Posts tagged ‘competenze’

19 Marzo, 2023

Dalla pedagogia antica alla pedagogia moderna

by gabriella

Dalla fondazione greca della filosofia dell’educazione ai nuovi fini della pedagogia moderna: una lezione introduttiva agli aspetti chiave della transizione.

Il mondo antico scopre che l’eccellenza umana (areté) non è iscritta nel sangue nobile (aristoi) ma può essere allevata con l’educazione. Sono i sofisti a formare i cittadini non nobili che ambiscono al protagonismo politico nell’Atene del V secolo.

Due millenni dopo, il cristianesimo protestante estende a tutti gli uomini il diritto all’educazione come via a Dio attraverso la lettura delle Sacre Scritture. Comincia così la modernità pedagogica che inizia con Lutero la grande impresa dell’alfabetizzazione popolare e culmina con la rivendicazione illuminista che

«la scuola deve al popolo un’istruzione pubblica come mezzo per rendere effettiva l’eguaglianza dei diritti» [Condorcet, Cinq mémoire sur l’instruction publique, 1791].

Dopo la fiammata rivoluzionaria, la pedagogia ottocentesca ripiega sulla filantropia sostituendo l’obiettivo dell’inclusione sociale e dell’avviamento al lavoro dei poveri al protagonismo attivo del popolo.

Indice

1. La paideia: virtù e cittadinanza

1.1 La virtù
1.2 Il sapere e l’educabilità dell’eccellenza umana
1.3 Sapere e cittadinanza
1.4 L’eccellenza umana non è un fatto di natura, ma di cultura
1.5 L’umanità è una possibilità universale concessa (solo) all’uomo libero

 

2. Il ruolo del cristianesimo nella genesi della modernità

2.1 L’educazione universale dei protestanti
2.2 L’alfabetizzazione popolare

 

3. Dalla pedagogia emancipativa alla filantropia compassionevole

 

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8 Febbraio, 2023

L’intelligenza

by gabriella

Intelligere, da intus legere, significa “vedere dentro”. Intelligente è quindi chi sa guardare dentro le cose, le persone, i fatti, oltre il velo dell’apparenza

Dalla sua nascita alla fine dell’ottocento, la psicologia scientifica ha cercato di definire cosa sia l’intelligenza e quali comportamenti possano essere definiti tali.

Nel novecento, questi studi si sono fatti sempre più interdisciplinari, concentrandosi sui processi cognitivi coinvolti nel funzionamento dell’intelligenza, sulla sua misurazione e sulla sua maturazione, interrogandosi anche sulla sua natura di fenomeno innato o acquisito attraverso la stimolazione ambientale.

Gli studi attuali sull’intelligenza coinvolgono perciò tanto le neuroscienze quanto la sociologia e la pedagogia, segno che il groviglio si è fatto più intricato, il mistero più affascinante, contro ogni tentazione semplificatoria della risposta alla domanda «cos’è l’uomo»?

 

Indice

1. Che cos’è l’intelligenza?
2. L’intelligenza come problem solving
3. L’intelligenza come abilità e competenze
4. La psicometria e i test QI
5. L’epistemologia genetica e l’approccio storico-sociale all’intelligenza
6. L’intelligenza è innata o acquisita?

Esercizi sulle videolezioni: 1. Che cos’è l’intelligenza? 2. L’intelligenza come problem solving  3. L’intelligenza come abilità e competenze 4. Lo sviluppo dell’intelligenza per l’epistemologia genetica e l’approccio storico-sociale 5. La psicometria e i test QI 6. Intelligenza: fattori innati e fattori socio-culturali

 

1. Che cos’è l’intelligenza?

comprendere la complessità della realtà al di là della superficie

La psicologia non possiede ancora una descrizione e una definizione condivise di cosa sia l’intelligenza.

Sappiamo che l’intelligenza è una caratteristica del pensiero che coinvolge altri processi cognitivi e aspetti psicologici come la memoria, l’apprendimento, il linguaggio, la motivazione. 

