale? Sono domande interessanti a cui sono state fornite risposte di vario tipo, la maggior parte delle quali insoddisfacenti. Per dirimere la questione il neuroscienziato Simon LeVay propone ora un approccio biologico multifattoriale che permette di fondare un nuovo programma di ricerca, più centrato sulle differenze individuali che su quelle delle categorie standard. Tratto da La mela di Newton.

“Sebbene la questione del “che cosa rende le persone gay” abbia ancora qualche risonanza sociale, politica e legale, adesso la maggior parte dei ricercatori considera l’orientamento sessuale come qualcosa che vale la pena di studiare semplicemente perché rappresenta un aspetto significativo della diversità propria dell’essere umano” – Simon LeVay

Il problema

Gender-identity“Eterosessuali si nasce o si diventa?”: questa domanda suscita solitamente meno curiosità rispetto alla questione dell’origine dell’omosessualità. Eppure si tratta del medesimo problema letto da due punti di vista differenti, cioè dell’origine dell’orientamento sessuale, il quale si può esplicitare in eterosessualità, omosessualità e bisessualità, con sfumature variabili all’interno di ognuna di queste macro-categorie. Si può pensare che l’eterosessualità non susciti molta curiosità perché vissuta come normale, quotidiana, quasi banale, essendo, come riportano le statistiche, la maggior parte delle persone eterosessuali (il 96% dei maschi e il 98% delle femmine circa[1]). In fondo, è ciò che permette la riproduzione e l’evoluzione della specie. Ecco allora che l’omosessualità viene da molti considerata qualcosa di “estraneo”, come un’“alterità ambigua”, difficile da classificare entro le categorie del “buono”, del “cattivo” o dell’“indifferente”. Le persone omosessuali sono sempre state una minoranza, rappresentanti di una differenza peculiare, e per varie e complesse ragioni storiche e sociali nel passato sono state, ma in alcuni luoghi lo sono ancora, ostracizzate, condannate moralmente, patologizzate.

Una certa curiosità ha fecondato ricerche di vario tipo sull’omosessualità in generale, e sono state proposte varie prospettive esplicative al fine di comprendere il fenomeno. Da comportamento “contro natura” meritevole di biasimo morale, l’omosessualità è stata “inserita nel mondo naturale” soprattutto grazie all’affermarsi degli stati liberali e agli studi psicanalitici, i quali liberarono il campo da pregiudizi religioso-morali contribuendo a sviluppare gli studi su questo comportamento.L’effetto collaterale è stato però quello di intendere le persone omosessuali come affette da una qualche sorta di patologia o devianza, e di aprire la discussione su quale potesse essere una “cura” adeguata. L’integrazione definitiva nel mondo “naturale-normale” (o comunque lo si voglia definire), anche se non ancora del tutto assimilata da ogni società, è avvenuta infine attraverso la colonizzazione della questione da parte della biologia e delle scienze sperimentali. La prospettiva biologica si è innestata efficacemente nel campo e ha alimentato vari settori di studi che hanno intrapreso dei percorsi di ricerca che appaiono a oggi promettenti, ancorché nella loro fase iniziale, al fine di fornire un quadro esplicativo non solo dell’omosessualità, ma dell’emergenza dell’orientamento sessuale nelle sue molte diversità.

La prospettiva biologica multifattoriale

Freud

Sigmund Freud

John Watson

John Watson

Il neuroscienziato Simon LeVay[2] riassume nel suo libro Gay si nasce? Le radici dell’orientamento sessuale, recentemente tradotto in italiano, l’attuale prospettiva biologica alla base dei programmi di ricerca dedicati allo studio dell’origine, dello sviluppo e della manifestazione degli orientamenti sessuali, concentrandosi soprattutto sull’omosessualità. Il suo obiettivo è quello di fare chiarezza all’interno di un dibattito confuso e talvolta viziato da stereotipi, basandosi sulla metodologia scientifica, imbracciata prima di tutto per liberare il campo da pseudo-spiegazioni vetuste e sterili. L’autore parte proprio dalla critica delle ipotesi esplicative classiche, focalizzandosi sulle strade aporetiche intraprese dagli psicanalisti, dai teorici della centralità dell’apprendimento (secondo cui le caratteristiche di genere e le preferenze sessuali sarebbero apprese esclusivamente attraverso modelli educativi e influenze sociali) e infine soffermandosi sulla scarsa plausibilità delle conclusioni di coloro che sostengono si tratti di una “scelta”. L’alternativa che rimane sarebbe dunque quella biologica. L’espansione della metodologia scientifica nel dominio della vita, soprattutto nell’ultimo secolo, ha permesso di elaborare teorie e strumenti che, se integrati assieme, promettono di far luce su questo intricato scenario.

