Posts tagged ‘Deleuze’

20 Settembre, 2023

Che cos’è la filosofia?

by gabriella

Definire la filosofia è un compito difficile perché, a differenza delle scienze, questo campo del sapere non ha un oggetto, non si rivolge a qualcosa di specifico, ma alla totalità delle cose che sono di cui interroga la stessa esistenza.

Per questo, Aristotele sostiene che la filosofia è nata dalla meraviglia che l’essere sia, che ci siamo e ci sia un mondo davanti a noi e la definiva come un sapere disinteressato e libero perché non utilizzabile per qualcosa di specifico.

Indice

1. Quando è nata la filosofia?
2. Il distacco dal mito e dalla tradizione
3. In cosa è diversa (e in cosa somiglia) dalle altre forme di sapere?
4. La nascita del termine “filosofia” e il contesto delle sue prime utilizzazioni
5. Le definizioni dei filosofi
Mappa riepilogativa; mappa 2

[Visualizzare il video da YouTube per usare il minutaggio]

 

1. Quando è nata la filosofia?

Tutti gli uomini, per natura amano la conoscenza

Aristotele, Metafisica, A, 980a

 

Anche se il concetto di filosofia emerge nel V secolo, Aristotele e l’intera tradizione della storia della filosofia considerano filosofi i primi pensatori greci vissuti agli inizi del VI° secolo a. C. nelle colonie greche della Ionia (Asia Minore) – coloro che per primi «hanno filosofato intorno alla verità» [Aristotele, Metafisica, I].

La prima scuola sorse nella città di Mileto dove viveva Talete, il suo allievo Anassimandro e Anassimene); poi animò Efeso (Eraclito), Colofone (Senofane), Clazomene (Anassagora).

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9 Settembre, 2018

Girolamo De Michele, A che serve la filosofia?

by gabriella

filosofia de micheleLa filosofia è l’attività di costruzione dei concetti, secondo la definizione di Gilles Deleuze e Felix Guattari. Girolamo De Michele spiega a cosa serve la filosofia con l’esempio del concetto di “altri”. Ne segue il paradosso che la filosofia, pur essendo totalmente inservibile, inutilizzabile (e dunque libera) è l’attività più utile di tutte.

Se seguite il basket americano, non potete non sapere chi è Phil Jackson. In ogni caso, basterà sapere che è l’allenatore che ha vinto più titoli di ogni altro: ben 11, 6 con i Chicago Bulls e 5 con i Los Angeles Lakers (più 1 nelle serie minori e 2 come giocatore).

Phil Jackson ha l’abitudine di distribuire libri di filo­sofia ai suoi giocatori, e di leggere pagine dei filosofi negli spo­gliatoi, mentre altri ripassano gli schemi prima della partita; tra i suoi libri preferiti ci sono Così parlò Zarathustra di Nietzsche, l’Etica Nicomachea di Aristotele e Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig.

Perché regala ai cam­pioni che allena libri di filosofia? Perché, sostiene Phil Jackson, la filosofia ti aiuta a capire che nel mondo esistono anche gli al­tri: “gli altri” è un concetto importante in uno sport di squadra nel quale non puoi vincere da solo, neanche se sei il miglior giocatore del mondo.

In effetti quello che rende Phil Jackson un grande allenatore è proprio questo: spesso ha allenato i mi­gliori giocatori del mondo (Michael Jordan, ad esempio), o gio­catori che si credevano tali (Shaquille O’Neal o Kobe Bryant, ad esempio), ed è riuscito a farli giocare all’interno di un grup­po, e non da soli.

Salutiamo Phil Jackson, e teniamoci le sue paPhil Jacksonrole. Cosa vuol dire: “nel mondo esistono anche gli altri”? In che senso “gli altri” è un concetto? Che cos’è un concetto? E soprattutto, a cosa serve la filosofìa (a parte vincere il campionato NBA)?

Dire che esistono “gli altri” non è una cosa banale: c’è un’in­tera visione del mondo dentro la parola “altri”. Chi sono gli “altri”?

