Posts tagged ‘Foucault’

3 Dicembre, 2013

Il potere

by gabriella

leviathanQuello del popolo «è più onesto fine che quello de’ grandi, volendo questi opprimere, e quello non essere oppresso».

Niccolò Machiavelli, Il Principe

Potere come forza, potere come consenso

Da un punto di vista sociologico, il potere non è una cosa, ma una relazione tra individui. Max Weber lo definisce come la capacità di ottenere obbedienza:

Il potere – infatti – è la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione [M. Weber, Economia e società].

A questa visione del potere come forza, cioè come capacità di ottenere un determinato comportamento anche contro la volontà degli individui, si aggiunge quella del potere come consenso, cioè come abilità (autorità) di suscitare consensoobbedienza nelle persone. Si tratta di una distinzione già anticipata da Machiavelli quando, nel Principe, si riferisce alle qualità del leone e delle volpe, metafore della forza e della persuasione.

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12 Novembre, 2013

Leonardo Daddabbo, Il potere

by gabriella

Oltre il Leviatano 1. Hannah Arendt, potere, relazione, azione

Una nuova visione della politica

“Il potere scaturisce fra gli uomini quando agiscono assieme, e svanisce appena si disperdono” scrive Hannah Arendt in Vita activa (p. 147, edizione citata in bibliografia). Questa breve citazione è forse già sufficiente a spiegare la presenza di Arendt fra gli autori che hanno sperimentato, nella seconda metà del Novecento, nuovi modelli di pensiero politico. Il potere non è qui un comando proveniente dall’alto, ma un’attività generata dal basso, qualcosa che gli uomini fanno nascere agendo insieme. Ci troviamo di fronte a un pensiero che fonda la politica su elementi assai diversi da ogni precedente tradizione e afferma che la natura del politico può essere compresa solo ponendola in rapporto con la pluralità concreta degli uomini, con la loro capacità di stabilire relazioni, con le parole e le azioni che fanno apparire nel mondo qualcosa di nuovo. L’universo del Leviathan, fatto di obbedienza, rinuncia, autorità e gerarchia sembra quanto mai lontano.
Uno dei testi in cui questa impostazione si sviluppa è Vita activa (The human condition, 1958).

Vita activa

Nel termine ‘vita activa’ Arendt riassume le tre attività umane fondamentali: il lavoro, l’opera e l’azione. Il lavoro è l’attività che produce i mezzi necessari a mantenere e riprodurre la vita. Il rapporto tra lavoro e vita è però di tipo ciclico: lavorare produce ciò che permette di vivere, ma una volta riprodottasi, la vita è nuovamente pronta al lavoro. La causa del processo ciclico risiede nel metabolismo dei processi vitali, che obbliga gli uomini a una continua attività il cui unico scopo è quello di alimentare un processo biologico che non può essere interrotto. In ultima analisi, il movimento logorante, ripetitivo e senza fine del lavoro dipende dal fatto che gli uomini hanno un corpo:

“il corpo umano, nonostante la sua attività, è anche ripiegato su se stesso, non si concentra su nient’altro che sul suo essere vivo, e rimane imprigionato nel suo metabolismo” (Vita activa, p. 81).

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21 Ottobre, 2013

Francesca Borrelli, Massimo De Carolis, Francesco Napolitano, Massimo Recalcati, Nuovi disagi nella civiltà

by gabriella

nuovi disagiIl rapporto tra natura e condizione umana, dopo il dibattito di Eindhoven. Tratto da Le parole e le cose.

Francesca Borrelli Più o meno tutte le diverse letture dei mutamenti sociali intervenuti negli ultimi anni danno per scontato che sulla scena del mondo contemporaneo si sia affacciato un individuo di tipo nuovo: c’è chi pensa che le novità non siano tali da alterare i fondamenti antropologici dell’uomo, e c’è chi invece ipotizza una mutazione così profonda da investire i suoi requisiti specie-specifici, a cominciare dalla funzione simbolizzatrice, che deriva all’uomo dalla facoltà di linguaggio. Sono passati più di quarant’anni da quando Noam Chomsky e Michel Foucault si incontrarono per la prima e unica volta a Eindhoven, nel tentativo di definire il concetto di natura umana. Avevano alle spalle una lunga tradizione filosofica, secondo la quale la natura umana e la condizione umana non avrebbero granché da spartire, perché in nessun modo il rapporto dell’uomo con il mondo sarebbe riduzionisticamente riconducibile ai suoi requisiti biologici, essendo piuttosto un fattore culturale, storicamente determinato.

