Paolo Virno, Della capacità di dire come NON stanno le cose

by gabriella

Vale, come sempre, la pena di ascoltare dalla voce di Paolo Virno, cosa significa dire no, prendere le distanze dal presente e in che misura questa capacità è propria di “noialtri, animali linguistici”. Questa imperdibile lezione, dal titolo L’azione innovativa. L’animale umano e la logica del cambiamento, è stata tenuta dal filosofo napoletano il 7 ottobre 2011 alla Fondazione del Collegio San Carlo di Modena.

Di seguito, la trascrizione dei primi dieci minuti audio.

Grazie a voi per la pazienza che avrete nell’ascoltare queste riflessioni sulla difficoltà di dire di no. La difficoltà di dire di no è un bel titolo di un filosofo tedesco, più interessante di Habermas e dunque non tradotto in italiano, che vorrei adottare per queste riflessioni. Io non ho molta confidenza con il termine “utopia”, raramente mi è capitato di usare questa parola, non ho molta confidenza con l’utopia. Questo è uno svantaggio perché con i concetti con cui non si ha confidenza si rischia la goffaggine e l’esitazione, però può essere anche un vantaggio, nel senso di guardare a questo oggetto teorico, l’utopia, con occhi sgombri da un eccesso di letture e di pregiudizi.

Io vi propongo, come nostra morale provvisoria in quest’incontro, di considerare l’utopia – non è l’unica definizione possibile, diciamo pure che non è la migliore – come la possibilità da parte di noialtri, viventi che hanno il linguaggio, di prendere le distanze dal presente. Ossia di essere in qualche modo, non per merito eccezionali, non in virtù di esperienze stravaganti, ma fisiologicamente, per come noi siamo perlopiù, di essere inattuali. Questo vuol dire credo, guadagnare una distanza dal presente, eludere quell’eterno presente che la tradizione vuole essere tipica – chissà se poi è vero o no – di Dio e degli animali non linguistici. Gli animali non linguistici e – ma su questo non saprei cosa dire, anche Dio – non hanno alcuna forma di inattualità, sono perfettamente attuali, il che detto altrimenti, significa che sono racchiusi, incastrati da un eterno presente.

Ma va da sé che se si è incastrati in un eterno presente non si ha nemmeno un presente, dato che la nozione di ora, di adesso e di presente, esiste giusto nella misura in cui può contrapporsi a un che di non presente, di inattuale. Quindi, quando si dice “eterno presente” significa che si è sprovvisti persino di un presente.

Quindi, cosa vi è di inattuale, di non presente, quale tipo di distacco è non solo consentito a noialtri viventi che hanno il linguaggio, ma che è addirittura inevitabile per noialtri. Questa inattualità è il luogo del non –luogo –  sapete che l’utopia è il luogo del non luogo – l’utopia invece il suo indirizzo postale ce l’ha. L’utopia, se esiste, se è un concetto degno di essere maneggiato – tutte le cose buone devono essere usate, maneggiate – insomma l’utopia ha il suo luogo di residenza ufficiale, è ciò che nella nostra vita si presenta nelle forme di un distacco dal presente, di una messa in prospettiva, di una presa di distanza, di una non coincidenza, di uno scarto, di uno iato – tutti termini equivalenti. Quello che vorrei sostenere è che non l’unica, ma un’importante forma di distacco dal presente, è quella forma umile, priva di blasoni, niente affatto aristocratica, quella forma linguistica consistente nella paroletta “non”. Nella negazione, nella capacità di dire come non stanno le cose. Nela capacità di enumerare le qualità di attributi che un certo oggetto non ha.

La negazione – sulla negazione naturalmente si può imbastire un discorso aulico, ed ecco subito il principio di non contraddizione, e la contraddizione dialettica di Hegel, ed ecco le riflessioni di Heidegger nella conferenza Che cos’è la metafisica, sul nostro rapporto col nulla e come questo rapporto di riversa e si riflette parzialmente nell’uso degli enunciati negativi. Ma perché non partiamo invece da ciò che certamente possiamo controllare: la nostra capacità di dire come non stanno le cose.  La nostra capacità di dire come non stanno le cose, cioè la nostra capacità di negare, è quel che crea un distacco dall’ambiente e crea al tempo stesso, riproduce, garantisce, istituisce – scegliete voi il termine più o meno intenso che preferite – uno iato, uno soazio vuoto non solo nello stato di cose ambientali, ma anche degli stimoli psicologici, quindi garantisce una sorta di distanza, di non presenza, tanto rispetto all’esterno che rispetto all’interno. Tanto rispetto alla psicologia che rispetto all’ambiente.

Allora alcune considerazioni sulla negazione, come veicolo di possibilità dell’inattuale. Della confidenza col non presente, con ciò che non è presente. Tra l’altro voi sapete che la parola attualità è, come dicevano gli indiani, biforcuta, perché per ceti versi attualità significa ciò che è in atto, che è realizzato, ma tutti noi la usiamo anche per indicare ciò che è presente e fose vie è una verità in quwsta doppia faccia dell’unica parola, ciò che è attuale e, al tempo stesso, perfettamente realizzato, ma ciò ch è perfettamente realizzato è ciò che noi chiamiamo, sotto il profilo temporale, presente. E così bisognerebbe concepire il termine negativo “inattuale”. Inattuale vuol dire non presente, se potessimo coniare una parola, “non ora”, ma non ora come ciò che non è in atto, qualcosa che non è realizzato. Ma cos’è qualcosa che non è realizzato, o non è in atto? Qualcosa di potenziale. Quindi quando dico inattuale intendo sempre qualcosa di potenziale.

La negazione, a meno che non si voglia parlare a vanvera, ritengo che la negazione sia una prerogativa esclusiva del linguaggio verbale.

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