Sono tutti quegli esseri viventi che condividono, o par­tecipano, a una essenziale qualità o caratteristica che io trovo dentro me stesso? In questo caso, chiameremo questa caratteri­stica “umanità”, e da essa faremo derivare determinati diritti che definiremo inviolabili.

O forse no, se troveremo questa ca­ratteristica anche in altri esseri viventi non-umani: e allora estenderemo il concetto di “diritto inviolabile” anche agli ani­mali, ai quali non saremo liberi di fare tutto ciò che ci piace (ad esempio torturarli nei laboratori, infliggere loro crudeltà, farne dei portatori di pelliccia a nostra disposizione, addirittura fare del cibo a nostra disposizione).

Come vedete, per costruire la parola “altri” e dotarla di senso bisogna compiere molte ope­razioni mentali, ciascuna delle quali è in rapporto con un deter­minato comportamento pratico.

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4 Novembre, 2016

Gilles Deleuze, Poscritto sulle società di controllo

by gabriella

Per ricordare Deleuze, nel ventunesimo anniversario della morte, rileggiamo il Post-scriptum sur les sociétés de contrôle [pubblicato ne L’autre journal (1990), poi in Pourparler (1990), trad. it. Pourparler] la cui visione ha realizzato l’auspicio foucaltiano che «il secolo» sarebbe stato «deleuziano».

 

Gilles Deleuze (1925 – 1995)

I. Storia

Foucault ha collocato le società disciplinari tra il Diciottesimo e il Diciannovesimo secolo; giungono al loro apogeo all’inizio del Ventesimo. Procedono all’organizzazione di grandi ambienti di reclusione. L’individuo non cessa di passare da un ambiente chiuso all’altro, ciascuno dotato di proprie leggi: dapprima la famiglia, poi la scuola («non sei più in famiglia»), poi la caserma («non sei più a scuola»), poi la fabbrica, ogni tanto l’ospedale, eventualmente la prigione che è l’ambiente di reclusione per eccellenza. È il carcere che serve da modello analogico: la protagonista di Europe 51 può esclamare quando vede degli operai «ho creduto di vedere dei condannati…».

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4 Novembre, 2015

Gilles Deleuze, R comme résistance

by gabriella

La philosophie crée des concepts, et dés que l’on crée, on résiste. Les artistes, les cinéastes, les musiciens, les mathématiciens, les philosophes, tout ces gens là résistent. Mais ils résistent à quoi exactement ?

Deleuze : Ils résistent d’abord aux entraînements et aux vœux de l’opinion courante, c’est à dire à tout ce domaine d’interrogations imbéciles. Ils ont vraiment la force d’exiger leur rythme à eux, on ne leur fera pas lâcher n’importe quoi dans des conditions prématurées, tout comme on ne bousculera pas un artiste, personne n’a le droit de bousculer un artiste. Que créer ce soit résister, je crois… Il y a un auteur que j’ai lu récemment qui me frappe beaucoup à cet égard, je crois qu’un des motifs de l’art et de la pensée c’est une certaine “honte d’être un homme”. Je crois que l’homme, l’artiste, l’écrivain qui l’a dit le plus profondément c’est Primo Levi. Il dit: “quand j’ai été libéré ce qui dominait c’était la honte d’être un homme”. Alors c’est une phrase à la fois très splendide, très belle, mais ce n’est pas abstrait, c’est très très concret la honte d’être un homme. Mais elle ne veut pas dire les bêtises que l’on risque de lui faire dire : ça ne veut pas dire que nous sommes tous des assassins, ou ça ne veut pas dire que nous sommes tous coupables, par exemple que nous sommes tous coupables face au nazisme. Primo Levi le dit admirablement, cela ne veut pas dire que les bourreaux et les victimes soient les mêmes, ça, on ne nous fera pas croire ça. Il y a beaucoup de gens qui nous racontent que nous sommes tous coupables; mais non non non, rien du tout. On ne me fera pas confondre le bourreau et la victime. Moi je crois que, à la base de l’art, il y a cette idée ou ce sentiment très vif: une certaine honte d’être un homme qui fait que l’art consiste à libérer la vie que l’homme a emprisonnée. L’homme ne cesse pas d’emprisonner la vie, il ne cesse pas tuer la vie. L’artiste c’est celui que libère une vie, une vie puissante, une vie plus que personnelle. Ce n’est pas “sa” vie. Libérer la vie, libérer la vie des prisons que l’homme… et c’est ça résister… c’est ça résister…