Un approccio multidisciplinare basato sulla coordinazione di varie discipline diviene indispensabile, nel tentativo di formare un quadro esplicativo coerente e soddisfacente, evitando qualsiasi facile determinismo. L’armamentario imprescindibile per affrontare tali questioni è composto da: neuroscienze, fisiologia, biologia dello sviluppo, biologia evoluzionistica, genetica, psicologia sperimentale, etologia e anatomia comparata. Si tratta di un’impresa complessa, di un lavoro in fieri, che non ha prodotto ad oggi alcuna risposta definitiva, ma che quotidianamente sviluppa modelli sempre più robusti che ci permettono di comprendere la dinamica dello sviluppo degli orientamenti sessuali nella nostra specie. Non paiono infatti più accettabili quelle prospettive mono-causali che portavano ad affermare tronfiamente di aver trovato un fantomatico gene dell’omosessualità[3], o teorie psicologiche che indicavano nel rapporto padre-figlio l’eziogenesi della presunta “devianza”. Come emerge dal modello articolato che LeVay delinea, le varie ricerche sull’origine e lo sviluppo dell’orientamento omosessuale convergono nell’indicare che si tratta di un processo multifattoriale complesso, di natura biologica, in cui le dinamiche socio-culturali hanno un’influenza non decisiva sull’origine stessa dell’orientamento mentre possono fare una certa differenza nel suo sviluppo lungo la vita.

“Gli esseri umani sono animali” (ivi, p. 47) connessi in una rete genealogica a tutti gli altri viventi, passibili di essere sottoposti ad un’analisi scientifica proprio perché facenti parte del novero dei soggetti naturali. La prospettiva biologica permette di evidenziare l’unità nella diversità. Siamo esseri viventi uniti dalla costituzione biologica, dalle nostre modalità generali di funzionamento, e al contempo siamo differenti perché nessuno è identico a qualcun altro, ognuno è portatore di caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono e rendono unico. Attraverso un’indagine scientifica si possono dunque rintracciare pattern di similarità nel funzionamento del nostro genoma, della nostra fisiologia, delle nostre capacità cognitive, ma ogni soggetto varierà per qualche caratteristica infinitesimale, e questo è da tener presente nel tentativo di individuare una spiegazione coerente di fenomeni articolati come l’orientamento sessuale, perché piccole differenze possono direzionare i processi di sviluppo verso risultati inediti.

Alle fondamenta di questa prospettiva si trova il lavoro assiduo di migliaia di biologi (intesa qui come categoria generale che racchiude tutti coloro che studiano i processi alla base della vita), che negli ultimi decenni, lungi dall’aver condotto ad una semplificazione onnicomprensiva della nostra visione dei processi biologici, ha al contrario aperto nuovi microcosmi di complessità, arrivando a fare i conti con processi ben più intricati del previsto. L’espressione del genotipo nel fenotipo non si può più semplificare con il modello gene-proteina ipotizzato durante la prima fase di esplorazione e i processi di sviluppo paiono complicatissimi, mentre l’indagine sulle strutture e sulle funzioni del nostro encefalo più si affina più scopre vasti territori da scandagliare. L’emergere di questi micro-universi inattesi non ha comunque sconfortato gli scienziati: ha invece provocato entusiasmo prospettando nuovi territori da esplorare e tanto lavoro da compiere per le nuove generazioni.

