Posts tagged ‘debito’

18 Febbraio, 2022

Solone, l’areté civile

by gabriella

Leggere Solone è fondamentale per capire il processo di democratizzazione e di laicizzazione in opera già nella società greca alle origini della civiltà occidentale.

Solone (638 - 558 a.C.)

Solone (638 – 558 a.C.)

In Atene divina, alla lor patria,
io molti ricondussi, che stati erano
venduti illegalmente, alcuni a termine
di legge, ed altri ancora che esuli
erano andati per fuggire i debiti,
e per il lungo errar, neppur parlavano
più l’attico idioma; ed altri ancora a sconcia
servitù qui soggetti, che tremavano
al cenno dei padroni, io resi liberi.
Forza unendo e Giustizia, in equa tempera,
col potere delle leggi seppi compiere
le mie promesse, e per i grandi e per gli umili
leggi ho sancite con giustizia equanime.

Solone, L’opera compiuta

Indice

1. La legge scritta come «limite e misura» all’arbitrio dei potenti
2. La crisi della themis nell’opera di Esiodo e Solone
3. L’areté da Esiodo a Solone
4. Massima virtù è creare eunomie
5. L’elegia L’opera compiuta

 


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18 Febbraio, 2022

Eric Toussaint, Storia della cancellazione del debito

by gabriella

Hammurabi, re di Babilonia, e gli annullamenti del debito

Louvre, Codice di Hammurabi (particolare)

Il potente non può opprimere il debole, la giustizia deve proteggere la vedova e l’orfano (…) al fine di rendere giustizia agli oppressi.

Codice di Hammurabi

Il Codice di Hammurabi si trova nel Museo del Louvre di Parigi. In realtà il termine “codice” è inappropriato, perché Hammurabi ci ha tramandato piuttosto un insieme di regole e di giudizi sulle relazioni tra i poteri pubblici e i cittadini.

Il regno di Hammurabi, “re” di Babilonia (situata nell’attuale Iraq), iniziò nel 1.792 avanti Cristo e durò 42 anni. Quello che la maggior parte dei manuali di storia non dice è che Hammurabi, come altri governanti delle città-Stato della Mesopotamia, proclamò in varie occasioni un annullamento generale dei debiti dei cittadini con i poteri pubblici, i loro alti funzionari e dignitari.

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11 Ottobre, 2021

Thomas Sankara, La seconda indipendenza africana

by gabriella

thomas-sankara2

Il 31 ottobre 2014, Blaise Compaoré, l’uomo che dopo l’assassinio di Thomas Sankara ne aveva preso il posto alla presidenza del Burkina Faso, è stato costretto a dimettersi. È del 13 aprile 2021, invece, la notizia che sarà processato per il suo omicidio.

Trentotto anni fa, il 4 agosto 1983, Thomas Sankara aveva dato inizio alla rivoluzione burkinabé che avrebbe portato l’ex Alto Volta ad assicurare, in poco più di due anni, due pasti al giorno e acqua potabile ai sette milioni di abitanti del poverissimo paese del Sahel.

Protagonista delle lotte contro il neocolonialismo e per la cancellazione del debito, Thomas Sankara è stato assassinato nel 1987, grazie al tradimento del suo amico più caro, Compaoré appunto, due mesi dopo il celebre discorso alla conferenza di Addis Abeba per la cancellazione del debito del terzo mondo:

Se il Burkina Faso resterà solo in questa richiesta – disse, consapevolmente Sankara – l’anno prossimo non sarò più qui a questa conferenza.

Dal Discorso all’Assemblea Nazionale dell’ONU, 4 ottobre 1984:

Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso sul suolo dei propri antenati di affermare d’ora in avanti se stesso e farsi carico della propria storia. Oggi vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 Km2 in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete non riuscendo più a vivere una vita degna di essere vissuta. Chi mi ascolta, mi permetta di dire che parlo non solo in nome del mio Burkina Faso tanto amato, ma anche in nome di tutti coloro che soffrono in ogni angolo del mondo.