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4 Novembre, 2015

Gilles Deleuze, J comme joie

by gabriella

In questa conversazione, inclusa nell’Abécédaire de Gilles Deleuze, la gioia è interpretata, spinozianamente, come realizzazione, pienezza, potenza, da non confondere con il potere che, per definizione, si oppone ad ogni realizzazione ed è dunque malevolo – forse per natura.

Non esiste “potenza” cattiva – osserva Deleuze -, se è cattiva è il più basso grado di potenza e il più basso grado della potenza è il potere. Cos’è infatti la cattiveria? E’ impedire a qualcuno di fare ciò che può, di realizzare la sua “potenza”, così non c’è potenza cattiva, ci sono cattivi poteri – «il n’y a pas puissance mauvaise, il y a pouvoirs méchants» [3:05-3:36] -.

In questo senso, già in Spinoza, la gioia è resistenza, opposta all’impotenza e alle odierne passioni tristi.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=9UeYEzSaUOA&feature=related]

Evitiamo le passioni tristi: la rassegnazione, la cattiva coscienza, i sensi di colpa, tutti i sentimenti tristi – dice l’intervistatrice – e viviamo con la gioia al massimo della nostra potenza.

Dopo aver definito la potenza, Deleuze si chiede cos’è allora la tristezza, rispondendo che la tristezza è il separarsi da una potenza, una capacità di cui, a torto o a ragione, mi credevo capace. “Avrei potuto fare questo ma .. le circostanze .. o non era permesso..”. Allora questa è tristezza: bisognerebbe dire – nietzscheanamente – che ogni tristezza è un nostro difetto di potere. Non esiste “potenza” cattiva – osserva quindi Deleuze -, se è cattiva è il più basso grado di potenza e il più basso grado della potenza è il potere. Cos’è infatti la cattiveria? E’ impedire a qualcuno di fare ciò che può, di realizzare la sua “potenza”, così non c’è potenza cattiva, ci sono cattivi poteri. La confusione tra potenza e potere è rovinosa perché il potere separa sempre, la gente, ogni cosa. Il potere separa la gente da ciò che essa può.

4 Novembre, 2015

L’Abécédaire de Gilles Deleuze

by gabriella

Deleuze a VincennesLe immagini di Deleuze tra i suoi allievi a Vincennes (Paris 8) scorrono sulle note di Quand je serai K.O (Alain Souchon), a ricordare il patto del filosofo con Claire Parnet, l’intervistatrice, sua ex-allieva, che impegnò a pubblicare la ripresa (1988) solo dopo la sua morte, avvenuta il 4 novembre 1995.

Davanti alla richiesta, per lui inconcepibile, di commentare una lista di parole senza aver adeguatamente riflettuto, Deleuze ironizza: “ciò che mi salva è la clausola”, 

“[…] mi sento così ridotto – come puoi immaginare – allo stato di puro spirito, di mero archivio di Pierre- André Boutang (il regista), di foglio di carta e questo mi conforta, mi consola molto. E quasi allo stato di puro spirito, io parlo dopo la mia morte. E’ noto, se si è fatto delle sedute spiritiche, che un puro spirito, non è qualcuno che dà delle risposte molto profonde o molto intelligenti ..”.

Gilles è insomma uno “spirito” paradossale che, non credendo ad alcuna dimensione ultraterrena, espone liberamente e si deresponsabilizza sia verso le proprie parole che verso il proprio lascito. Si tratta, per questo, di una ripresa avvincente, a tratti folgorante, spiritosa e commovente (come il sorriso luminoso del filosofo, gravemente malato, giunto alla fine della sua fatica, alla lettera Z).