Resta, però, ancora difficile spiegare le differenze di capacità tra gli individui, decidere se l’intelligenza sia innata o si sviluppi attraverso gli stimoli ambientali; quale sia, se c’è, il rapporto tra intelligenza e profitto scolastico e tra intelligenza e capacità di adattamento all’ambiente. È difficile anche stabilire se si può misurare e se è unica o ne esistono diversi tipi.

Attraverso le loro ricerche, gli studiosi sono pervenuti a risultati differenti, a volte contrastanti.

Potrebbe sembrare, dunque, che la psicologia e le altre scienze umane non abbiano nulla da insegnarci sull’intelligenza, ma mai come in questo caso, forse, sapere che le domande sono ancora più numerose delle risposte, aiuta ad assumere un atteggiamento scientifico e antidogmatico e quindi a procedere nella conoscenza del fenomeno.    

Intelligere, dal latino intus legere (o intra legere, secondo alcuni), significa, infatti, “vedere dentro” o “vedere tra le cose”, alludendo, in entrambi i casi, alla capacità di comprendere la complessità della realtà al di là della superficie, cioè di coglierne la struttura profonda al di là delle apparenze.

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3 Maggio, 2018

L’America fa dietrofront: più conoscenze, meno competenze

by gabriella

Il giovani Leopardi che trascorse sette anni nella biblioteca paterna per uno “studio matto e disperatissimo”

La scorsa settimana, un gruppo di esperti del Naep (l’INVALSI americano) si è riunito a Washington per discutere del fallimento delle politiche di miglioramento della capacità di lettura negli studenti, concludendo che per capire un testo occorre mobilitare le conoscenze che le ultime politiche ventennali hanno impoverito. L’articolo di Orsola Riva uscito su Il Corriere.it.

Perché gli studenti americani non riescono a migliorare le loro capacità di lettura nonostante tutti gli investimenti fatti negli ultimi due decenni proprio per rafforzare questa competenza strategica?

Per tentare di rispondere a questa domanda il Naep, l’Invalsi americano, la settimana scorsa ha convocato un gruppo di esperti a Washington. E la risposta finale è stata: perché leggere non è come andare in bicicletta. Non basta saper pedalare: per capire un testo bisogna poter contare su un solido bagaglio di conoscenze, mentre il sistema scolastico americano da vent’anni a questa parte ha puntato tutto e solo sulle competenze, a scapito della ricchezza del curriculum.

Era il 2001 – presidente George W. Bush – quando il Congresso americano approvò con un voto bipartisan la legge chiamata No child left behind che, almeno nelle intenzioni, doveva servire a dare a tutti i ragazzi – ricchi o poveri – delle solide competenze in lettura e matematica grazie a un sistema di test diventato negli anni sempre più pervasivo.

Dai risultati di queste prove standardizzate, infatti, dipendeva una buona parte dei fondi federali, cosicché le scuole pian piano finirono per appiattire i programmi sui test (il cosiddetto «teaching to the test») impoverendo la qualità della didattica. Risultato: i livelli dei ragazzi sono rimasti gli stessi mentre la forbice fra ricchi e poveri si è ulteriormente allargata tanto che nel 2015 – presidente Barack Obama – la vecchia legge è stata sostituita dal nuovo Every Student Succeeds Act, che ha modificato (delegandoli ai singoli Stati) ma non eliminato il sistema di test standardizzati obbligatori in tutte le scuole dal terzo all’ottavo grado (cioè dalla quarta elementare alla terza media).