Burkina FasoParlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera o sono di culture diverse, considerati da tutti poco più che animali. Parlo  in nome di quelli che hanno perso il lavoro in un sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti. Parlo in nome delle donne del mondo intero che soffrono in nome di un sistema maschilista che le sfrutta. Le donne che vogliono cambiare hanno capito e urlano a gran voce che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. 

Giunto al potere a trentaquattro anni con un colpo di stato militare, Sankara aveva risollevato in pochi anni il Burkina Faso [fascia del Sahel] dalla sua miseria secolare.

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1 Agosto, 2015

Marco Aime, Il dono

by gabriella

SaggioSulDonoLa prefazione di Marco Aime all’edizione italiana del 2004 dell’Essay sur le don di Marcel Mauss.

 

Un immaginario colonizzato

I doni, da noi, si fanno e si ricevono, generalmente a Natale o in occasioni stabilite, come compleanni o eventi particolari. Insomma non è considerato « normale » fare regali senza un motivo che lo giustifichi. Il dono è un’eccezione alla regola, dove la regola è invece tenere le proprie cose per sé e ottenerne altre tramite l’acquisto o lo scambio esplicito.

Bronislaw Malinowski (1884 – 1942)

Al contrario, l’antropologia, in particolare quella classica, ci ha offerto invece molti esempi di società presso le quali il dono costituisce uno degli elementi fondanti delle società stesse. Lo studio delle culture « altre » è stato spesso caratterizzato da quelli che potremmo chiamare « marchi d’area ».L’Africa, per esempio, è il continente della parentela. E’ sufficiente scorrere le monografie classiche di E. E. Evans-Pritchard, Darryl Forde, Meyer Fortes, John Middleton e di molti altri antropologi britannici africanisti per notare come lo studio delle strutture parentali e delle loro dinamiche occupi un ruolo fondamentale. [1] La parentela è stata per gli africanisti una sorta di ossessione, ma anche una forca caudina sotto la quale era inevitabile dover transitare. Oggi che in antropologia l’oggettività non è più considerata possibile, è difficile dire quanto sia stata la parentela a determinare l’orientamento degli studi africanisti oppure quanto siano stati proprio questi studi a rendere la parentela così importante. Il gioco degli specchi si fa complesso.

Il « marchio » del dono viene invece assegnato all’Oceania. Nello scrivere il suo Saggio sul dono, Marcel Mauss venne fortemente influenzato dagli studi oceanistici e in particolare da quelli di Bronislaw Malinowski sullo scambio kula. [2] Se si eccettuano le citazioni relative alla pratica del potlatch presso gli indiani Kwakiutl della costa nord-occidentale del Canada, la maggior parte degli esempi sui quali si fonda la sua teoria sono tratti da studi condotti nelle isole del Pacifico.

« Nel sistema melanesiano per essere un uomo prestigioso bisogna “avere”, certo, come dappertutto. Il prestigio sta nel donare, donare molto e donare dappertutto. Il contrario del mondo capitalista ! »

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30 Giugno, 2015

Patrice Lumumba

by gabriella

Chi dimenticherà che ci davano del tu perché non eravamo degni delle forme di rispetto dei bianchi?

Patrice Lumumba, Discorso del Primo Ministro

Fra i martiri della liberazione del continente nero dal dominio europeo, c’è Patrice Lumumba, dirigente politico e poeta. Sotto, il suo intervento fuori protocollo, pronunciato davanti a re Baldovino e alle autorità belghe in qualità di primo ministro, il 30 giugno 1960, giorno dell’indipendenza del Congo. Commuove ascoltare la voce di quest’uomo, che aveva frequentato la sola scuola elementare, rovesciare pacatamente la verità ufficiale dei colonizzatori. Cliccare sull’icona CC per avviare i sottotitoli in italiano.

 

Samuele Tieghi, La decolonizzazione

Nell’Africa Nera il processo di decolonizzazione giunse in ritardo. Infatti se India e Algeria, si resero indipendenti nel volgere di breve tempo dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i numerosi Paesi dell’Africa Centrale e Meridionale giunsero all’indipendenza molto più tardi.