Nel corso di quel colloquio tra Chomsky e Foucault il tentativo di tenere legate biologia e storia, invariante specie-specifica e variante socio-politica, subì un ennesimo scacco. Per un verso, Foucault respingeva l’idea stessa di natura umana come scientificamente inconsistente, sottolineando come essa fosse, invece, una costruzione dipendente da fattori e da prospettive storico-sociali. D’altra parte, Chomsky insisteva sul carattere innato della facoltà di linguaggio, ma da un lato trascurava ogni relazione con la storia e dall’altro pretendeva di dedurre dalla linguisticità dell’uomo il modello di una società giusta.

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3 Luglio, 2013

Nique-la-police, Lo scandalo Obama-Snowden e l’economia dei big data

by gabriella

Obama_big_dataUn nuovo importante intervento di Nique-la-police spiega il salto di paradigma nei processi di sorveglianza che emerge con lo scandalo Prism: i big data creati dal sistema denunciato da Ed Snowden non sono solo semplicemente informazioni, ma processi digitali che, una volta strutturati, sono in grado di generare un’economia che gli analisti stimano in grado di raggiungere, nel prossimo decennio, fino all’8% del PIL europeo.

Tempi duri per l’ideologia Emergency, quel corpo di suggestioni e convinzioni che considera come invariabilmente positivi, degni di un incondizionato medium fiducia, gli elementi di pensiero e pratiche progressiste sparsi per il pianeta. In pochi giorni due duri colpi a questo genere di ideologia arrivano da due paesi, gli Usa e il Brasile, che nella prima e nella seconda metà della scorsa decade avevano nutrito la punta di diamante di quell’immaginario e di quel corpo di convinzioni.

Il primo viene da Obama, il nobel per la pace più bombardiere della storia, che è partito dall’alleanza con il social network alle elezioni per arrivare a spiarli come pratica prevalente e intensiva. Il secondo viene dal partito dei lavoratori (sic) al potere in Brasile, dove il governo che si voleva entro un processo di mediazione tra movimenti, bilancio partecipato, grande business industriale e delle infrastrutture e crescita della borsa di Rio si è trovato di fronte a manifestazioni imponenti composte da praticamente ogni strato della società brasiliana escluso quello dei ricchissimi.

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9 Giugno, 2013

Mario Tronti, Sul concetto di crisi

by gabriella

Una sintesi dei passaggi più significativi di Parola chiave, Crisi, tratto da Centro per la riforma dello stato.

Nel 1980, per il numero di aprile-maggio, La Rivista, diretta da Walter Pedullà, manda in stampa un numero monografico con il titolo “La crisi del concetto di crisi”. Marco d’Eramo invia un breve testo che istruisce ilTucidide tema. Le risposte sono di personaggi più che significativi: tra gli altri, Jacques Attali, Julien Freund, Emmanuel Le Roy Ladurie, Edgar Morin, René Thom. Molto gustoso un passaggio della proposta di d’Eramo:

“Mentre si apre il penultimo decennio di questo millennio, la ‘Crisi’ è uno strumento che basta a evocare l’Emergenza, l’Unità- Nazionale, l’Austerità, lo Sforzo-Collettivo. È il miraggio di una Nuova-Era, di una Società-Più-Umana. È il preludio della Catastrofe, la consorte del Riflusso. Una volta la lingua era più ricca. Spengler parlava di Declino o Tramonto (dell’Occidente), Horkheimer di Eclissi (della Ragione)”.

Si parla di noi, della nostra attuale crisi, come ne parlano gli interpreti, che sono poi, come si sa, i responsabili stessi della crisi. La prima preoccupazione dovrebbe essere quella di non parlarne in questi termini. Che la crisi sia di natura economico-finanziaria, non c’è dubbio. Che se ne possa dire nella sola lingua dell’economia e della finanza, questo è molto dubbio.

