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13 Novembre, 2013

Roberto Lolli, La filosofia è davvero occidentale?

by gabriella

SocrateRiporto la trattazione del tema affrontata da Treccani.it globalmente, seppure al costo di notevoli semplificazioni. La tesi di Lolli è infatti che il “pensiero” non può essere detto solo occidentale, perché in tal caso si riprodurrebbe il paradosso fine-ottocentesco di disconoscere il contributo della storia non occidentale al progresso umano. Confesso di trovare tale approccio poco convincente perché, sgombrato il campo dagli equivoci dell’evoluzionismo sociale, identificare le specificità (nello stile dell’antropologia novecentesca) delle culture umane è tutt’altro che in conflitto con il riconoscimento della loro uguale dignità.

In relazione all’originalità dei greci, né Vernant, né Jaeger, fondarono la tesi della specificità della filosofia sul presupposto di una superiorità occidentale, intesa quale punto d’arrivo di un cammino umano presunto unitario. Entrambi insegnarono a riconoscere l’unicità e originalità dei greci nella nascita di un pensiero che si ritenne capace di comprensione del mondo al di là delle narrazioni mitiche (fu dunque laico) e si mostrò capace di decostruire le narrative dei potenti (democratico), identificando un modello di autonomia e libertà tipico, in effetti, della weltanshauung di questa parte di mondo [si veda, per approfondire, la ricostruzione di Jaeger da me utilizzata per realizzare le lezioni su Esiodo e Solone]. In sintesi, ciò che può dirsi unico della filosofia greca è il suo inizio che resta straordinario nonostante i suoi infiniti sviamenti ed esiti successivi.

 

Oriente e Occidente. La nascita della filosofia

Il “miracolo greco”

In primo luogo, si tratta di stabilire cosa sia filosofia e cosa non lo sia. L’atto di forza è stato compiuto nell’Ottocento dai filosofi (Hegel) e dagli studiosi (Zeller) che hanno identificato la tradizione occidentale scaturita dal pensiero positivo apparso in Grecia nel VI secolo a.C. come ‘la’ filosofia. La celebre tesi di Eduard Zeller nella sua opera monumentale Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung dargestellt (La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, 1844-1852) è sintetizzata come il “miracolo greco”: questo popolo – nel quale gli intellettuali tedeschi del XIX secolo vedevano la propria prefigurazione – per le specificità proprie elaborò un sapere nuovo, originale, un nuovo modo di interrogarsi razionalmente sul mondo, mentre gli altri popoli restavano immersi in forme più o meno complesse di superstizione, tutt’al più erano stati capaci – Cina e India – di elaborare alcune dottrine, vincolate però alle tradizioni o alle religioni.

Alla tesi “nazionalista” occidentale appare contrapporsi negli stessi anni quella “orientalista” elaborata da Friedrich Schelling e da August Gladisch: solo che l’affermazione sulle origini indiane, egizie, persiane degli spunti di riflessione poi rielaborati dai primi filosofi non faceva, in effetti, che ribadire che il pensiero autenticamente filosofico fosse quello greco e occidentale, mentre all’Oriente si riconosceva il ruolo di riserva e miniera di miti.

La tesi occidentalista include un curioso paradosso: se il pensiero orientale non è filosofico, in quanto limitato nel suo sviluppo dalla religione, perché la filosofia medievale e quella cristiana dovrebbero essere incluse nella tradizione occidentale? Quale criterio non contraddittorio può legittimare l’esclusione di Kŏngfūzĭ (Confucio) o delle Upanishad e l’inclusione di Agostino d’Ippona o di Tommaso d’Aquino? Un mero criterio geografico che fa decidere che tutto ciò che si pensa a ovest degli Urali e a nord di Tunisi è filosofia e il resto superstizione o mito?

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