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10 Febbraio, 2015

La crisi degli asini

by gabriella

asiniApologo sulla crisi del debito di Occupy Wall Street.

Un uomo in giacca e cravatta è apparso un giorno in un villaggio.

In piedi su una cassetta della frutta, gridò a chi passava che avrebbe comprato a € 100 in contanti ogni asino che gli fosse stato offerto.
I contadini erano effettivamente un po’ sorpresi, ma il prezzo era alto e quelli che accettarono tornarono a casa con il portafoglio gonfio, felici come una pasqua.
L’uomo venne anche il giorno dopo e questa volta offrì 150 € per asino, e di nuovo tante persone gli vendettero i propri animali.
Il giorno seguente, offrì 300 € a quelli che non avevano ancora venduto gli ultimi asini del villaggio.
Vedendo che non ne rimaneva nessuno, annunciò che avrebbe comprato asini a 500 € la settimana successiva e se ne andò dal villaggio.

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19 Marzo, 2013

Agamben, Elogio della profanazione

by gabriella

Giorgio_AgambenIn questa potente indagine genealogica del sacro, Agamben demistifica il significato della religione, mostrando come essa non sia affatto ciò che lega l’umano e il divino (religio), ma al contrario, ciò che li tiene separarati (relego). Nella sua analisi, il frammento su capitalismo e religione di Walter Benjamin contenuto nelle Tesi sul concetto di storia, serve a precisare la natura del capitalismo, inteso non tanto – come voleva Max Weber – come un gigantesco processo di secolarizzazione del numinoso, ma come un fenomeno religioso esso stesso, nato all’interno del cristianesimo e divenutone poi il parassita.

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13 Marzo, 2013

Eleonora de Conciliis, Walter Benjamin. Capitalismo e religione

by gabriella

angelo benjaminianoTraggo dal portale di Kainos questo articolo sul frammento benjaminiano del “capitalismo divino” contenuto nell’edizione italiana delle Tesi sul concetto di storia (Einaudi, 1997, pp. 284-287).

Il bisogno e il lavoro, sollevati a[ll’]universalità,
formano… un immenso sistema di… dipendenza reciproca;
una vita del morto moventesi in sé.

Hegel, Filosofia dello Spirito jenese

Premessa

Da qualche anno in Italia gli studiosi hanno riscoperto, o meglio si sono accorti dell’esistenza di un frammento che Walter Benjamin scrisse con ogni probabilità nel 1921, e che è apparso in traduzione italiana nel 1997, insieme ai materiali preparatori per le celebri Tesi sul concetto di storia del 19401. Un po’ come è accaduto a queste ultime a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, una volta ripubblicato da Editori Riuniti in una nuova raccolta e con una nuova traduzione2, il frammento, cui si è deciso di dare il titolo Capitalismo come religione, è stato per così dire sur-interpretato, divenendo anche per i non specialisti del filosofo una sorta di vademecum teorico, se non profetico, attraverso cui ripensare l’attuale assetto dell’economia politica occidentale.

Si tratta di uno scritto scarno e talora criptico, poco più di un appunto esteso con le indicazioni dei testi di riferimento, com’era nello stile di Benjamin, e che sembra tuttavia prestarsi a un facile lavoro di decodifica concettuale, poiché rinvia, da un lato, a due pietre miliari del pensiero politico e sociologico moderno (Marx e Weber), dall’altro a due critici radicali della metafisica (Nietzsche e Freud), con la quale Benjamin, negli anni dieci e venti, intratteneva ancora rapporti assai stretti.

