Posts tagged ‘contrattualismo’

2 Maggio, 2022

Il pensiero educativo in Tommaso d’Aquino

by gabriella

Tommaso d’Aquino (1225 – 1274)

La filosofia educativa del domenicano Tommaso d’Aquino (1224-1274) nasce dalla sua adesione all’aristotelismo e da un profondo ripensamento della pedagogia agostiniana.

Il massimo contributo del filosofo, tra i massimi pensatori della scolastica, è stato il tentativo di superare il contrasto tra il contenuto della Rivelazione cristiana e la ragione umana alla quale Tommaso si accinge assimilando entro il quadro della visione cristiana del mondo il pensiero di Aristotele, considerato l’espressione più alta della razionalità umana.

 

Indice

1. Il recupero di Aristotele
2. La filosofia dell’educazione
3. La filosofia politica

 

1. Il recupero di Aristotele

Il recupero delle opere di Aristotele inizia nel XII secolo attraverso la traduzione in latino dall’arabo e, in minor misura, dal greco, delle opere degli autori antichi.

Tale attività di studio e traduzione dura circa un secolo, ostacolata sia da fattori materiali, come la mancanza del supporto cartaceo (papiro) per le copie e, soprattutto, la rarità della conoscenza del greco antico che ideologici, come il rischio di introdurre nella cultura europea tesi incompatibili con il cristianesimo: di qui il bando dei teologi della Sorbona, la massina autorità scientifica dell’epoca che inserirono i testi di Aristotele negli elenchi dei libri proibiti.

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12 Novembre, 2013

Roberto Lolli, Il contrattualismo

by gabriella

Pacta sunt servanda

Cielo

La nozione politica di “Contratto” nelle forme del pensiero antico è connessa al rapporto tra sfera religiosa e mondo umano. Il Patto – lo si chiami “Alleanza” nell’Antico Testamento, Eusébeia in Grecia o Pax Deorum a Roma – si prospetta come una relazione di potere nella quale l’ordine politico discende originariamente dalla volontà divina ed è mantenuto in virtù del rispetto da parte degli uomini di regole e rituali di origine sacra. A fondamento del potere era assunto un mito o una narrazione religiosa, in grado di conferire legittimazione a una casa regnante o al governo libero delle città. In ogni caso, era come se le istituzioni politiche sgorgassero dalla volontà di un dio, dalla natura o da se stesse, venendo a oscurarsi così l’idea che fossero gli uomini e non gli Dèi o il Fato a plasmare le leggi della città.

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29 Luglio, 2013

I monarcomachi

by gabriella

resistencehuguenoteNel XVI e XVII secolo, mentre infuriavano le guerre di religione, i calvinisti francesi teorizzarono la sovranità popolare e svilupparono una originale dottrina politica che legava l’azione del sovrano al consenso popolare e la legittimità della ribellione e del tirannicidio.

Nous qui vallons plus que vous, et qui pouvons plus que vous, vous élisons Roy à telles & telles conditions, et y en a un [Dieu] entre vous et nous,  qui commande par dessus vous .

Noi che valiamo più di voi e che possiamo più di voi, vi eleggiamo re a queste e quest’altre condizioni e c’è uno tra voi e noi che comanda sopra di voi.

Formula anticamente pronunciata dai rappresentanti del popolo del Regno d’Aragona durante la consacrazione del re

Sono detti monarcomachi quei teorici del XVI e XVII secolo – soprattutto – ugonotti « qui combattent le gouvernement d’un seul », cioè la monarchia assoluta, difendendo la tesi di una monarchia contrattuale – un antecedente storico di quella che sarà molto più tardi la monarchia costituzionale.

Théodore de Bèze

Théodore de BPhilippe de Mornayèze

In Francia e Svizzera furono inizialmente gli ugonotti Théodore de Bèze, Philippe de Mornay, François Hotman, Hubert Languet, a rivendicare la sovranità del popolo e a sostenere che gli Stati Generali, in quanto assemblea del popolo, dovevano scegliere il re e i magistrati, potevano destituirli in caso di demerito, decidere la pace e la guerra e fare le leggi.

Se la sovranità è del popolo, sostennero i monarcomachi, anche la sua obbedienza è condizionale e riposa sul rispetto delle promesse da parte del re (in seguito, sul rispetto della legge da parte del sovrano). Nel caso in cui il re si comporti da tiranno, la resistenza è dunque legittima, secondo alcuni, fino al tirannicidio.

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8 Aprile, 2013

Gustavo Zagrebelsky, La cultura, patto fondativo della nostra convivenza

by gabriella

ZagrebelskyDa Micromega la riflessione platonico-socratica di Zagrebelsky sull’art. 33. «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»: il fondamento di ogni convivenza non può che essere la ricerca non strumentale (dunque autenticamente libera) nei suoi legami con la cittadinanza e la democrazia.

