Prometeo, la condizione umana

by gabriella

La storia di Prometeo raccontata da Jean-Pierre Vernant nel capitolo Il mondo degli umani [L’univers, les dieux, les hommes. Récits grecs des origines (1999), trad it. L’universo, gli dèi, gli uomini. Il racconto del mito, Torino, Einaudi, 2000, pp. 53-61] e Platone [Protagora,320c-324a].

prometheusIndice

1. Il mondo degli umani

1.1 Prometeo l’astuto
1.2 Il bue sacrificale e la differenza tra uomini e dèi
1.3 La vendetta di Zeus e il fuoco divino

2. Platone, Protagora

 

Com’è nato il mondo? All’inizio c’era Urano, figlio e sposo di Gea, la terra. I loro figli erano imprigionati da Urano nel ventre della madre perché il padre temeva di essere spodestato.  Ma la madre Gea, non sopportando più l’oppressione costruì una falce con la quale il titano Crono evirò il padre.

Nel regno di Crono, il titano di unisce a sua sorella Rea. I due generarono alcuni dei, tra i quali Zeus, ma Crono divorava i suoi figli a causa degli stessi timori del padre. Uno di loro però, Zeus, fu nascosto al padre e crebbe lontano. Una volta adulto sconfisse il padre e lo costrinse a rigurgitare tutti i suoi figli, dèi e titani. Comincia allora una guerra tra dèi e titani che durerà dieci anni per decidere quale posto abbia ognuno e chi comanderà. Vinceranno di dèi olimpici e il loro capo, Zeus, che dopo la guerra spartisce gli onori tra tutti gli esseri viventi.

 

1. Il mondo degli umani

1.1 Prometeo l’astuto

Come ripartire sorti e onori fra gli dèi e gli uomini ? Qui l’uso di una violenza pura e semplice non è più concepibi­le. Gli esseri umani sono talmente deboli che basta un sem­plice buffetto per annientarli, mentre gli immortali, da par­te loro, non possono accordarsi con i mortali come se fos­sero loro pari.

Si impone allora una soluzione che non risulti né da un sovrappiù di forza né da un accordo fra pari. Per realizzarla, con mezzi necessariamente ibridi e di­storti, Zeus si rivolge a un personaggio chiamato Prome­teo, un essere tanto singolare e bizzarro quanto lo sarà l’e­spediente da lui escogitato per decidere e risolvere la contesa.

Perché è Prometeo il prescelto del caso? Perché nel mondo divino gode di uno statuto ambiguo, mal defi­nito, paradossale. Viene chiamato Titano, mentre è in realtà il figlio di Giapeto che è fratello di Crono. E’ dun­que il padre a essere un Titano. Prometeo non lo è in ve­rità del tutto, senza per questo essere neppure un Olim­pico, poiché non appartiene alla stessa discendenza. La sua natura è titanica, come quella del fratello Atlante, che sarà ugualmente punito da Zeus.

Prometeo è dotato di spirito di ribellione, malizioso e indisciplinato è sempre pronto a criticare. Perché Zeus lo incarica allora di sistemare la questione ? Perché Prome­teo, Titano senza esserlo completamente, non ha combat­tuto contro Zeus a fianco dei Titani, è rimasto neutrale, non ha preso parte alla battaglia. In molte tradizioni si rac­conta anche che Prometeo lo ha aiutato e che anzi senza i suoi consigli – perché il Titano è scaltro e astuto -, il re degli dèi non avrebbe di certo avuto la meglio. In tal senso Prometeo è un alleato di Zeus. Un alleato ma non un associato, non ha infatti aderito al suo partito, è autono­mo, agisce per proprio conto.

Zeus e Prometeo hanno molti tratti in comune in quan­to a intelligenza e temperamento. Sono entrambi caratte­rizzati da uno spirito sottile e scaltro e possiedono quella qualità che è incarnata da Atena presso gli dèi e da Ulisse presso gli uomini: l’astuzia. L’uomo astuto riesce a tirarsi fuori da ogni situazione disperata, a trovare una via di usci­ta là dove pare non esserci sbocco alcuno e, pur di realiz­zare i propri disegni, non esita a mentire, a preparare tra­bocchetti in cui intrappolare l’avversario, a usare ogni ma­lizia concepibile. Zeus è cosi e Prometeo non è da meno. Hanno questo tratto in comune, eppure una distanza enor­me li divide. Zeus è un re, un sovrano che accentra nelle proprie mani tutto il potere.

