Posts tagged ‘Erasmo da Rotterdam’

3 Maggio, 2022

1. Adriano Prosperi, Rinascimento e Umanesimo

by gabriella
Antonello da Messina - Condottiero (Louvre)

Antonello da Messina, Condottiero 1475

Introduzione a Umanesimo e Rinascimento attraverso il capitolo L’Umanesimo, la stampa, le nuove geografie mentali della Storia moderna e contemporanea (Torino, Einaudi, 2000, I, pp. 102-120) [titoli dei paragrafi miei].

Indice

1. Una cultura nuova in un’età di cambiamenti
2. I concetti storici di Umanesimo e Rinascimento
3. Una rivoluzione silenziosa: ill libro a stampa
4. La cultura del libro e la nuova posizione dell’intellettuale laico: Valla ed Erasmo da Rotterdam
5. La moda e l’imitazione dell’antico
6. Libri antichi e scienza moderna

 

1. Una cultura nuova in un’età di cambiamenti

Lo spirito di avventura, la fiducia nelle proprie forze, la curiosità e l’apertura intellettuale che si percepiscono nelle relazioni dei viaggiatori e dei conquistatori europei ci parlano di una cultura nuova, ottimista, fiduciosa nella leggibilità del mondo e nel valore delle azioni umane.

Né la cupa minaccia delle epidemie di peste né il pericolo imminente dell’avanzata turca sembrano capaci di alterare questa disposizione generale del modo di pensare.

Per indicare il valore umano, l’italiano dell’epoca usava il termine «virtù» (latino virtus) e lo immaginava in perenne e contrastato legame con la cieca sorte, il caso, indicati anche qui dal termine latino «fortuna».

Da Dante a Machiavelli, la «virtù» umana individuale è una grande protagonista dei pensieri di questa cultura. Già l’Ulisse dantesco richiamava ai suoi compagni un’idea alta della natura umana:

Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.

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3 Novembre, 2011

Il pensiero politico di Erasmo nell’Institutio principis christiani

by gabriella

Erasmo da Rotterdam (Geert Geertsz) 1466 -1536

Nel 1516, due anni dopo la stesura del Principe di Machiavelli, Erasmo da Rotterdam scrive l’Institutio principis christiani (L’educazione del Principe cristiano) dedicata a Carlo V (appena diventato re di Spagna e dei Paesi Bassi e in procinto di diventare imperatore), nella quale invita il sovrano che vuol mostrarsi “ottimo principe” a cercare la magnanimità, la temperanza, l’onestà, consistenti nel

«[…] non far del male a nessuno, non depredare nessuno, non vendere magistrature, non lasciar[s]i corrompere dai doni».

In questo modo, mentre Machiavelli riscriveva il concetto umanistico di virtù, facendola coincidere con la libera decisione del principe di trovare mezzi adeguati alla conservazione dello stato nelle condizioni date, Erasmo si volge a un’arte del governo che è tutt’uno con le qualità del principe cristiano, di un pater familias, di un pastore del proprio popolo.

«Bonus princeps non alio animo débet esse in suos cives, quam bonus paterfamilias in suos domesticos»,  «Princeps quid aliud est quam medicus reipublicae».

E’ evidente quindi che Erasmo non pensa (anzi nega) l’autonomia della politica; non ritiene cioè, come Machiavelli, che il potere abbia regole proprie che la scienza politica può studiare, ma analizza il potere secondo criteri di valore universalmente validi, applicabili ai singoli cittadini quanto ai principi.

Nonostante la distanza tra il pragmatismo del fiorentino e la speranza riformatrice di Erasmo c’è un tratto che li accomuna, distinguendo la loro riflessione sulle virtù del sovrano dalla trattatistica medievale degli specula principis. Entrambi, infatti, sono distanti dal sostanzialismo tre-quattrocentesco che cercava nelle qualità personali del principe la soluzione ai problemi di gestione dello stato (come torneranno a fare i teorici dell’assolutismo e, epoca contemporanea, quanti, come Weber, guarderanno al carisma del politico) e cercano invece nella prassi del signore, cioè nella sua azione pubblica, le risposte all’esigenza di pace e buon governo. In questo modo, Machiavelli arriverà a sostenere che chiunque realizzi la virtù politica (illustrata nel Principe) può reggere lo stato, può cioè diventare principe e produrre “vivere civile”, mentre Erasmo, a sua volta, concepirà la sovranità come una funzione, cioè come l’azione di governare, spogliandola di ogni sacralità: una visione decisamente laica per un pensatore cristiano.

Per Erasmo, non si è dunque principi per una superiore qualità del proprio essere, ma perché si è chiamati dal proprio ruolo ad amministrare la vita comune degli uomini. Difatti, la differenza tra il principe e il tiranno, che costituisce uno degli insegnamenti fondamentali che l’educazione deve fornire al futuro sovrano, viene individuata attraverso un’elencazione puntigliosa dei comportamenti dell’uno e dell’altro (si veda il saggio di Fiorella de Michelis Pintacuda sull’Insititutio). Il principe cristiano deve comportarsi insomma secondo un’etica dell’amore e del servizio, nella quale si scorge il platonismo di Erasmo: il buon sovrano dovrà essere necessariamente philosophus Christi.

Il richiamo etico all’imitazione di Cristo e al rinnovamento religioso ebbe, com’è noto, un’eco fortissima per tutto il medioevo e il rinascimento, ispirando movimenti ereticali e spinte riformatrici a fatica ricondotte all’ortodossia cattolica. Non sorprende quindi che le opere di un autore così ispirato vengano messe all’Indice dopo la sua morte, nel 1577, dal Tribunale dell’Inquisizione.

 

Esercitazione

1. Quale aspetto distingue in modo radicale l’Institutio principis christiani e Il principe di Machiavelli?
2. Quale invece l’elemento di contatto nella visione del principe di Erasmo e Machiavelli?


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