La società non è la mera somma di molti rapporti bilaterali concreti, di persone che si conoscono reciprocamente. È un insieme di rapporti astratti di persone che si riconoscono come facenti parte d’una medesima cerchia umana, senza che gli uni nemmeno sappiano chi gli altri siano. Come può esserci vita comune, cioè società, tra perfetti sconosciuti? Qui entra in gioco la cultura.

Consideriamo l’espressione: io mi riconosco in… Quando sono numerosi coloro che non si conoscono reciprocamente, ma si riconoscono nella stessa cosa, quale che sia, ecco formata una società. Questo “qualche cosa” di comune è “un terzo” che sta al di sopra di ogni uno e di ogni altro e questo “terzo” è condizione sine qua non d’ogni tipo di società, non necessariamente società politica. Il terzo è ciò che consente una “triangolazione”: tutti e ciascuno si riconoscono in un punto che li sovrasta e, da questo riconoscimento, discende il senso di un’appartenenza e di un’esistenza che va al di là della semplice vita biologica individuale e dei rapporti interindividuali.

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31 Dicembre, 2011

Thomas Hobbes, Il Leviatano

by gabriella

Whatsoever therefore is consequent to a time of Warre, where every man is Enemy to every man; the same is consequent to the time, wherein men live without other security, than what their own strength, and their own invention shall furnish them withall. In such condition, there is no place for Industry; because the fruit thereof is uncertain; and consequently no Culture of the Earth; no Navigation, nor use of the commodities that may be imported by Sea; no commodious Building; no Instruments of moving, and removing such things as require much force; no Knowledge of the face of the Earth; no account of Time; no Arts; no Letters; no Society; and which is worst of all, continuall feare, and danger of violent death; And the life of man, solitary, poore, nasty, brutish, and short.

T. Hobbes, Leviathan, I

Dall’Introduzione di Tito Magri a Leviatano, Editori Riuniti, 1976.

Hobbes è il massimo teorico dell’assolutismo, cioè della forma storica in cui si è sviluppato tra ‘500 e ‘600, lo stato moderno. Il concetto di sovranità legibus soluta, vale a dire dell’unità del potere dello stato e della sua superiorità e indipendenza rispetto a ogni altra specie di potere, è posto dal filosofo al centro della sua teoria politica come condizione essenziale del buon ordinamento del governo degli uomini e carattere specifico del potere politico rispetto, ad esempio, al potere ecclesiastico o alla patria postestas.

La filosofia politica di Hobbes va considerata come la prima teoria in cui lo stato sovrano e indipendente viene analizzato secondo i principi del pensiero filosofico moderno e in relazione ai fenomeni fondamentali della società moderna (industriale o borghese). Hobbes visse infatti nel periodo culminante del processo di formazione degli stati europei: la pubblicazione del Leviathan (1651) segue di poco la pace di Vestfalia (1648) che concluse la guerra dei trent’anni. Sul piano del pensiero politico, la formazione degli stati si connette all’idea dello stato come creazione cosciente e volontaria degli individui, anzichè come ordine sopraumano – cosicché «il punto di partenza della ricerca cessò di essere il genere umano e divenne lo stato sovrano, individuale e autosufficiente» (Gierke, 1958) – che si considerò fondato su un unione stretta tra gli individui in ottemperanza alla legge di natura per formare una società armata del potere sovrano (contrattualismo).

Al centro del pensiero di Hobbes sono i concetti di individuo e stato: lo stato è per lui il Deus mortalis, la forma unitaria e suprema di direzione morale, giuridica, religiosa, fornita di poteri assoluti e rispetto alla quale l’individuo si trova in condizione di totale dipendenza. Nello stesso tempo, esso viene costruito a partire dai nuovi principi individualistici della società borghese, a partire dall’indipendenza, dalla libertà e dall’eguaglianza naturale degli uomini che istituiscono lo stato sulla base di un calcolo razionale e in vista della conservazione della vita e del benessere.

Il corpo politico viene pensato da Hobbes come corpo artificiale e non come realtà immediata e naturale – la società cioè non esiste in natura, ma è preceduta dall’individuo che è la sola realtà naturale -, il suo fondamento non è una norma trascendente o un istinto, ma le convenzioni e gli accordi tra gli uomini. Corrispondentemente muta anche il metodo della filosofia politica, come mostra il fatto che pur continuando a ricorrere all’autorità della Scrittura e ad esempi storici, Hobbes se ne serve solo per confermare quanto ha già dimostrato per via razionale. La filosofia politica è una scienza e il suo metodo è quello della scienza sperimentale galilleiana: si scompone l’oggetto in parti semplici (la natura umana, lo stato, i patti ecc.) e si ricompone una sintesi a partire da tali principi, ma stavolta come realtà conosciuta razionalmente.

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