Pasquale Cicalese, Banche e industria contro la Riforma Bassanini del titolo V

by gabriella

Secondo Cicalese, uno degli errori insostenibili della classe dirigente italiana degli ultimi vent’anni è stata la riforma del Titolo V della Costituzione, preceduta dal decreto legislativo n° 112/98 (cosiddetto Bassanini bis), che ha causato l’aumento incontrollabile dei costi dello stato e le possibilità di furto del denaro pubblico del nostro paese, uno dei più corrotti al mondo.

Un autentico delirio: la politica energetica, infrastrutturale, industriale e le sovvenzioni alle imprese sono state tutte regionalizzate, una parcellizzazione delle risorse che ha provocato un autentico cortocircuito. Metteteci la formazione professionale, fatta da quegli autentici enti parassitari, compresi i sindacati ufficiali, che sono gli enti di formazione, metteteci pure che per stabilire se un cittadino ha diritto all’invalidità passa da strutture regionalizzate, metteteci poi la spesa sanitaria e la politica agraria, anch’esse regionalizzate, e il delirio è servito.

Volete un esempio? Poche settimane fa la Regione Calabria ha stanziato 161 milioni di euro, fondi europei, per finanziare l’assunzione di circa 12 mila persone (spesso lavorano già in nero..) presso privati: lavoro gratuito pagato dalla fiscalità generale, tutto questo per “combattere la disoccupazione”.

Ora raffrontiamo tutto ciò con altre spese. Il bilancio dell’ENIT, ente di promozione all’estero del turismo italiano, non arriva a 20 milioni; il governo non riesce a trovare 80 milioni di euro per sostenere le spese di promozione delle aziende manifatturiere all’estero tramite l’ICE che, lo ricordo, fu soppresso da quell’autentico genio dell’economia che risponde al nome di Berlusconi (e per averne conferma basta leggere l’ultima semestrale di Mediaset). Non ci sono soldi per finanziare fiere nei mercati mondiali, né per la ricerca, né per le infrastrutture, molti industriali chiedono a gran voce la riduzione del cuneo fiscale non solo a loro beneficio ma, e questo la dice lunga a che punto siamo arrivati, per i loro stessi lavoratori. La Confindustria si è resa conto, dopo decenni di ritardo, che non esiste il mercato interno (semmai, esso è costituito dall’eurozona): il capitale opera sul piano mondiale e l’arresto della caduta tendenziale del saggio di profitto passa necessariamente dalla conquista del mercato mondiale, giacché la sola svalorizzazione della forza-lavoro, attuata da in questi decenni da tutti i protagonisti della Seconda Repubblica, è insufficiente.

Occorre, dunque, moneta sonante. Dove trovarla? La si trova in quello spazio intermedio tra profitti e salari che Marx prima, Grossmann dopo, definiscono “terze persone”, milioni di persone che campano di parassitaria intermediazione della spesa pubblica, oliata in questi decenni da tutti i partiti, e che si annidano nello spazio del “capitale commerciale”. Si badi, non è solo questione di “Er Batman”, ma di falsi invalidi, falsi braccianti agricoli, falsi coltivatori diretti, professionisti che vanno avanti con progetti di finanziamento a fondo perduto, ecc. In più, la lotta si scatena contro i lavoratori indipendenti, perlopiù artigiani e bottegai (già descritta da Marx nello straordinario libro Le lotte di classe in Francia) ed in genere contro la piccola borghesia, tutte categorie sociali che devono essere destinate alla proletarizzazione, aumentando a dismisura l’esercito industriale di riserva (latente e reale).

Inoltre, ai fini della pressione deflazionistica salariale, si costringe parte degli “inattivi” (disoccupati latenti che non sono nel mercato del lavoro) a cercare, dopo decenni, un lavoro. Sta succedendo soprattutto alle donne: ad agosto di quest’anno, su circa 640 mila nuovi disoccupati, ben 535 mila erano donne, prima inattive (disoccupate ma che non cercavano lavoro). Esse cercano ora attivamente un lavoro per via del crollo del reddito familiare proletario, costituito, soprattutto, dal crollo del reddito del consorte o della propria famiglia.

Al netto dei cassintegrati, dove stanno gli altri disoccupati aumentati in quest’ultimi cinque anni? Guarda caso nel settore edile, diretto ed indotto, circa mezzo milione di persone. Qui siamo nel mondo della rendita immobiliare, destinata nei prossimi anni ad assistere ad un poderoso processo di svalorizzazione del capitale. I palazzinari, inorriditi, gridano ai quattro venti che no, non c’è stata bolla immobiliare in questo paese.

Le cose stanno diversamente; dal 2000 al 2008 circa 140 miliardi di profitti industriali si sono trasformati in rendita immobiliare, mentre appena 24 miliardi di euro, nello stesso periodo, sono stati investiti in macchinari e ammodernamento di impianti industriali.

Aggiunta alla massa di liquidità riversata sul mercato immobiliare da parte dei rappresentanti del “capitale commerciale”, tale cifra sale enormemente. Bene, tale mole di capitale si sta svalutando a tal punto che quest’estate il centro studi di Confindustria (notizia trovata nell’interstizio di un piccolo articolo de Il Sole 24 Ore..) sosteneva che la ripresa dell’acquisto di case necessita nei prossimi anni di una riduzione media dei prezzi del 15-20%.

Dunque, mentre gli italiani si occupano di parassiti che rubano risorse pubbliche, si assiste in questo paese ad un autentico redde rationem, alla vera lotta di classe, quella tra profitti industriali e capitale commerciale, tra profitti e rendita e nella contesa viene spazzato via un bel gruppo di industriali (e banchieri…) che in questi anni si sono arrischiati nella gestione del capitale commerciale.

A che questa lotta sia portata avanti occorre che parte della popolazione sia proletarizzata e, soprattutto, diminuisca fortemente la spesa per il mantenimento di strutture improduttive, dal punto di vista capitalistico, quali possono essere la regioni.

Si assiste cioè ad una centralizzazione capitalistica finalizzata a spostare masse enormi di capitale utili a processi di ri-accumulazione capitalistica. Chi ne sono i protagonisti? Banche, e circa 12 mila imprese che, in un sistema a grappolo qual’è il sistema industriale italiano, coinvolgono circa altre 80 mila aziende, manifatturiere e del terziario.

Costoro hanno ottenuto l’abbattimento dei costi di riproduzione della forza-lavoro e il ristabilimento dell’esercito industriale di riserva. Non è sufficiente. Occorre una centralizzazione dei processi decisionali e delle risorse finanziarie pubbliche, finalizzata all’abbattimento degli oneri fiscali e a spese in conto capitale per aumentare la produttività totale dei fattori produttivi (Squinzi parla espressamente di ricerca e infrastrutture), oltre che masse di capitali utili alla penetrazione verso i mercati mondiali (espressamente indicate dallo stesso Marchionne).

In pratica hanno letteralmente mandato Bassanini, il “cervello” del centrosinistra degli anni novanta, a quel paese… Per un motivo semplice: questo socialista ha favorito il capitale commerciale negli ultimi decenni, non già il capitale industriale.

Fare 20 politiche industriali e 20 politiche di promozione del turismo all’estero è un delirio che molti operatori economici italiani non si possono più permettere per il semplice motivo che avanza sempre più la crisi di sovrapproduzione. Si assiste in tal modo alla lotta di classe entro il blocco dominante. Chi vincerà deciderà le sorti del paese per i prossimi decenni.

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