A – C

3:20 A comme Animal; 23:40 B comme Boisson; C comme Culture 35:24

A proposito di animali, segni e territorio:

la filosofia ha bisogno di inventare un termine nuovo, barbaro per rendere conto di una nozione con pretese innovative. La nozione con pretese nuove è che non c’è territorio senza uno strumento d’uscita dal territorio e che non c’è strumento d’uscita dal territorio, cioè deterritorializzazione, senza uno sforzo per reterritorializzare se stessi altrove.

Gli animali domestici sono espressamente “sopportati” da Deleuze che dei gatti non tollera il loro strofinarsi continuo conro di noi (“non amo chi si strofina, in generale”) e dei cani l’abbaiare (“decisamente meglio l’ululare alla luna, sempre che non si prolunghi troppo”). Insomma, ciò che Deleuze non perdona agli animali domestici è proprio il loro essere “familiari”, mentre si dichiara vicino a qualcosa che è nell’animale non addomesticato. Ciò che è importante è d’“avere un rapporto animale con l’animale“, non un rapporto umano con esso. Da questo punto di vista, perfino i cacciatori (che non ama) hanno un rapporto con gli animali preferibile a quelli che li trattano in modo “umano”. Ciò che gli ripugna degli animali domestici è così proprio ciò che lo affascina in quelli selvatici.

 

D – F

D comme Désir x; E comme Enfance; F comme Fidélité

G – F

G comme Gauche;: H comme Histoire de la philosophie; I comme Idée; J comme Joie; K comme Kant; L comme Littérature

M – Z

M comme Maladie; N comme Neurologie; O comme Opéra (musique); P comme Professeur; Q comme Question; R comme Résistance; S comme Style; T comme Tennis; U comme Un; V comme Voyage; W comme Ludwig Wittgenstein; X et Y comme Inconnues; Z comme Zigzag

4 Novembre, 2015

Gilles Deleuze, C come culture. H comme Histoire de la philosophie

by gabriella

La critica (classicamente filosofica) della cultura e la storia della filosofia per Gilles Deleuze, tratte dall’intervista pubblicata postuma come Abécédaire Gilles Deleuze.

1 Gennaio, 2014

Giorgio Agamben, Democrazia e sicurezza

by gabriella

AgambenL’autore di Stato d’eccezione su sicurezza e democrazia. Tratto da Le Monde diplomatique, gennaio 2014.

Eretta a priorità politica da una quarantina di anni, la sicurezza, questa nuova denominazione del mantenimento dell’ordine cambia spesso di pretesto (la sovversione politica, il «terrorismo») ma conserva la sua mira: governare le popolazioni. Per comprendere ed eludere la ragione securitaria, bisogna coglierne l’origine e risalire al XVIII secolo…

La formula «per ragioni di sicurezza» («for security reasons», «pour raisons de sécurité») funziona come un argomento autorevole che, tagliando corto in ogni discussione, permette di imporre prospettive e misure che non si accetterebbero senza di essa. Bisogna opporgli l’analisi di un concetto dall’apparenza anodino, ma che sembra aver soppiantato ogni altra nozione politica: la sicurezza.

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13 Settembre, 2013

Eleonora de Conciliis, La stupidità quale forma del disagio psichico nel tardo capitalismo

by gabriella

idioziaDa Kainos due riflessioni dedicate alla forma che il disagio psichico assume nel tardo capitalismo: quella della stupidità. I testi delineano una crisi del processo di soggettivazione (o costruzione del sé) che impedisce agli individui di entrare in relazione significativa con se stessi e con il mondo. Se il secolo della psicanalisi è stato quello della nevrosi, il nostro tempo è quello della psicosi, un disturbo che, bloccando il passaggio dall’immaginario al simbolico, impedisce l’accesso a sé, alla comprensione del significato, alla lettura della realtà.

Recensioni di Elena de Conciliis, Pensami stupido! La filosofia come terapia dell’idiozia, Mimesi, 2008; e Massimo Recalcati, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicanalitica, Raffaello Cortina, 2010.

Eleonora del Conciliis su Pensami stupido!

