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13 Marzo, 2013

Eleonora de Conciliis, Walter Benjamin. Capitalismo e religione

by gabriella

angelo benjaminianoTraggo dal portale di Kainos questo articolo sul frammento benjaminiano del “capitalismo divino” contenuto nell’edizione italiana delle Tesi sul concetto di storia (Einaudi, 1997, pp. 284-287).

Il bisogno e il lavoro, sollevati a[ll’]universalità,
formano… un immenso sistema di… dipendenza reciproca;
una vita del morto moventesi in sé.

Hegel, Filosofia dello Spirito jenese

Premessa

Da qualche anno in Italia gli studiosi hanno riscoperto, o meglio si sono accorti dell’esistenza di un frammento che Walter Benjamin scrisse con ogni probabilità nel 1921, e che è apparso in traduzione italiana nel 1997, insieme ai materiali preparatori per le celebri Tesi sul concetto di storia del 19401. Un po’ come è accaduto a queste ultime a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, una volta ripubblicato da Editori Riuniti in una nuova raccolta e con una nuova traduzione2, il frammento, cui si è deciso di dare il titolo Capitalismo come religione, è stato per così dire sur-interpretato, divenendo anche per i non specialisti del filosofo una sorta di vademecum teorico, se non profetico, attraverso cui ripensare l’attuale assetto dell’economia politica occidentale.

Si tratta di uno scritto scarno e talora criptico, poco più di un appunto esteso con le indicazioni dei testi di riferimento, com’era nello stile di Benjamin, e che sembra tuttavia prestarsi a un facile lavoro di decodifica concettuale, poiché rinvia, da un lato, a due pietre miliari del pensiero politico e sociologico moderno (Marx e Weber), dall’altro a due critici radicali della metafisica (Nietzsche e Freud), con la quale Benjamin, negli anni dieci e venti, intratteneva ancora rapporti assai stretti.

Il détournement di queste pagine dal loro specifico contesto teorico – cioè la loro estrapolazione rispetto al tentativo, compiuto da un giovane Benjamin ancora influenzato da Bloch e lettore di Schmitt (la Teologia politica è del ’22), di analizzare in termini originalmente politico-religiosi l’eclissi dell’escatologia giudaico-cristiana e la sua moderna metamorfosi nichilistica3 – ha portato gli interpreti a valorizzare quella che sembra essere la principale e geniale intuizione contenuta nel frammento e lanciata ai posteri con straordinario anticipo sui tempi, ovvero la descrizione del capitalismo come religione di puro culto, dunque senza contenuti trascendenti e senza dogmi, capace di parassitare il cristianesimo e di prenderne il posto, non attraverso una deriva (la secolarizzazione weberiana), bensì grazie a un’inquietante metamorfosi, come sintetizza efficacemente lo stesso Benjamin:

Il cristianesimo nell’età della Riforma non ha agevolato il sorgere del capitalismo, ma si è tramutato nel capitalismo.4

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2 Aprile, 2012

Che cos’è l’art.18

by gabriella

Nel testo in discussione al Senato su cui Renzi si appresta a chiedere domani la fiducia, la modifica di tre articoli chiave dello Statuto dei lavoratori: l’articolo 18 che disciplina i licenziamenti illegittimi, l’articolo 4 che stabilisce il divieto delle tecniche di controllo a distanza dei lavoratori con telecamere e altre apparecchiature, e l’articolo 13 che tutela il lavoratore contro il demansionamento.

L’art. 18 è la norma dello Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300) grazie alla quale il giudice può dichiarare inefficare o annullare il licenziamento disposto senza giusta causa o giustificato motivo. Questo articolo dello Statuto permette quindi il reintegro e il risarcimento del danno al lavoratore – impiegato in un’impresa con più di quindici dipendenti – che dimostri in giudizio l’assenza di un motivo legittimo a monte dell’interruzione del proprio rapporto di lavoro.

Lo Statuto dei lavoratori è uno dei risultati della stagione di scioperi e agitazioni sociali nota come autunno caldo, sviluppatasi nelle fabbriche del nord a partire dall’autunno 1969 e strettamente legata al clima politico del ’68, nel quale avevano trovato sintesi le rivendicazioni salariali di ampi strati del movimento operaio (in particolare, della categoria dei metalmeccanici) e le agitazioni studentesche per l’effettività del diritto allo studio.

I primi tentativi di revisione e riduzione delle tutele dell’art. 18 datano dalla metà degli anni ’90 (gli anni ’80 conobbero invece diversi tentativi falliti di estensione dei diritti del lavoro) quando dal mondo industriale si leva la richiesta di maggiore flessibilità del mercato del lavoro, accolta in particolare dal Pacchetto Treu. Nel 2000, un fallito referendum promosso dal partito Radicale punta alla sua abolizione, mentre tre anni dopo, nel 2003, un nuovo referendum tenterà di estenderlo a tutti i lavoratori. Nemmeno quest’ultimo referendum raggiungerà il quorum (cioè la validità data dall’espressione di voto di almeno il 50% degli aventi diritto) anche grazie alla massiccia campagna per l’astensione che invitava gli italiani ad “andare al mare” quella domenica.

Il governo Monti ha riproposto la soppressione del reintegro e il livellamento delle tutele del lavoro sulle condizioni contrattuali peggiori – orari flessibili, bassi salari, abbassamento delle tutele del lavoro – così da attirare capitale di rischio in Italia e aumentare gli investimenti stranieri alle condizioni già conosciute da paesi come la Thailandia, il Cile e l’Argentina le cui conseguenze sono consultabili nei libri di storia.

E’ stato infine il governo Renzi (PD) ad approvare il Job Act che sopprime il diritto di reintegro per il licenziamento senza giusta causa (art.18), sostituendolo con una compensazione in denaro, oltre a permettere il demansionamento e il controllo a distanza dei lavoratori.


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