Su questo piano Prometeo non è assolutamente in rivalità con Zeus. I Titani erano i rivali degli Olimpici e Crono il rivale di Zeus, poiché Cro­no voleva restare il sovrano mentre Zeus voleva prendere il suo posto. Invece Prometeo non pensa affatto di diven­tare re e dunque non entra mai, per questo motivo, in com­petizione con Zeus. Il mondo creato da Zeus è un mondo della ripartizione, un universo gerarchizzato, organizzato in gradi, sulla base di differenze di condizione e di onori.

Prometeo appartiene a tale mondo, ma vi occupa un ruolo molto difficile da definire. Ancora più complessa è la sua condizione dal momento che Zeus prima lo condannerà e lo farà incatenare, e solo in un secondo momento lo libe­rerà e si riconcilierà con lui. Vicende alterne segnano nel suo destino personale un’oscillazione, un alto e basso con­tinuo fra l’ostilità e la concordia con il sovrano. In poche parole, si potrebbe dire che Prometeo esprime in questo universo ordinato la contestazione interna. Non vuole as­solutamente prendere il posto di Zeus ma, nell’ordine da lui stabilito, rappresenta questa piccola voce della contestazione, come un Maggio ’68 sull’Olimpo, all’interno del mondo divino.

Prometeo ha un rapporto di complicità con gli uomini. La sua condizione è simile a quella umana, poiché gli esseri umani sono anche creature ambigue che possiedono sia un aspetto divino – da principio convivevano con gli dèi -, sia un aspetto animale. Negli uomini, cosi come in Prometeo, coesistono dunque aspetti contraddittori.

 

1.2 Il bue sacrificale e la differenza tra uomini e dèi

Ecco la scena che si presenta ai nostri occhi. Gli uomi­ni e gli dèi sono riuniti come loro solito. Zeus è là, in pri­ma fila, e incarica Prometeo di affrontare la spartizione. Come procederà Prometeo per assolvere il compito? In­nanzitutto conduce davanti agli dèi un enorme bovino, che abbatte e poi taglia solo in due parti. Ciascuna di queste porzioni, cosi come è stata preparata da Prometeo, rap­presenterà la differenza di condizione fra uomini e dèi: il limite del taglio nella carne disegnerà la frontiera che se­para gli uomini dagli dèi.

Come procede Prometeo? Esattamente come si fa di norma nei sacrifici greci: la bestia è abbattuta e scuoiata. quindi può iniziare il taglio. In particolare, una prima ope­razione consiste nel ripulire completamente le ossa lunghe, quelle delle zampe anteriori e posteriori, i cosiddetti ostea leuka, che si spolpano perché non vi restino attaccati pez­zi di carne. Una volta portato a termine questo lavoro, Pro­meteo riunisce tutte le ossa bianche della bestia. Ne fa un mucchio e lo avvolge in un sottile strato di grasso bianco e appetitoso: ecco pronto il primo pacchetto.

Poi Prometeo raccoglie tutti i krea, carni e viscere, la polpa che si mangia, e la avvolge nella pelle dell’animale. Il pacchetto cosi confezionato, con la pelle riempita di tutte le parti commestibili della bestia, viene a sua volta messo dentro la gaster del bue, nello stomaco, il ventre viscido, sporco e poco gradevole a vedersi.

