Christoph Türcke, La società eccitata

by gabriella

Pubblicato il saggio del filosofo tedesco Christoph Türcke. Gli shock emotivi non producono la crisi, ma le condizioni per la difesa dell’ordine costituito. Un’importante analisi del capitalismo che ne fotografa però solo l’ambivalenza. Recensione di Benedetto Vecchi.

Ci sono dei libri che difficilmente cadono nel dimenticatoio. Possono anche non avere successo di pubblico, né di critica, ma le tesi che esprimono reggono all’usura determinata dall’imperante just in time dell’industria culturale. La società eccitata di Christoph Türcke è uno di questi libri (Bollati Boringhieri, pp. 352, euro 43).

Uscito nel 2002 in Germania, ha dovuto attendere dieci anni prima che fosse pubblicato da Bollati Boringhieri, che ha ritardato la sua uscita per la difficoltà del testo, al punto che il suo traduttore, Tommaso Cavallo, ha voluto spiegare le scelte fatte per termini del tedesco antico, del latino medievale. I problemi non nascono solo dai raffinati e talvolta arcaici lemmi scelti da Türcke, ma perché La società eccitata non nasconde mai l’ambizione di volere essere un’analisi puntale del capitalismo contemporaneo e, al tempo stesso, una resa dei conti con il marxismo tedesco occidentale del secondo dopoguerra, così fortemente condizionato dalla Scuola di Francoforte, dal principio speranza di Ernst Bloch o dalla messianica ricezione tedesca di Walter Benjamin.L’inganno dell’opinione pubblica

La tesi presentata da La società eccitata può essere così sintetizzata. Il capitalismo è una organizzazione sociale incardinata su due elementi tra loro contraddittori. Da una parte usa l’industria culturale e l’intrattenimento per costruire un consenso passivo dei singoli allo status quo; allo stesso tempo, deve garantire la sua riproduzione allargata attraverso la produzione di reiterati shock emotivi che svelano sì la violenza del sistema di sfruttamento vigente, ma lo «naturalizzano». Nel primo caso produce, attraverso i mass media e l’industria culturale, un’opinione pubblica che non riesce a mettere mai in discussione la legittimità del potere costituito.

L’opinione pubblica è giustamente interpretata come l’antitesi dell’agire politico, cioè di quella azione collettiva tesa a trasformare l’ordine sociale esistente. In questo, l’analisi di Türcke è fortemente debitrice nei confronti della dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer e allo stesso tempo critica nei confronti di Jürgen Habermas, il filosofo tedesco che ha invece individuato nell’opinione pubblica lo sfondo in cui collocare una politica della trasformazione.

Per quanto riguarda gli shock emotivi, il riferimento ovviamente è alla diffusione e alla centralità delle immagini tesi a provocare spaesamento, insicurezza, sentimenti dai quali sfuggire o cercare zone franche che offrano riparo e sicurezza, attraverso una eccitazione dei corpi. La società eccitata è dunque il trionfo dello spettacolo, operando così una messa all’angolo della parola scritta. Aspetti certo non nuovi, ma che l’autore ha il grande pregio di contestualizzate all’interno della densa e pur sempre breve storia della modernità, intesa come un progressivo divenire del visuale il fattore centrale dell’industria del divertimento.

Anche qui, Turcke non nasconde i suoi debiti teorici. C’è ovviamente Guy Debord, ma anche il Walter Benjamin della riproducibilità dell’opera d’arte e dei passages parigini. L’aspetto interessante della sua riflessione non è però nel suo ricollegarsi a un filo rosso del pensiero critico da tempo lasciato cadere, bensì nel fatto che lo shock emotivo permanente del capitalismo contemporaneo è solo apparentemente un fattore destabilizzante dei fattori regolatori del legame sociale, bensì il fatto che lo shock è sempre stato un elemento teso a produrre un ordine sociale che si riproduce appunto attraverso traumi, shock, senza i quali è destinato a inaridirsi e a implodere.

Eccitati e precari

Per fare questo Türcke ricostruisce la genealogia del concetto di sensazione che ha sempre avuto una importanza cruciale nel regolare le relazioni sociali. La sensazione traduce un trauma attraverso il quale i singoli scoprono la loro vulnerabilità e i problemi che li angosciano.