Riportiamo allora il concetto di crisi alla sua storia di lunga durata. Utilizziamo alcuni spunti del fascicolo sopra citato. Tucidide riprende la crisi sia da Ippocrate, nel senso medico, come improvviso cambiamento in un corpo, sia da Sofocle, nel senso teatrale, come rappresentazione del trauma.

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2 Giugno, 2013

Pierfranco Pellizzetti, Foucault interprete di Nietzsche

by gabriella

Nietzsche-FoucaultTraggo da Micromega questa utile introduzione alla tematica foucaltiana dei processi di veridizione del potere e alla loro originaria ispirazione nietzschena.

Un grande terzetto di fantasiosi studiosi
tedeschi, Nietzsche, Marx e Freud ha distrutto
il XX secolo dal punto di vista morale così come
Einstein, bandendo il moto assoluto, lo ha distrutto
cognitivamente e Joyce, bandendo la narrazione
assoluta, lo ha distrutto esteticamente.
Clifford Geertz

Scrollatevi di dosso le catene come la rugiada
caduta su di voi durante il sonno.
Siete molti, e loro sono pochi!
Percy Bysshe Shelley

Scrive Marco D’Eramo nell’ultimo numero di MicroMega:

«come raccomandava in continuazione ai suoi allievi Pierre Bourdieu, i termini della politica vanno considerati non solo strumenti, ma poste in gioco della lotta politica. Quando nel Settecento Voltaire e Diderot si impossessarono della luce, della chiarezza (si definirono illuministi) e relegarono gli avversari nell’oscurità (“i secoli bui”), avevano già vinto la partita».

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1 Giugno, 2013

Giorgio Fazio, Il doppio volto dell’alienazione. La nuova teoria critica di Rahel Jaeggi

by gabriella

Nel primo artkippbilder-3icolo della rubrica Kippbilder. Attualità filosofica dalla Germania, ospitato dal Rasoio di Occam, la nuova teoria dell’alienazione proposta da Rahel Jaeggi in Entfremdung, Zur Aktualität eines sozial-philosophischen Problems.

antonioniIn questo testo del 2005, l’autrice ripensa in senso antiessenzialista  – e in ciò certamente più marxiano del Marx dei Manoscritti un’alienazione intesa non più come lontananza da una presunta autenticità originaria, ma come perdita di controllo da parte dei «soggetti – individuali o collettivi – sulle proprie azioni [e, dall’altra, come] l’impossibilità di questi soggetti d’identificarsi in maniera ricca di senso con ciò che fanno e con coloro con cui lo fanno». Congedandosi da Hegel ed Heidegger, Marcuse e Fromm, l’alienazione di Jaeggi si confronta così con i processi di soggettivazione e con le possibilità di autodeterminazione attivabili nella tarda modernità.

Al pari di altri termini fondamentali della letteratura filosofica del Novecento, anche il concetto di “alienazione” ha subito negli ultimi decenni un processo di progressivo eclissamento dal dibattito teorico e politico, che solo negli ultimi anni sembra, in parte, essersi arrestato. Questo processo di marginalizzazione risulta tanto più evidente quanto più si richiama alla memoria la centralità rivestita da questo concetto nel dibattito filosofico, politico e culturale del XX secolo. La critica dell’alienazione non è stata infatti soltanto uno dei capisaldi teorici del “marxismo occidentale” e della prima teoria critica francofortese, nonché, su un altro versante della filosofia novecentesca, dell’esistenzialismo tedesco e francese. Nella seconda metà del Novecento, questa modalità di critica filosofica delle forme di vita moderne è assurta a vessillo di un’intera stagione politica e culturale. Essa ha costituito la fonte d’ispirazione di opere letterarie, artistiche, cinematografiche ed è divenuta una lente di analisi politica, sociologica e psicologica che è entrata a far parte del linguaggio comune.

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2 Aprile, 2013

Eleonora de Conciliis, Destino e denaro

by gabriella

criminalita-organizzata

Da Kainós, una sociologia della criminalità organizzata di rara finezza volta ad indagare le trasformazioni delle forme di vita criminale nel tardo capitalismo.