Cosi si presenta infine la spartizione: da una parte il grasso bianco e appetitoso avvolge soltanto ossa bianche e spolpate e, dall’altra, un ventre dall’aspetto poco invi­tante contiene al suo interno tutto ciò che è buono da man­giare. Prometeo prende le due porzioni cosi confezionate e le presenta sulla tavola davanti a Zeus: in base alla sua scelta si delinea la frontiera fra uomini e dèi. Zeus guarda le due parti ed esclama:

– Ah! Prometeo, tu che sei un fur­bacchione e un essere cosi scaltro hai fatto una divisione ben disuguale! –

Prometeo lo guarda sorridendo un poco. Zeus, naturalmente, capisce che c’è sotto un qualche in­ganno astuto, ma accetta le regole del gioco. Gli viene pro­posto di scegliere il primo pacchetto, cosa che fa. Con aria molto soddisfatta, afferra dunque la parte più bella, il pac­chetto di grasso bianco e appetitoso. Tutti lo guardano, ma una volta disfatto l’involto appaiono soltanto delle ossa bianche, pulite e completamente spolpate. Zeus prova una collera terribile contro colui che ha voluto ingannarlo.

Qui si conclude il primo atto della storia, che ne pre­vede almeno tre. Alla fine del primo episodio del raccon­to è stabilita la modalità con cui gli uomini entrano in con­tatto con la divinità: attraverso il sacrificio, come quello compiuto da Prometeo macellando la bestia. Sull’altare, fuori dal tempio, si bruciano aromi che sprigionano un fu­mo profumato, poi vi si depongono le ossa bianche.

La par­te che spetta agli dèi sono le ossa bianche, ricoperte di gras­so lucido, che salgono al cielo sotto forma di fumo. Agli uomini spetta il resto dell’animale che consumeranno sia grigliato, sia, lessato. Su lunghi spiedi di ferro o bronzo gli uomini infilzano i pezzi di carne, in particolare il fegato, e altre parti scelte che fanno: arrostire direttamente sul fuo­co, mentre altri pezzi ancora sono messi a bollire in gran­di pentole. Arrostire alcune parti, lessarne altre: gli uomi­ni d’ora in poi devono mangiare la carne degli animali sa­crificati e inviano agli dèi la loro parte, cioè il fumo ricco di odori.

La storia appena narrata potrebbe stupire, poiché sem­bra mostrare che Prometeo ha potuto ingannare Zeus, ri­servando agli uomini la parte migliore del sacrificio. Pro­meteo offre agli uomini la porzione commestibile, camuffa­ta, nascosta sotto un’apparenza immangiabile, ripugnante, e agli dèi riserva quella non commestibile, avvolta, nascosta e dissimulata sotto l’aspetto di un grasso appetitoso e luculento. Nell’operare la divisione Prometeo agisce in modo menzognero poiché l’apparenza è una finzione. Il buono si cela sotto le sembianze del brutto, il cattivo prende l’a­spetto del bello. Ma veramente Prometeo ha destinato agli uomini la parte migliore? Anche qui l’ambiguità resta.

Certo gli uomini ricevono le parti commestibili della be­stia sacrificata, ma il fatto è che i mortali hanno bisogno di mangiare. La loro condizione è opposta a quella divina, non possono vivere senza nutrirsi di continuo. Gli uomi­ni non sono autosufficienti, hanno bisogno di procurarsi risorse di energia dal mondo circostante, senza le quali de­periscono.

Ciò che definisce gli umani è infatti proprio la necessità di mangiare il pane e la carne dei sacrifici, e be­re il vino della vigna. Gli dèi non hanno bisogno di man­giare, non conoscono né il pane, né il vino, né la carne de­gli animali sacrificati. Vivono senza doversi nutrire, o me­glio assimilano soltanto degli pseudo-nutrimenti, il nettare e l’ambrosia, cibi divini che donano immortalità. La vita­lità degli dèi è dunque di natura diversa rispetto a quella umana. Quest’ultima è una sub-vitalità, una sub-esistenza, una sottospecie di forza: un’energia a intermittenza. Bisogna alimentarla in eterno. Non appena un essere uma­no ha fatto un qualche sforzo, subito si sente stanco, spos­sato, affamato.

Per dirla in altre parole, nella divisione fat­ta da Prometeo, la parte migliore è proprio quella che, sot­to l’apparenza più appetitosa, nasconde invece le ossa spolpate. Le ossa bianche rappresentano proprio quello che l’animale o l’essere umano possiede di veramente prezio­so, di non mortale; le ossa non rischiano di putrefarsi, es­se disegnano l’architettura del corpo. La carne si disfa, si decompone, ma lo scheletro rappresenta l’elemento di con­tinuità. Tutto quello che in un animale non è commesti­bile, è anche ciò che non è mortale, l’immutabile, ciò che, di conseguenza, più si avvicina al divino.