Ma proprio questa «scoperta» – togliendo a questo termine ogni connotazione positiva – consente il superamento della loro precaria condizione. Lo shock, tuttavia, anche se viene esperito individualmente è sempre un fatto sociale. Da qui, la affermazione di Türcke che la sensazione è un sentimento che nasce dal vivere in società. La religione, come i riti di iniziazione, ma anche la scrittura, la pittura, la fotografia e il cinema sono tutte «istituzioni» che producono gli shock emotivi necessari all’«individuo sociale» per superare una condizione di minorità. La modernità ha dunque elevato alla massima potenza la produzione di shock emotivi per rendere accettabile la violenza del sistema di sfruttamento capitalistica.

Violenza del lavoro salariato

Questa ultima affermazione non tragga d’inganno. Turcke non è un apocalittico, né un nostalgico di una immaginaria età dell’oro. Semmai è interessato a comprendere il perché di questa produzione massificata di shock emotivi. Ed è per questo motivo che si inoltra in quel continente rimosso dalle mappe del sapere che è la critica dell’economia politica. Il confronto che stabilisce con l’opera marxiana parte dalla consapevolezza che l’autore del capitale si è misurato in gioventù con la religione, l’oppio del popolo che consente di gestire la fragilità della natura umana, producendo anche qui traumi e shock emotivi.

Ma ciò che interessa in questo libro è la riflessione che l’autore fa sulla gestione che la «società borghese» degli shock emotivi, che vengono prodotti affinché la violenza del lavoro salariato sia resa accettabile. Affascinanti sono a questo proposito le pagine che Türcke dedica alla fotografia, al cinema. Alla Rete. La crescita esponenziale delle immagini e delle informazioni è funzionale a rendere accettabile ciò che il corpo – senza distinzioni tra mente e carne – tenderebbe a rifiutare.

E qui si colloca l’interesse del libro. In un movimento forse poco dialettico, Türcke sostiene che il capitalismo contemporaneo rende manifesti temi, nodi teorici attinenti alla natura umana. L’uomo, e le donne, va da sé, hanno necessità degli shock emotivi per sopravvivere in un mondo ostile e nemico. L’industria culturale e quella dell’intrattenimento hanno dunque questa ambivalenza. Producono shock funzionali alla riproduzione dell’ordine esistente, ma nel fare queste aprono il campo alla trasformazione. Christopher Türcke non nega che questo sia il nodo politico che finora non è stato sciolto. Quello che non sempre convince del suo procedere analitico è il movimento circolare che propone.

La modernità nella sua riflessione non esaurisce la storia umana, ma le contraddizioni che apre costringono a fare i conti con la natura umana, cioè con quell’individuo sociale preesitente al capitalismo e che sopravviverà anche alla sua fine. I grandi temi della filosofia tornano ad abitare la pagine de La società eccitata.

Il capitalismo è una parentesi, al termine della quale non è dato sapere come saranno affrontati e risolti alcuni fattori riguardanti il vivere in società. Il rapporto con l’altro, ovviamente, ma anche il pensare di costruire una società di liberi ed eguali. Christopher Türcke conosce bene le discussioni su quel cielo diviso sotto il quale più generazioni hanno vissuto. E sa che tanto ad Ovest che a Est, il fallimento è una parola che illustra bene i problemi del presente. La proposta che enuncia non rassicura.

L’autore propone certo di assumere la critica dell’economia politica come bussola. È però consapevole che indica la direzione ma nulla dice su come vivere nei territori che si attraversano. Propone di usare la «sensazione» e lo shock emotivo come uno strumento di sovversione del reale se «depurato» dell’elemento rassicurante. Ma così facendo, come in un gioco dell’oca, si torna al punto di partenza, cioè a come attivare quel movimento che abolisce lo stato di cose presenti.

Un libro dunque da leggere, meditare. Lasciando alla critica roditrice dei topi le illusioni su un semplice e innocente nuovo inizio di quel movimento, come se nulla sia accaduto nel lungo Novecento alle nostre spalle.

Tratto da Il Manifesto

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