1. Le riflessioni che seguono non vogliono essere squisitamente filosofiche, né vagamente sociologiche, e neppure provocatoriamente politiche, ma, in senso foucaultiano, genealogiche. È stato infatti Michel Foucault ad aver fornito, in Sorvegliare e punire (1975), la più acuta ricerca genealogica sull’origine della prigione moderna, ed è nella sua produzione degli anni settanta che possiamo trovare ancor oggi spunti fecondi per analizzare le forme di vita criminali, le ‘vite degli uomini infami’ che proliferano nell’epoca contemporanea1. Tuttavia, per ragioni non solo espositive2, mi servirò inizialmente di una nozione proveniente dalla sociologia di Pierre Bourdieu, applicandola con una certa disinvoltura metodologica al mondo della criminalità organizzata: la nozione di campo.3

Tra le numerose definizioni che Bourdieu ci ha lasciato del concetto di campo, ne ho scelta volutamente una coniata per il campo politico, in quanto risulta assai compatibile sia con l’analisi foucaultiana del nesso sistematico legalità-crimine (capace dunque di indicare l’intimo intreccio tra economia politica e mafia), sia con il funzionamento delle strutture ‘chiuse’ del potere pastorale, siano esse religiose, militari, politiche o para-politiche (ordini, sette, brigate e reparti di un esercito, partiti e ‘famiglie’ mafiose). Secondo il sociologo francese, il campo è infatti un

“microcosmo, ossia un piccolo mondo sociale relativamente autonomo nel mondo sociale più grande. […] Autonomo, secondo l’etimologia, vuol dire che ha una sua propria legge, un suo proprio nomos, che detiene al suo interno il principio e la regola del suo funzionamento. È un universo nel quale sono all’opera criteri di valutazione a lui propri e che non hanno valore nei microcosmi vicini. Un universo obbediente alle proprie leggi, che differiscono da quelle del mondo sociale ordinario. Chi [vi] entra deve operare una trasformazione, una conversione e, anche se quest’ultima non gli appare come tale, anche se egli non ne ha coscienza, gli è tacitamente imposta, in quanto un’eventuale trasgressione comporterebbe scandalo o esclusione”.4

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19 Gennaio, 2013

Michel Foucault, Che cos’è il nostro presente

by gabriella

 

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19 Gennaio, 2013

Michel Foucault, Libertà e liberalismo

by gabriella

biopolitica e liberalismo

L’analisi di Foucault sul ruolo della libertà nella governamentalità liberale e sul suo rovescio fatto di rischio, insicurezza, controllo, tratto da una raccolta di suoi scritti ed interventi dal 1975 al 1984.

Non bisogna credere che la libertà sia un universale che subirebbe, attraverso il tempo, una progressiva realizzazione o delle variazioni quantitative o delle amputazioni più o meno gravi, delle occultazioni più o meno rilevanti. Essa non è un universale che si specificherebbe nel tempo storico e nello spazio geografico. La libertà non è una superficie bianca con delle caselle nere più o meno numerose, sparse qua e là, di tanto in tanto. La libertà non è mai altro – ma è già abbastanza – che un rapporto attuale tra governanti e governati, in cui la misura della scarsa libertà esistente è data dalla maggiore libertà richiesta.

Sicché, quando dico liberale non intendo una forma di governamentalità che concederebbe un maggior numero di caselle bianche alla libertà. Se impiego il termine liberale è innanzitutto perché la pratica di governo che viene messa in campo (nel XVIII secolo) non si limita a rispettare questa o quella libertà, a garantire questa o quella libertà. Essa è, in un senso più profondo, consumatrice di libertà, poiché può funzionare solo nella misura in cui c’è effettivamente un certo numero di libertà: libertà di mercato, libertà del venditore e del compratore, libero esercizio del diritto di proprietà, libertà di discussione, eventualmente libertà d’espressione.

La nuova ragione governamentale ha dunque bisogno di libertà. La nuova arte governamentale consuma libertà, vale a dire che è costretta a produrla, è costretta ad organizzarla. La nuova arte di governo si presenterà perciò come gestione della libertà, non nel senso dell’imperativo “sii libero”, con l’immediata contraddizione che questo imperativo può comportare. Non è il “sii libero” che viene formulato dal liberalismo. Il liberalismo formula semplicemente questo:

“io produrrò di che farti essere libero. Farò in modo che tu sia libero di essere libero”.

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