 

«Don’t know much about history»

La storia di questo fallimento educativo è stata ricostruita da The Atlantic in un lungo e documentato articolo in cui si rimarca come il meccanismo perverso dei test abbia agito negativamente soprattutto sulle scuole dei distretti più poveri, quelle che avevano più difficoltà a raggiungere i traguardi prefissati dal governo e che dunque erano più facilmente esposte al rischio di tagliare materie come la storia e la letteratura, l’arte o la scienza che, non essendo misurate dai test governativi, venivano considerate dei rami secchi, per concentrarsi solo sui test. Col risultato paradossale che così finivano per moltiplicare lo svantaggio di chi non aveva alle spalle una famiglia con un patrimonio culturale da trasmettergli.

Perché la lettura è un’abilità complessa che richiede non solo la capacità di decodificare un testo ma quella assai più articolata di comprenderlo. E nelle comprensione di un testo scritto conta più il nostro bagaglio di conoscenze che le cosiddette abilità di letturale reading skills misurate dai test standardizzati.

Daniel Willingham

Come ha spiegato uno degli esperti che hanno partecipato alla riunione di martedì scorso, lo psicologo cognitivo Daniel Willingham, il fatto che i lettori capiscano o meno un testo dipende molto di più dalle loro conoscenze e dalla ricchezza del loro vocabolario che da quanto si sono esercitati in test con domande del tipo «Qual è l’argomento principale del testo?» o «Che conclusioni trai dalla lettura di questo brano?». Se un ragazzo arriva alle superiori senza sapere nulla della Guerra civile americana perché non l’ha mai studiata a scuola, non importa quanti test ha fatto: farà molta più fatica di un suo collega più colto e magari meno allenato di lui nei test a rispondere a qualsiasi domanda relativa a quell’argomento.

 

Ceretta al linguine e cortelli affilati. Gli errori di grammatica più comuni

 

Alzare l’asticella

Timothy Shanahan

Ma non basta. Come osservato da Timothy Shanahan, professore emerito all’Università dell’Illinois e autore di oltre 200 pubblicazioni sulla «reading education», il sistema dei test commette un altro errore gravissimo: quello di misurare le capacità dei ragazzi usando dei testi considerati alla loro altezza. Mentre al contrario diverse ricerche dimostrano che gli studenti imparano molto di più quando leggono testi che sono al di sopra del loro livello di competenze e che proprio per questa ragione li portano a sforzarsi arricchendo il loro vocabolario e le loro capacità di comprensione. Perciò se vogliamo davvero migliorare le capacità di lettura degli alunni smettiamola di farli esercitare con i bugiardini dei farmaci o le istruzioni degli elettrodomestici. E semmai puntiamo su un curriculum ricco in storia scienze letteratura e arte che fornisca ai ragazzi una cassetta degli attrezzi – intesa come un sistema di nozioni e un vocabolario ricco e articolato – servibile per ogni occasione.

26 Marzo, 2018

Gianfranco Marini, Ricomincio da Bloom

by gabriella

Una ricognizione e una guida complete alla tassonomia di Bloom, dalla nascita nel 1956 alle trasformazioni più recenti che ne sviluppano la visione includendo le tecnologie digitali. Un fondamentale strumento di progettazione per i docenti.

Samuel Benjamin Bloom

Benjamin Bloom (1913 – 1999)

1. La Tassonomia di Bloom
Siamo nel 1956 quando viene pubblicato il primo volume della Tassonomia degli obiettivi educativi di Benjamin Samuel Bloom: Taxonomy of Educational Objectives che comprende anche un volume in cui vengono definiti gli obiettivi cognitivi: Handbook I: Cognitive. Si tratta dei risultati di una lunga e complessa indagine empirica condotta da Bloom e altri pedagogisti sull’operato di esaminatori e valutatori. L’opera di S. B. Bloom, B. S.; Engelhart, M. D.; Furst, E. J.; Hill, W. H.; Krathwohl, D. R. fu preceduta da una serie di conferenze tenutesi a Boston tra il 1945 e il 1953 e organizzate dall’Associazione Americana di Psicologia.