Pensare è comparare: nella cultura occidentale, l’intelligenza filosofica ha potuto esercitare il suo fascino ed affermarsi come lussuosa forma di superiorità individuale, solo attraverso un continuo ma inconfessabile confronto con il suo più debole termine di paragone: la stupidità [un richiamo, in effetti, esplicito in molti passaggi filosofici, in Eraclito, ad esempio, uno dei primi a parlare di “idiotismo” nel senso greco di “chiuso nel proprio particolare, privato”, o in Aristotele che nel De anima e nelle etiche spiega come si diventi uomini – cioè come si diventa ciò che si é -, sviluppando l’anima sensibile e l’anima razionale. Nota mia]. Quest’oggetto necessario, benchè nascosto, disprezzato o addirittura temuto dal pensiero, ha tuttavia una vita storica: se ne può fare la genealogia. Perciò il compito della filosofia, una volta denunciata senza ipocrisie la propria impura origine comparativa, consiste nel comprendere le trasformazioni epocali, le nuove metamorfosi della stupidità: se da un lato essa appare sempre più diffusa nella popolazione dell’Occidente come una specie di demenza senile, dall’altro ha assunto i tratti consumistici, mediocri e volgari dell’infantilismo di massa. Pericolosamente sottovalutati sia dalla politica che dagli ambienti accademici, oggi questi caratteri morbosi rischiano di colonizzare – di inebetire – proprio quelle forme di superiorità intellettuale che nel moderno li hanno usati come termine di confronto per la loro egemonia: il potere e la cultura. Di fronte a tale inquietante contaminazione, che sembra indicare una regressione involutiva di homo sapiens, soltanto la filosofia, pur trovandosi anch’essa assediata dalla stupidità, può forse giocare il ruolo, tutto femminile, di critica del potere e della cultura, diventando così un’ironica terapia dell’idiozia.

Con questo primo percorso intendo inaugurare sul neonato portale di Kainos un nuovo spazio di ricerca e di dialogo con i lettori e gli studiosi che vorranno intervenire, dedicato alle forme che nell’Occidente moderno (ma non solo) ha assunto e sta assumendo il processo di soggettivazione, definito anche, in sede antropologica, ‘processo di ominazione’ (cfr. sprt. L. Bolk, Il problema dell’ominazione, DeriveApprodi, Roma 2006), ed inteso come il processo in virtù del quale ogni cucciolo di uomo, uscendo dalla sua muta animalità ed entrando nel linguaggio, ossia compiendo ontogeneticamente il salto dalla natura alla cultura, diventa soggetto, singolarità, individuo con un volto unico ed inconfondibile, con una propria identità più o meno stabile, pur se scomponibile e riconducibile a fattori genetici, ambientali, sociali, ecc.

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3 Luglio, 2013

Nique-la-police, Lo scandalo Obama-Snowden e l’economia dei big data

by gabriella

Obama_big_dataUn nuovo importante intervento di Nique-la-police spiega il salto di paradigma nei processi di sorveglianza che emerge con lo scandalo Prism: i big data creati dal sistema denunciato da Ed Snowden non sono solo semplicemente informazioni, ma processi digitali che, una volta strutturati, sono in grado di generare un’economia che gli analisti stimano in grado di raggiungere, nel prossimo decennio, fino all’8% del PIL europeo.

Tempi duri per l’ideologia Emergency, quel corpo di suggestioni e convinzioni che considera come invariabilmente positivi, degni di un incondizionato medium fiducia, gli elementi di pensiero e pratiche progressiste sparsi per il pianeta. In pochi giorni due duri colpi a questo genere di ideologia arrivano da due paesi, gli Usa e il Brasile, che nella prima e nella seconda metà della scorsa decade avevano nutrito la punta di diamante di quell’immaginario e di quel corpo di convinzioni.

Il primo viene da Obama, il nobel per la pace più bombardiere della storia, che è partito dall’alleanza con il social network alle elezioni per arrivare a spiarli come pratica prevalente e intensiva. Il secondo viene dal partito dei lavoratori (sic) al potere in Brasile, dove il governo che si voleva entro un processo di mediazione tra movimenti, bilancio partecipato, grande business industriale e delle infrastrutture e crescita della borsa di Rio si è trovato di fronte a manifestazioni imponenti composte da praticamente ogni strato della società brasiliana escluso quello dei ricchissimi.

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