Agli occhi dì chi ha inventato questa storia le ossa appaiono ancor più im­portanti, poiché contengono il midollo, quella molle so­stanza che, per i Greci, è in relazione con il cervello e an­che con il seme maschile. Il midollo rappresenta la vitalità di un animale nella sua continuità, di generazione in ge­nerazione, e assicura la fecondità e la progenie. Il midollo è il segnale che si è portatori di prole e non individui iso­lati.

Ciò che, attraverso la farsa architettata da Prometeo, viene offerto agli dèi è la vitalità dell’animale, mentre quel­lo che ricevono gli uomini, la carne, non è che il suo ca­davere. Gli uomini sono costretti a nutrirsi di un pezzo di animale morto; il tratto di mortalità che li segna a partire da tale spartizione è decisivo. Gli umani sono, d’ora in poi, i mortali, gli effimeri, in opposizione agli dèi che sono i non-mortali. Dopo questa spartizione del cibo, gli esseri umani sono marchiati con il sigillo della mortalità, gli dèi con quello dell’immortalità. Finale che Zeus aveva ben previsto.

Se Prometeo avesse fatto semplicemente due parti, da un lato le ossa e dall’altro la carne, allora Zeus avrebbe po­tuto scegliere le ossa e la vita dell’animale. Ma poiché tut­to era invece falsato da apparenze ingannevoli, la carne era nascosta nella gaster, nel ventre, e le ossa celate sotto uno strato di grasso lucente, Zeus ha capito che Prometeo voleva ingannarlo. Decide dunque di punirlo. Natural­mente, in tale battaglia all’ultima astuzia che si ingaggia fra Zeus e il Titano, ciascuno tenta di farsi beffa dell’al­tro, ognuno gioca una specie di partita a scacchi, colpi e finte per disorientare l’avversario, ridurlo in scacco mat­to. Alla fine Zeus ha la meglio in questo conflitto, ma è stordito dalle astuzie del Titano.

 

1.3 La vendetta di Zeus e il furto del fuoco divino

È nel corso del secondo atto che Prometeo sconterà il suo inganno. A partire da quel giorno Zeus decide di na­scondere agli uomini il fuoco e contemporaneamente il gra­no. Come in una partita a scacchi, una mossa risponde al­l’altra: Prometeo aveva nascosto la carne dentro ciò che appariva ripugnante e le ossa invece dentro ciò che sem­brava a prima vista appetitoso. Zeus, adesso, sta per ven­dicarsi.

Nel quadro di una spartizione fra dèi e umani, Zeus vuole togliere agli uomini ciò che in precedenza era a loro completa disposizione.

Prima potevano disporre li­beramente del fuoco, perché il fuoco di Zeus, il fuoco del fulmine, si trovava sulla cima di alcuni alberi, i frassini, da cui gli uomini potevano prenderlo a proprio piacimen­to. Il medesimo fuoco circolava fra gli uomini e gli dèi gra­zie alla mediazione di questi alberi tanto alti sui quali Zeus lo deponeva.

Come gli uomini disponevano del fuoco, co­si con la stessa naturalezza, avevano anche i cibi, i cereali che nascevano spontanei o le carni che si presentavano già belle e cotte, Zeus nasconde il fuoco, situazione tanto più spiacevole poiché gli uomini hanno a disposizione la carne dell’animale sacrificato e vorrebbero poterla cuoce­re. I mortali non sono infatti né cannibali né belve che di­vorano la carne cruda: gli uomini mangiano la carne sol­tanto cucinata, arrostita o lessata che sia.

Jan_Cossiers, PrometheusRestare senza fuoco è per gli uomini una vera e propria sventura, Zeus se ne compiace in cuor suo. Prometeo esco­gita allora una mossa difensiva. Facendo finta di niente, sale al cielo, come un viaggiatore che passeggia con una pianta stretta in mano, un ramo di ferola, ben verde all’e­sterno. La ferola possiede una proprietà particolare, pre­senta una struttura in un certo senso opposta a quella de­gli altri alberi, mentre gli alberi sono secchi all’esterno, dalla parte della corteccia, e umidi all’interno, dove cir­cola la linfa, la ferola è invece umida e verde all’esterno ma completamente secca all’interno. Prometeo si impos­sessa di un seme del fuoco di Zeus, sperma pyros, e lo na­sconde nell’incavo della sua ferola.