Un puzzle complesso e un paradosso evoluzionistico

Nel testo, LeVay discute con ordine centinaia di ricerche tentando di costruire un modello coerente attraverso il bricolage dei vari risultati validi accumulati. Quello che ne risulta non è una risposta definitiva alla domanda “gay si nasce?”, bensì un tentativo di delineare un programma di ricerca, un sentiero da percorrere per tentare di fare chiarezza sul fenomeno. Qui di seguito verrà descritto il nucleo dell’analisi dell’autore, molti argomenti trattati nel testo sono stati tralasciati per mere esigenze di sintesi. Il puzzle è complesso.

bonobo

I bonobo praticano sesso ricreativo, anche gay

Indagini etologiche hanno messo in luce quanto le pratiche omosessuali e bisessuali siano diffuse anche in altre specie: famose sono le copule caotiche dei bonobo, ben documentate quelle dei macachi giapponesi, di oche selvatiche e gabbiani. Studi sperimentali sui moscerini della frutta, sui ratti, sui montoni hanno permesso di elaborare modelli analogici sull’origine dell’orientamento sessuale a partire dall’interazione di vari geni, strutture cerebrali e flussi ormonali.

geneSi è sottolineato poco sopra che cercare un solo gene specifico per l’omosessualità sarebbe ingenuo, ma a dire il vero un “gene dell’omosessualità” è stato individuato, anche se non appartiene alla nostra specie bensì a quella dei moscerini della frutta! Sia i maschi che le femmine di quella specie possiedono tale gene, ma esso interagisce in modo differente con i due sessi a causa di strutture cerebrali dimorfiche che li distinguono. Attraverso una piccola manipolazione sperimentale gli scienziati sono stati in grado di rendere il comportamento di una femmina uguale a quello del maschio e a indurla a corteggiare un’altra femmina. Ma geni e le strutture cerebrali non sono gli unici fattori del comportamento omosessuale: si è trovato che modificando certi neurotrasmettitori i maschi non producevano più un feromone sesso-specifico di riconoscimento, portando altri maschi a riconoscerli come femmine e a corteggiarli. In questo caso, tuttavia, nessuno dei due esibiva comportamenti strettamente omosessuali. Da questo si può inferire che varie cause possono indurre un’attivazione sessuale specifica. È da sottolineare che le analogie tra specie tanto diverse non sono del tutto innocue, ma possono svolgere un’utile funzione euristica nell’indicare probabili vie per la soluzione delle questioni.

Gli studi su diverse patologie hanno permesso di individuare alcuni fattori salienti alla base dei processi di sviluppo dell’orientamento sessuale. Per esempio donne affette da iperplasia surrenale congenita producono un eccesso di androgeni che portano a una mascolinizzazione dei tratti di genere e all’aumento relativo delle tendenze omosessuali. Altre patologie connesse a uno sviluppo atipico dell’organismo e delle preferenze sessuali sono la sindrome da insensibilità agli androgeni e la sindrome di Kluver-Bucy[4].

Le ricerche sugli ormoni hanno messo in luce la loroinfluenza fondamentale in periodi specifici dello sviluppo pre-natale nello strutturare zone dell’encefalo coinvolte nell’elaborazione dell’orientamento sessuale e dei tratti di genere. Il loro ruolo costruttivo non si conclude alla nascita, ma continua per tutta l’esistenza del soggetto, intervenendo criticamente durante svolte chiave come la pubertà. Anche l’alterazione dei loro livelli in fasi avanzate della vita di una persona può provocare cambiamenti nelle preferenze sessuali e nei tratti di genere (come si può evincere dallo studio di certi traumi [5]). Questi processi sono molto importanti perché suggeriscono sia il ruolo fondamentale degli ormoni quali mediatori della sessualità sia la possibile esistenza di strutture cerebrali predisposte non univocamente ad elaborare preferenze sessuali. Anche in questo caso l’ipotesi apre la via ad interessanti future ricerche.