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18 Marzo, 2017

Gianni Marconato, Oltre la mitologia delle competenze

by gabriella

Tre interventi di Gianni Marconato sul(la vexata quaestio del) rapporto tra conoscenze e competenze e sulle condizioni didattiche per lo sviluppo e la valutazione delle competenze [Fonti: 1; 23].

Mi sono reso conto, e continuo ad averne conferma, che le competenze a scuola sono spesso vissute all’interno di una narrazione mitologica.

Il mito è una forma di narrazione antica fondata sul pensiero magico, che interpreta la realtà in base a credenze interiorizzate che non dimostrano nulla, perché la conoscenza non è dell’uomo ma proviene dalla divinità. Proprio per questo motivo, proprio perché non fondato sul pensiero razionale e sull’osservazione del fenomeno, il mito è un po’ la coltre di nubi che nasconde la vetta dell’Olimpo. E così sono anche le convinzioni di molti (non tutti) docenti in ordine alle competenze: mitologia tout court.

Proviamo, quindi, a far scendere tali credenze dal Monte Olimpo, avvolto nelle sue nubi, per restituirle a più appropriati significati.

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17 Novembre, 2016

Conoscenze, abilità, competenze

by gabriella

euI concetti di conoscenze, abilità e competenze declinati nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l’apprendimento permanente secondo Lisbona 2000 [qui l’intero documento; qui il sito Education and training della Commissione europea].

pp. 15 e 16

 

(g) Conoscenze indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro. Nel Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli (European Qualifications Framework – EQF), le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche;

competenza(h) Abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nel Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli, le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti );

(i) Competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nel Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli le “competenze” sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.

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7 Maggio, 2015

Anna Angelucci, La valutazione negli Stati Uniti: storia di un fallimento

by gabriella
Milton Friedman (1912 - 2006)

Milton Friedman (1912 – 2006)

L’intervento di Anna Angelucci al Convegno “Educare alla critica: quale valutazione?”. Liceo Classico Mamiani, Roma, 26 novembre 2013.

Economisti che sui problemi della scuola si costruiscono carriere, imprenditori e faccendieri a caccia di nuovi guadagni, insieme a politici e burocrati compiacenti, stanno imponendo il governo tecnocratico nella scuola e nell’università, un governo che inneggia all’individualismo e alla competizione sfrenata, dove l’istruzione ridotta a prodotto di mercato, e che liquida come anacronistico retaggio del passato ogni dimensione del sociale. Una pletora di decisori senza idee che, a dispetto di ogni evidenza, vogliono imporre oggi in Italia quello che la storia mostra aver fallito altrove. In questo scenario il test non è neutro e non è innocuo: è un dispositivo di controllo che agisce come strumento performativo retroattivo, trasformando ciò che facciamo e il senso di ciò che facciamo a scuola .

La “cultura della valutazione” nasce nella seconda metà del secolo scorso negli Stati Uniti d’America, imposta dal modello economico neoliberista, che applica anche all’istruzione il principio imprenditoriale dell’analisi costi-benefici a breve termineLe scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti», così Milton Friedman, nel 1955, in “The role of Government in education”].

reaganPer fare questo occorreva individuare un’entità misurabile circoscritta, una unità di misura e uno strumento di misurazione, che permettesse di valutare “oggettivamente e sistematicamente” il livello degli  apprendimenti di uno studente, di una classe, di una scuola, di uno Stato.

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13 Febbraio, 2012

Gabriele Miniagio, Adversus pedagogistas

by gabriella

Purtroppo gergale (detto tra filosofi: ogni tanto leggiamo anche il giornale) ma bello, l’articolo di Miniagio esamina la struttura del dispositivo disciplinare noto come “scuola delle competenze”. I meno pazienti saltino pure il primo paragrafo per godersi, dal secondo, una storia della scuola italiana veramente sapiente.