La pianta comincia a bruciare all’interno lungo tutto il gambo. Nel frattempo Prometeo ritorna sulla terra, sempre fingendosi un viag­giatore svagato che passeggia con la sua ferola come para­sole. Ma intanto all’interno della pianta il fuoco brucia. Prometeo dona agli uomini questo fuoco ricavato da un seme di quello celeste e loro subito vi accendono i propri focolari e cuociono la carne.

Zeus, disteso lassù in alto nel cielo, tutto felice della mossa che ha messo a segno na­scondendo il fuoco, ne vede all’improvviso brillare il ba­gliore in tutte le case. Il dio è colto da furore. Si noti che qui Prometeo utilizza lo stesso espediente di cui si è già servito per la spartizione del sacrificio, gioca nuovamente sull’opposizione fra dentro e fuori, sulla differenza fra l’ap­parenza esteriore e la realtà interiore.

Insieme al fuoco, Zeus aveva nascosto agli uomini an­che bios, la vita. La vita, o meglio il nutrimento della vi­ta, i cereali, il grano, l’orzo. Non dà più agli uomini il fuo­co, non dà più loro neppure i cereali.

Al tempo di Crono, nel mondo di Mecone, il fuoco era a completa disposizio­ne degli uomini sulle loro finestre, i cereali nascevano spontanei, non era necessario lavorare la terra. Il lavoro non esisteva, non c’era la fatica. L’uomo non doveva par­tecipare in prima persona alla raccolta, non era sottoposto né a sforzo, né tanto meno a sfinimento per ottenere i be­ni necessari al proprio sostentamento. Ora, invece, per de­cisione di Zeus, ciò che prima era spontaneo diventa la­borioso, difficile da ottenere. Il grano viene addirittura nascosto.

Come Prometeo ha dovuto occultare un seme di fuoco nella sua ferola per portarlo fino agli uomini, così i pove­ri umani dovranno d’ora in poi nascondere il seme del gra­no e i chicchi d’orzo nel ventre della terra. E necessario tracciare un solco nella terra e piantare il seme perché la spiga germogli. In breve, è l’agricoltura a diventare indi­spensabile. Si tratterà di guadagnarsi il pane con il sudo­re della fronte, stando piegati sui solchi e gettandovi i se­mi. Ma si tratterà anche di stare attenti a conservare il se­me da un anno all’altro, a non consumare subito tutto il raccolto prodotto. Il contadino terrà in casa delle giare in cui conservare il raccolto che non dovrà essere consuma­to interamente. Sarà indispensabile avere una provvista di cibo perché, soprattutto a primavera, nel passaggio diffi­cile tra l’inverno e il nuovo raccolto, gli uomini non si tro­vino completamente sprovvisti del necessario.

Come c’era lo sperma del fuoco, c’è lo sperma del gra­no. Gli uomini sono ormai obbligati a vivere lavorando. Dispongono nuovamente di un fuoco, ma si tratta di un fuoco che, come il grano, non è più quello di un tempo. Il fuoco che Zeus ha nascosto è il fuoco celeste, quello che brilla in permanenza nella sua mano, senza mai affievolirsi, senza mai venir meno: un fuoco immortale. Il fuoco di cui dispongono ora gli uomini a partire da questo seme, è piuttosto un fuoco che è «nato» poiché è generato da un seme e, di conseguenza, è un fuoco che muore. Bisogna in­fatti darsi da fare per mantenerlo, bisogna vegliare su di lui. Bene, questo fuoco possiede un appetito simile a quel­lo dei mortali. E un fuoco affamato, se non viene alimen­tato in continuazione, si spegne. Gli uomini ne hanno bi­sogno non soltanto per riscaldarsi, ma anche per mangia­re, dal momento che, contrariamente agli animali, non si nutrono di carne cruda. La loro alimentazione prevede del­le regole precise, dei rituali da seguire che implicano la cot­tura dei cibi.