Studi anatomici hanno permesso di individuare strutture cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle preferenze sessuali[6]. Le loro differenze architettoniche e funzionali sono state associate a distinti orientamenti sessuali e a caratteristiche di genere. L’omosessualità parrebbe essere il risultato anche di strutture cerebrali che tendono a un’architettura e a un funzionamento simile a quelle delle persone del sesso opposto (per chiarire: un maschio omosessuale avrebbe strutture cerebrali per alcuni aspetti simili a quelle delle femmine, viceversa per una femmina omosessuale). Altri studi si sono concentrati sulla ricerca di marker anatomici correlati all’alterazione dei processi di sviluppo: se gli omosessuali seguono un processo di sviluppo differente da quello degli eterosessuali, a causa dei diversi livelli ormonali e delle differenze genetiche, si dovrebbero riscontrare differenze e peculiarità in varie parti dell’organismo. Di fatto, oltre a dimorfismi sessuali nell’encefalo, sono state trovate differenze interessanti nel rapporto della lunghezza delle dita, nel rapporto lunghezza busto-arti e nelle caratteristiche dell’apparato uditivo. Sono state condotte indagini anche sulle capacità cognitive, ma i risultati sono ambigui in vari casi. Anche in questo frangente le ricerche non sono esenti da dubbi metodologici e presentano molte incertezze, ma almeno indicano come proseguire le indagini. Studi finalizzati per esempio all’individuazione di geni coinvolti nell’espressione delle preferenze sessuali, condotti su gemelli e su famiglie di persone omosessuali, hanno indicato correlazioni interessanti, ma rimangono molti dubbi sulla loro validità.

Dagli studi genetici è emerso un interessante paradosso in chiave evoluzionistica:se gli omosessuali non si riproducono (nel qual caso lo facciano rimane comunque una minoranza nella minoranza) come è possibile che si conservino nel pool genico della popolazione umana quei presunti geni che sarebbero alla base del loro orientamento sessuale? Si presenta una prima dicotomia: o i geni non hanno nulla a che fare con l’omosessualitàoppure si deve trovare una spiegazione soddisfacente della loro conservazione. Già si conoscono casi in cui geni che compromettono il successo riproduttivo del proprio portatore non scompaiono dal pool genico, ma vengono conservati perché comportano vantaggi se mantenuti nello stato eterozigote (è il caso per esempio dei geni alla base dell’anemia falciforme). Sono state avanzate alcune ipotesi per spiegare la persistenza di eventuali geni e giustificarla in una prospettiva di aumento o equilibrio nella fitness. I vari modelli ipotizzano una correlazione tra i geni connessi al comportamento omosessuale e un aumento del successo riproduttivo dei parenti delle persone omosessuali.

Una forma di “selezione parentale” di questo genere era stata invocata già da Edward O. Wilson[7]: in tale modello le persone omosessuali non si riprodurrebbero ma aiuterebbero i parenti nelle cure parentali e conseguentemente ad allevare una prole più numerosa (portatrice di ampie porzioni dei loro stessi geni, compresi i geni connessi al comportamento omosessuale). Purtroppo quasi nessuna evidenza è stata racimolata finora a favore dell’ipotesi di Wilson (il quale nel frattempo ha cambiato idea circa l’importanza in natura della selezione parentale).

Si è allora ipotizzato che i geni che influenzano l’omosessualità potessero avere altri effetti positivi sui portatori non omosessuali. In tal senso sono state proposte due spiegazioni: l’ipotesi delle femmine fertili e l’ipotesi della femminilizzazione vantaggiosa. L’ipotesi delle femmine fertili è stata elaborata da un gruppo di ricerca italiano[8] e prevede che i geni connessi all’orientamento omosessuale producano un’androfilia accentuata, inducendo l’omosessualità nei maschi e una sorta di iperrecettività nelle femmine che le porterebbe ad avere più figli. In questo modo i geni in questione si propagherebbero in forma eterozigote in modo indiretto. Questa ipotesi implica che gli omosessuali maschi abbiano delle famiglie più numerose e che le loro parenti femmine siano più feconde rispetto ai parenti maschi. Il modello converge anche con altri studi che hanno indicato la possibile localizzazione dei geni sul cromosoma sessuale X, che è ereditato dal figlio esclusivamente dalla madre (il cromosoma Y è ereditato dal padre), ma i risultati non sono conclusivi. Nonostante i problemi ancora aperti questo modello spiegherebbe come mai si mantengano nella popolazione, a basse frequenze, i geni che inducono l’omosessualità maschile.