Qualcosa di profondo è accaduto nella scuola italiana. A partire dalla riforma Berlinguer, attraverso una serie di politiche protrattesi per un quindicennio, essa è mutata non solo nella sua veste esteriore, ma anche e soprattutto nel suo principio ispiratore, dunque nel suo rapporto con la società e la cultura. L’ideale della paideia, prima gentiliano e crociano, poi marxista, ha ceduto lentamente ma inesorabilmente il passo ad un pedagogismo scientista, che chiama in causa come proprio referente una mente naturalizzata, totalmente spossessata di un senso dell’agire che non sia l’operare macchinico: il compito del percorso didattico diviene quello di implementare in essa competenze e abilità operative per risolvere problemi dati, al di là di ogni definizione della realtà umana in termini esistenziali o storico-politici1.
Ci sforzeremo di mostrare come questa pedagogia tecnico-operazionale abbia origine nella concezione di una soggettività naturalizzata, teorizzata dagli indirizzi più radicali della filosofia della mente, e come entrambe chiamino in causa un processo di produzione di vita soggettiva che, nella società di massa tardo capitalistica, le sottrae il senso di sé e del mondo; il prodotto di tale processo è qualcosa che potremmo chiamare indifferentemente un quasi bios o un quasi soggetto.

Emergerà infatti, nell’ultima parte di questo lavoro, che il dispositivo “pedagogia delle competenze – naturalizzazione del soggetto” non è affatto neutrale: il carattere tecnico-operazionale, l’ossessione quantitativa della docimologia, l’esigenza di un portfolio di competenze certificato, la ricerca di una valutazione oggettiva dei risultati dell’apprendimento sono elementi a cui le forme di reclutamento e le procedure dei nuovi lavori cognitivi danno l’origine e il fine, l’alpha e l’omega. Ma la relazione non finisce qui, perché quel dispositivo non solo addomestica e disciplina di fatto all’assetto produttivo del capitalismo cognitivo, ma anche e soprattutto perché esso delinea la soggettività macchinica e priva di mondo come un modello complessivo, rispetto a cui il referente dell’azione educativa è disciplinato fin dall’inizio a rispecchiarsi e adeguarsi.

In altri termini il dispositivo “pedagogia delle competenze – soggettività naturalizzata” addomestica non solo ad una serie di pratiche, ma anche ad un senso globale, rilanciando e potenziando i processi di soggettivazione che occorrono nella società tardo capitalistica, con l’intento di produrre macchine da problem solving per cui non è mai in gioco l’esistenza, l’agire e l’orizzonte del possibile.

L’analisi che condurremo esplorerà perciò i nessi sussistenti fra questi tre elementi: pedagogismo delle competenze, naturalizzazione della soggettività, processi di soggettivazione tardocapitalistici.

A questo punto si potrebbe chiedere: perché centrare l’attenzione sull’Italia? La risposta è semplice: perché in Italia la società di massa e i processi di produzione soggettiva che essa realizza non incontrano quell’anticorpo che negli altri paesi europei è ancora in opera e che consiste in una modernizzazione politica e civile, la quale ha accompagnato, quando non preceduto, la modernizzazione in senso economico-produttivo. L’impressione è però che l’efficacia di questo anticorpo sia fragile un po’ ovunque e che l’Italia sia solo l’avanguardia di un processo di degrado della democrazia, della società e della cultura che riguarda tutti i paesi a capitalismo avanzato.
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di dipanare gli elementi in gioco, che sono tanti e tutti intrecciati fra loro. Dobbiamo porci una serie di domande.

1) Che cosa è successo nella scuola italiana?
2) Che rapporto c’è fra quanto è accaduto nella scuola e il caso Italia in quanto tale?
3) In che senso i cambiamenti intervenuti hanno origine da quella soggettività naturalizzata, teorizzata da alcune correnti della filosofia della mente?
4) Perché la pedagogia delle competenze e la naturalizzazione della soggettività rientrano in un più generale processo di produzione di vita soggettiva povera, che riguarda la società tardo capitalistica nel suo complesso?

Esamineremo le questioni una per una.

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