Per i Greci, il grano è una pianta cotta dal calore del sole, ma anche dall’intervento dell’uomo. Il fornaio cuo­ce il grano mettendolo in forno. Il fuoco è quindi vera­mente il simbolo della cultura umana. Il fuoco di Prome­teo, rubato con astuzia, è proprio un fuoco «tecnico», un processo intellettuale, che differenzia gli uomini dalle be­stie e ne consacra il carattere di creature civilizzate. E tut­tavia, nella misura in cui il fuoco umano, contrariamente a quello divino, ha bisogno di alimentarsi per vivere, ri­corda anche l’aspetto di una belva che, Chirone ed Achillequando si scatena, non può più fermarsi. Brucia tutto, non solo il nutrimen­to che gli viene dato, ma si appicca alle case, alle città, al­le foreste; è come una bestia che arde, affamata, e che niente riesce a saziare. Con il suo carattere straordinaria­mente ambiguo, il fuoco sottolinea la specificità umana, ricorda di continuo la sua origine divina e nello stesso tem­po la sua impronta bestiale: come l’uomo stesso anche il fuoco partecipa di entrambi.

[…] Il terzo atto ha inizio: gli uomini possiedono la civiltà, prometeo ha svelato e consegnato loro tutte le sue tecniche. Prima del suo intervento gli esseri umani vivevano come formiche nelle grotte, guardavano senza vedere, ascoltavano senza intendere, non erano niente poi grazie a lui sono diventati esseri civilizzati, diversi dagli animali, diversi dagli dèi.

Zeus punirà gli uomini inviando Pandora, il titano invece sarà incatenato a una colonna su una montagna, tra cielo e terra. Così colui che aveva consegnato agli uomini il loro cibo mortale, la carne, diventa ora nutrimento dell’aquila di Zeus, l’uccello che porta il fulmine del dio ed è messaggero della sua forza invincibile. E’ lui, Prometeo che diventa la vittima, le carni tagliate nel vivo della carne. Tutti i giorni l’aquila di Zeus divora il suo fegato senza lasciarne una sola briciola, poi durante la notte l’organo ricresce. […] E così sarà fino a quando Eracle, con il consenso di Zeus, non libererà Prometeo che riceverà poi una sorta di immortalità dalla morte del centauro Chirone, il maestro di Achille.

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2. Platone, Protagora, 320c-324a

Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Quando giunse anche per queste il momento fatale della nascita, gli dèi le plasmarono nel cuore della terra, mescolando terra, fuoco e tutto ciò che si amalgama con terra e fuoco, gli dèi ordinarono a Prometeo e a Epimeteo di dare con misura e distribuire in modo opportuno a ciascuno le facoltà naturali.

Quando le stirpi mortali stavano per venire alla luce, Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo la distribuzione:

Dopo che avrò distribuito – disse – tu controllerai.

Così, persuaso Prometeo, iniziò a distribuire. Nella distribuzione, ad alcuni dava forza senza velocità, mentre donava velocità ai più deboli; alcuni forniva di armi, mentre per altri, privi di difese naturali, escogitava diversi espedienti per la sopravvivenza. [321] Ad esempio, agli esseri di piccole dimensioni forniva una possibilità di fuga attraverso il volo o una dimora sotterranea; a quelli di grandi dimensioni, invece, assegnava proprio la grandezza come mezzo di salvezza. Secondo questo stesso criterio distribuiva tutto il resto, con equilibrio. Escogitava mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi.

Procurò agli esseri viventi possibilità di fuga dalle reciproche minacce e poi escogitò per loro facili espedienti contro le intemperie stagionali che provengono da Zeus. Li avvolse, infatti, di folti peli e di dure pelli, per difenderli dal freddo e dal caldo eccessivo. Peli e pelli costituivano inoltre una naturale coperta per ciascuno, al momento di andare a dormire. Sotto i piedi di alcuni mise poi zoccoli, sotto altri unghie e pelli dure e prive di sangue. In seguito procurò agli animali vari tipi di nutrimento, per alcuni erba, per altri frutti degli alberi, per altri radici. Alcuni fece in modo che si nutrissero di altri animali: concesse loro, però, scarsa prolificità, che diede invece in abbondanza alle loro prede, offrendo così un mezzo di sopravvivenza alla specie. Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione. I

l genere umano era rimasto dunque senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il giorno fatale, in cui anche l’uomo doveva venire alla luce. Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco – infatti era impossibile per chiunque ottenerla o usarla senza fuoco – e li donò all’uomo. All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma non la virtù politica. [322] Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. Entrò allora di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme. Rubò quindi la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita, ma, come si narra, in seguito la pena del furto colpì Prometeo, per colpa di Epimeteo.

Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dèi, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dèi. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica).

Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano. Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini:

Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?» «A tutti rispose Zeus – e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia.

[323] Per questo motivo, Socrate, gli Ateniesi e tutti gli altri, quando si discute di architettura o di qualche altra attività artigianale, ritengono che spetti a pochi la facoltà di dare pareri e non tollerano, come tu dici – naturalmente, dico io – se qualche profano vuole intromettersi. Quando invece deliberano sulla virtù politica – che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza – ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti siano partecipi di questa virtù, altrimenti non ci sarebbero città. Questa è la spiegazione, Socrate.

Ti dimostro che non ti sto ingannando: eccoti un’ulteriore prova di come in realtà gli uomini ritengano che la giustizia e gli altri aspetti della virtù politica spettino a tutti. Si tratta di questo. Riguardo alle altre arti, come tu dici, se qualcuno afferma di essere un buon auleta o esperto in qualcos’altro e poi dimostri di non esserlo, viene deriso e disprezzato; i familiari, accostandosi a lui, lo rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo alla giustizia, invece, e agli altri aspetti della virtù politica, quand’anche si sappia che qualcuno è ingiusto, se costui spontaneamente, a suo danno, lo ammette pubblicamente, ciò che nell’altra situazione ritenevano fosse saggezza – dire la verità – in questo caso la considerano una follia: dicono che è necessario che tutti diano l’impressione di essere giusti, che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di essere giusto. Secondo loro è inevitabile che ognuno in qualche modo sia partecipe della giustizia, oppure non appartiene al genere umano.

Dunque gli uomini accettano che chiunque deliberi riguardo alla virtù politica, poiché ritengono che ognuno ne sia partecipe. Ora tenterò di dimostrarti che essi pensano che questa virtù non derivi né dalla natura né dal caso, ma che sia frutto di insegnamento e di impegno in colui nel quale sia presente. Nessuno disprezza né rimprovera né ammaestra né punisce, affinché cambino, coloro che hanno difetti che, secondo gli uomini, derivano dalla natura o dal caso. Tutti provano compassione verso queste persone: chi è così folle da voler punire persone brutte, piccole, deboli? Infatti, io credo, si sa che le caratteristiche degli uomini derivano dalla natura o dal caso, sia le buone qualità, sia i vizi contrari a queste. Se invece qualcuno non possiede quelle qualità che si sviluppano negli uomini con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, mentre ha i vizi opposti, viene biasimato, punito, rimproverato.

[324] Fra questi vizi ci sono l’ingiustizia, l’empietà e in generale tutto ciò che è contrario alla virtù politica; di fronte a ciò ognuno biasima e ammonisce, evidentemente perché pensa che la virtù politica si acquisisca attraverso lo studio e l’apprendimento. Se infatti, Socrate, vuoi capire quale valore abbia punire coloro che commettono ingiustizie, i fatti stessi ti dimostreranno che gli uomini credono che la virtù si possa acquisire. Nessuno punisce coloro che commettono ingiustizie per il semplice fatto che sono stati ingiusti, a meno che non voglia vendicarsi in modo irrazionale, come una bestia; chi, invece, vuole punire secondo ragione, non vendica l’ingiustizia commessa – dal momento che non può annullare ciò che è stato – ma punisce in vista del futuro, affinché non venga commessa ingiustizia di nuovo, né da quello né da un altro che lo veda punito. Ha un tale proposito perché è convinto che la virtù sia insegnabile.

 

Esercitazione

1. Rileggi il brano di Vernant e spiega il significato simbolico della divisione del bue, delle ossa, del fuoco e del grano.

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