L’ipotesi dei geni “femminilizzanti” è stata invece proposta dall’economista Edward Miller[9] e prevede che tali geni influenzino più tratti di genere con intensità differenti. A seconda delle loro composizioni essi indurrebbero l’emergenza di varie caratteristiche femminili, le quali aumenterebbero l’attrattività del portatore maschio nei confronti di una femmina, permettendogli di avere più rapporti sessuali e più figli. Nel caso in cui l’effetto combinato dei geni sia forte si avrà un soggetto omosessuale, inteso come un effetto collaterale raro (non riproduttivo) di geni altrimenti favorevoli alla riproduzione. Il modello prevede che i maschi “femminilizzati” abbiano maggior successo riproduttivo rispetto agli altri che lo sono meno e, correlatamente, che gli eterosessuali con parenti omosessuali siano più “femminilizzati” e abbiano più successo riproduttivo rispetto a coloro che non hanno parenti omosessuali. Alcuni studi recenti hanno confermato queste tendenze, aggiungendo anche dati favorevoli per uno schema reciproco di femmine “mascolinizzate”.

Nonostante i buoni risultati ottenuti da questi due modelli esplicativi nessuno ha accumulato sufficienti evidenze per chiudere la questione con una vittoria. Alcuni particolari vanno chiariti, ma si è sulla strada giusta e l’apparente paradosso evoluzionistico potrebbe essere presto dissolto.

Il modello: un mosaico di cause e percorsi individuali

Ad oggi non si ha un’idea esauriente di tutti i processi molecolari diversi, paralleli, talvolta antagonisti, coinvolti nella costituzione dell’orientamento sessuale. Ogni soggetto è caratterizzato da un genotipo peculiare, da livelli ormonali fluttuanti e il tutto deve essere inquadrato in un’ottica temporale: il processo di sviluppo può essere canalizzato verso risultati diversi a seconda del livello di molecole specifiche che interagiscono in tempi precisi e in zone corporee precise. Questo complica enormemente lo scenario esplicativo: i processi di sviluppo hanno ampie traiettorie individuali che si possono canalizzare verso risultati differenti per una molteplicità di fattori. È forse per questo che molti esiti di studi indipendenti sono risultati incoerenti, ma il problema si dissolverebbe se si smettesse di cercare un modello univoco mono-causale.

I risultati delle ricerche effettuate suggeriscono come l’orientamento sessuale sia un aspetto del genere che emerge dalla differenziazione (strutturale e funzionale) prenatale del cervello. La differenziazione sessuale sarebbe influenzata dall’interazione complessa di diversi geni, ormoni e sistemi cerebrali. Il risultato del processo di sviluppo sarebbe la disposizione (non la determinazione) a provare attrazione sessuale per uno dei due sessi (o per entrambi). Le persone omosessuali presenterebbero delle strutture e funzioni cerebrali simili a quelle del sesso opposto, ma non identiche: le caratteristiche convergenti o divergenti emergerebbero secondo varie composizioni possibili e questo sarebbe alla base delle differenze che esistono anche tra ogni persona omosessuale.

alcibiadesL’ipotesi che l’ambiente di tipo socio-culturale (educazione, contesto familiare e sociale, relazioni amicali nel percorso di crescita), nel quale cresce la persona, possa influenzare l’origine stessa dell’orientamento sessuale non è stata corroborata da dati significativi. Il contesto socio-culturale svolge invece un ruolo importante nelle modalità di espressione individuale delle preferenze sessuali.

