Posts tagged ‘biopolitica’

14 Giugno, 2013

Carlo Galli, Sulla guerra e sul nemico

by gabriella

Carlo Galli

Davvero bella la ricognizione genealogica di Galli dell’evoluzione del concetto di nemico e della guerra, pubblicata su griseldaonline in uno spazio dedicato al tema.

La prima ipotesi metodologica che governa queste pagine è che per parlare del ‘nemico’ e delle ‘immagini’ intellettuali che ne sono state prodotte è necessario comprendere, prima di tutto, il nesso che lega la guerra, nel suo rapporto con la politica, alla figura del nemico; infatti, al variare delle forme dell’una corrisponde il mutare delle rappresentazioni dell’altro. Si darà quindi, di seguito, uno schematico resoconto delle scansioni epocali che rendono possibile inquadrare l’argomento.

Ed è necessario comprendere anche – è questa la seconda ipotesi – che la categoria di ‘nemico’ ha certo a che fare con l’identità del Sé, individuale o in questo caso collettivo (il Noi), che gli si oppone; ma che il nemico non è mai il portatore di un’estraneità piena e totale, di una dissimiglianza tanto radicale che col suo solo esistere possa rafforzare per di così dall’esterno l’identità del Noi; anzi, il nemico è anche, e forse più spesso e più intensamente, il polo di una relazione, per quanto ostile; quindi, se perché si possa produrre la piena formazione del Noi c’è bisogno di un nemico da escludere, ciò significa che il Noi non può fare a meno del nemico, e che questo è in qualche modo costitutivo della nostra identità, che è quindi sempre interno a Noi.

L’amico reca il nemico in sé, non fuori di sé. Ma allora il nemico è legato alla nostra identità non solo in quanto la fa essere, ma anche in quanto la fa, potenzialmente, non essere; non solo in quanto la determina, ma anche in quanto la minaccia dall’interno. Il nemico è chi non tanto è radicalmente dissimile, quanto piuttosto è a tal punto simile – pur portatore di sottili e mortali differenze – da essere inquietante e angoscioso, ossia non solo feindlich, ma anche unheimlich. La parentela fra amico e nemico, l’essere l’uomo interno all’altro, implica anche che la pace sia potenzialmente infiltrata dalla guerra, e che cioè la guerra e la pace, pur così distanti tra loro, abbiano in realtà una segreta relazione che le mette sempre a rischio di collassare nell’indistinzione.

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2 Aprile, 2013

Eleonora de Conciliis, Destino e denaro

by gabriella

criminalita-organizzata

Da Kainós, una sociologia della criminalità organizzata di rara finezza volta ad indagare le trasformazioni delle forme di vita criminale nel tardo capitalismo.

1. Le riflessioni che seguono non vogliono essere squisitamente filosofiche, né vagamente sociologiche, e neppure provocatoriamente politiche, ma, in senso foucaultiano, genealogiche. È stato infatti Michel Foucault ad aver fornito, in Sorvegliare e punire (1975), la più acuta ricerca genealogica sull’origine della prigione moderna, ed è nella sua produzione degli anni settanta che possiamo trovare ancor oggi spunti fecondi per analizzare le forme di vita criminali, le ‘vite degli uomini infami’ che proliferano nell’epoca contemporanea1. Tuttavia, per ragioni non solo espositive2, mi servirò inizialmente di una nozione proveniente dalla sociologia di Pierre Bourdieu, applicandola con una certa disinvoltura metodologica al mondo della criminalità organizzata: la nozione di campo.3

Tra le numerose definizioni che Bourdieu ci ha lasciato del concetto di campo, ne ho scelta volutamente una coniata per il campo politico, in quanto risulta assai compatibile sia con l’analisi foucaultiana del nesso sistematico legalità-crimine (capace dunque di indicare l’intimo intreccio tra economia politica e mafia), sia con il funzionamento delle strutture ‘chiuse’ del potere pastorale, siano esse religiose, militari, politiche o para-politiche (ordini, sette, brigate e reparti di un esercito, partiti e ‘famiglie’ mafiose). Secondo il sociologo francese, il campo è infatti un

“microcosmo, ossia un piccolo mondo sociale relativamente autonomo nel mondo sociale più grande. […] Autonomo, secondo l’etimologia, vuol dire che ha una sua propria legge, un suo proprio nomos, che detiene al suo interno il principio e la regola del suo funzionamento. È un universo nel quale sono all’opera criteri di valutazione a lui propri e che non hanno valore nei microcosmi vicini. Un universo obbediente alle proprie leggi, che differiscono da quelle del mondo sociale ordinario. Chi [vi] entra deve operare una trasformazione, una conversione e, anche se quest’ultima non gli appare come tale, anche se egli non ne ha coscienza, gli è tacitamente imposta, in quanto un’eventuale trasgressione comporterebbe scandalo o esclusione”.4

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5 Ottobre, 2012

Jean-Paul Galibert, Siete usa e getta? Recensione di Bertrand Ogilvie, L’homme jetable

by gabriella

Traduco la recensione di Jean-Paul Galibert al libro di Bertrand Ogilvie, L’homme jetable. Essai sur l’exterminisme et la violence extrème, Paris, Éditions Amsterdam, 2012, prefazione di Étienne Balibar [L’uomo usa e getta. Saggio sullo sterminismo e la violenza estrema].  Ogilvie illustra il passaggio dalla biopolica del far vivere e lasciar morire (Foucault) ad una bioeconomia del far vivere a morte e far morire in massa (si veda il Colloquio di Belgrado dal minuto 9:00 al 10:34). L’originale francese è in coda. Qui una sintesi (in francese) del saggio.

Après le «faire mourir et laisser vivre» qui serait la formule de la souverainété, et le «faire vivre et laisser mourir» qui Foucault forge comme la formule de la biopolitique, on serait dans l’hypothèse  d’un «faire vivre à mort et d’un laisser mourir en masse» qui serait celle de la bioéconomie.

Bertrand Ogilvie

Stagisti, precari. Contratti a tempo determinato. Flessibilità. Licenziamenti. Disoccupati «in fin di diritti», persone in fin di vita. Tutti questi termini dicono a quale punto, in fondo, si ha ben poco bisogno di noi. Quale sorte ci attende?

Bertrand Ogilvie ci pone una questione tanto terribile quanto inevitabile: come siamo diventati rottamabili? Come concepire, nella storia della violenza, questa nuova relazione di potere e questo nuovo statuto che, al di là dello sfruttamento del nostro lavoro, ci destina in anticipo a una sorta di liquidazione programmata?

Sotto il duro e bel titolo de l‘homme jetable (a perdere, rottamabile, da gettare, NDR) Ogilvie raccoglie una serie organica di saggi, una serie di tappe del cammino per pensare questa violenza estrema che é divenuta oggi il quotidiano spettacolare e al tempo stesso meglio dissimulato nella sua ordinarietà.

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