Il détournement di queste pagine dal loro specifico contesto teorico – cioè la loro estrapolazione rispetto al tentativo, compiuto da un giovane Benjamin ancora influenzato da Bloch e lettore di Schmitt (la Teologia politica è del ’22), di analizzare in termini originalmente politico-religiosi l’eclissi dell’escatologia giudaico-cristiana e la sua moderna metamorfosi nichilistica3 – ha portato gli interpreti a valorizzare quella che sembra essere la principale e geniale intuizione contenuta nel frammento e lanciata ai posteri con straordinario anticipo sui tempi, ovvero la descrizione del capitalismo come religione di puro culto, dunque senza contenuti trascendenti e senza dogmi, capace di parassitare il cristianesimo e di prenderne il posto, non attraverso una deriva (la secolarizzazione weberiana), bensì grazie a un’inquietante metamorfosi, come sintetizza efficacemente lo stesso Benjamin:

Il cristianesimo nell’età della Riforma non ha agevolato il sorgere del capitalismo, ma si è tramutato nel capitalismo.4

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10 Settembre, 2012

Alberto De Nicola, L’utopia neoliberale

by gabriella

Ogni crisi economica, qualora assuma dimensioni e profondità sistemiche, si presenta sempre come una crisi che interessa la razionalità di governo. Si è detto e ripetuto più volte che i governi stanno, quasi per paradosso, applicando ricette neoliberiste per far fronte alla stessa crisi del neoliberismo. Dietro questa apparente tautologia, questa accanita e forsennata insistenza, tuttavia, si nasconde un’incrinatura, una rottura, che riguarda direttamente il progetto neoliberale, i suoi modi di presentarsi come discorso egemonico e la sua forza di penetrare nel tessuto sociale, per ordinarlo. Per afferrare questo punto conviene fare un passo indietro e chiedersi quale fosse, se è mai esistita, un’utopia propria del neoliberalismo.


Utopia neoliberale

Karl Polanyi ha sostenuto che l’utopia del primo liberalismo economico si era presentata nell’idea dell’autoregolazione del mercato. La generalizzazione di questo principio organizzativo all’intera vita sociale, ha comportato effetti distruttivi tali da innescare una crisi di governo senza precedenti.

C’è da chiedersi quale sia stata, invece, l’utopia incarnata dentro il discorso neoliberale a partire dalla metà degli anni Settanta. Come ci ha mostrato Foucault, lo spostamento di asse dal principio regolatore dello scambio a quello della concorrenza, ha mutato radicalmente la grammatica della governamentalità liberale.

Si potrebbe affermare che l’utopia specifica del neoliberalismo non sia stata tanto quella dell’autoregolazione, bensì quella della completa de-proletarizzazione del corpo sociale. Quando si dice de-proletarizzazione qui non si intende affatto l’idea che per i neoliberali non ci dovessero essere disuguaglianze, né rapporti di subordinazione e dipendenza, ma che questi rapporti, queste differenze non debbano in alcun modo essere pensati come rapporti di sfruttamento. Questo il punto: lo Stato deve intervenire attivamente affinché la società sia segnata da disuguaglianze, anche radicali, condizione questa necessaria al funzionamento del principio della concorrenza di tutti con tutti. Tuttavia, il problema per i neoliberali rimane quello di far fuori l’opposizione tra capitale e lavoro.

Facendo di tutti gli individui dei capitalisti, istituendo un capitalismo popolare, si eliminano le tare sociali del capitalismo, indipendentemente dalla salarizzazione crescente nell’economia. Un salariato che sia a sua volta anche un capitalista, non è più un proletario. (Bilger, citato da Foucault in Nascita della biopolitica)

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20 Agosto, 2012

Argentina, Diario del saccheggio

by gabriella

Alla dignità e al coraggio di coloro che resistettero in quegli anni

Fernando E. Solanas

La storia dell’Argentina degli anni zero è quella di una guerra monetaria nella quale la parità del peso con il dollaro ha giocato un ruolo simile ai meccanismi di approfondimento delle diseguaglianze regionali della zona euro.

Il film dedicato da Fernando Solanas ai giorni del saccheggio insiste però soprattutto sui meccanismi di corruzione e di formazione del “debito odioso” (particolarmente nel 3° video) che hanno strangolato il paese. Il regista mostra un popolo che cerca di difendersi dagli effetti delle manovre di Cavallo e De la Rua e dalle loro conseguenze estreme: nell’ultimo spezzone le prime piccole vittime della fame nel nord dell’Argentina.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=Q7bOj_Y2Etc&feature=relmfu]

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