Si può concludere che non esistano buone ragioni per sostenere l’esistenza di un unico processo che determini univocamente l’orientamento sessuale. I diversi fattori in gioco, interagendo, possono portare a risultati simili o diversi a seconda di varie condizioni, che andrebbero approfondite per ogni singolo soggetto. Forse le cause dell’omosessualità maschile e femminile[10] non sono le medesime, e viceversa non ogni soggetto dello stesso sesso arriva ad avere le medesime preferenze sessuali seguendo lo stesso processo di sviluppo (più strade portano a un risultato simile). Va poi sottolineato, contro ogni stereotipo, che l’omosessualità non è un carattere monolitico indifferenziato, ma un insieme di tratti che si intrecciano in modo complesso in ogni organismo. Singole specifiche caratteristiche possono variare e combinarsi in un mosaico screziato di differenze: piccole variazioni possono manifestarsi nelle caratteristiche corporee, nelle strutture encefaliche, nei tratti cognitivi e nella personalità. Ma questo è valido per ogni persona, qualunque sia il suo orientamento sessuale. Ogni persona è un collage di caratteri e una semplice etichetta di “gay, lesbica, etero, bisessuale” non può fornire alcuna descrizione esaustiva, ma solo una generalizzazione che comprende al suo interno uno spettro continuo di variazione tra femminilità e mascolinità. Molto probabilmente queste piccole differenze sono il risultato di percorsi di sviluppo leggermente diversi, che seguono tutti il medesimo tracciato ma che producono un esito contingente a seconda delle differenti condizioni.

Alla fine si è giunti lontani da qualsiasi soluzione definitiva, e le ricerche hanno aperto nuovi continenti da esplorare. Nel contempo i risultati ottenuti forniscono una mappa per orientarsi e suggeriscono quali sentieri intraprendere per giungere a spiegazioni più soddisfacenti delle attuali. Va da sé che qualunque sia la storia naturale dell’omosessualità questi studi non possono essere usati per giustificare alcun tipo di prescrizione morale. Essi possono invece essere utilizzati per delegittimare coloro che pretendono di basarsi su una fantomatica Natura o su qualche altra pretesa “autorità” per arrivare a squalificare, moralmente o legalmente, determinati gruppi di persone con preferenze sessuali divergenti da quelle dominanti. Costoro confondono le loro soggettive convinzioni personali o le loro consuetudini con un fantomatico ordine naturale oggettivo. Si appellano a una natura universale come se fosse un ordine sacro, inviolabile e fonte di norme morali, ma non si accorgono che le “leggi di natura” da loro postulate non sono affatto universali e che nessun ostacolo meta-fisico può impedire al singolo di trasgredirle.

NOTE

[1] Simon LeVay, (2015), “Gay si nasce? Le radici dell’orientamento sessuale”. Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 22.

[2] Neuroscienziato inglese noto per i suoi studi sull’orientamento sessuale, ha pubblicato vari testi e articoli sul tema. Ha lavorato all’Harvard Medical School e presso il Salk Institute for Biological Sciences di La Jolla.

[3]Simon LeVay, (2015), pp. 145-150.

[4] Per la sindrome da insensibilità agli ormoni:http://www.lescienze.it/news/2007/10/18/news/non_solo_i_cromosomi_stabiliscono_il_sesso-581439/.

[5] Per esempio la già citata sindrome di Kluver-Bucy oppure i cambiamenti indotti da terapie ormonali.

[6] Simon LeVay ha ottenuto fama a inizio anni novanta proprio per gli studi sul nucleo sessualmente dimorfico INAH3 all’interno dell’ipotalamo.

[7] Edward Osborne Wilson, Sociobiology: the new synthesis, Cambridge, London, 1975.

[8] Andrea Camperio Ciani, Francesca Corna, Claudio Capiluppi, “Evidence for maternally inherited factors favouring male homosexuality and promoting female fecundity”. In Proceeding of the Royal Society B: Biological Sciences, 271, 1554, pp. 2217-2221, (2004). Ed anche: Francesca Iemmola, Andrea Camperio Ciani, “New evidence of genetic factors influencing sexual orientation in men: Female fecundity increase in the maternal line”, in Archives of Sexual Behaviour, 38, pp. 393-399, (2009).

[9] Edward Miller, “Homosexuality, birth order, and evolution: Toward an equilibrium reproductive economics of homosexuality”, in Archives of Sexual Behaviour, 29, pp. 1-34, (2000)

[10] Va sottolineato che sono stati condotti molti meno studi sull’omosessualità femminile che su quella maschile, e conseguentemente si dispone di meno dati sull’argomento. Sarebbe interessante chiedersi perché l’omosessualità femminile sia rimasta una sorta di tabù anche per gli studi biologici.

 

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