Adriano Prosperi, La mia liberazione
La riflessione di Adriano Prosperi sulla Resistenza e sulla Liberazione. Tratta da Micromega.
La mia liberazione avvenne il 2 settembre del 1944. L’Italia è lunga da risalire. L’esercito alleato, a lungo attestato sul confine della riva sinistra dell’Arno, quel giorno lo superò e arrivò nel nostro paese. Erano attesi da giorni. La notte prima nessuno dei molti abitanti della collina aveva dormito tranquillo. Si trattava di circa due decine di sfollati dalle città vicine, di diversa cultura e condizione sociale, uniti a quel pugno di contadini che ci risiedevano da sempre, condividendo tutto con loro e maturando relazioni anche intense e durevoli di solidarietà umana e politica. Il piccolo nucleo della mia famiglia – una madre, una nonna – dormì non sui letti consueti ma su un giaciglio di coperte stese per terra in cantina, a due passi dal rifugio scavato dietro la casa, dove mio padre faceva la guardia, con le armi a portata di mano.
25 aprile, la differenza tra libertà e liberazione
Nella versione di Gazebo.
Gazebo, Festa della Liberazione
Oggi è il #25aprile…#gazeboliberazione
Publié par Gazebo sur mardi 25 avril 2017
Schopenhauer
E’ davvero incredibile come insignificante e priva di senso, vista dal di fuori, e come opaca e irriflessiva, sentita dal di dentro, trascorra la vita di quasi tutta l’umanità.
E’ un languido aspirare e soffrire, un sognante traballare attraverso le quattro età della vita fino alla morte, con accompagnamento d’una fila di pensieri triviali.
Gli uomini somigliano a orologi che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; ed ogni volta che un uomo viene generato e partorito, è l’orologio della vita umana di nuovo caricato, per ripetere ancora una volta, fase per fase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica già infinite volte suonata.
Sei lezioni sul Mondo come volontà e rappresentazione: la gnoseologia, la metafisica, l’estetica e l’etica scopenhaueriane. In coda i paragrafi 67 e 68 del Libro IV dedicati alla compassione universale.
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Indice
1. La reazione ad Hegel
1.1 L’irrazionalismo tragico vs il panlogismo hegeliano
1.2 La filosofia come domanda sul dolore, non sull’essere
2. Il mondo come rappresentazione
2.1 Kantismo e Upaniṣad in Schopenhauer: il Velo di Maya
3. Il mondo come volontà
3.1 L’accesso al noumeno attraverso il corpo
3.2 L’essenza metafisica del mondo è il Wille zum Leben, la volontà di vita
3.3 Il mondo come gigantesco pasto
4. Dalla metafisica all’etica; servitù dell’intelletto e liberazione
5. Arte ed etica come vie di liberazione
6. Il problema della libertà e la liberazione della volontà
6.1 La compassione universale
6.2 Fëdor Dostoevskij, La compassione di Sonja
Karl Marx, Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico. Testo commentato
La critica non è una passione del cervello, essa è il cervello della passione. […] Essa non si pone più come fine a se stessa, ma ormai soltanto come mezzo. Il suo pathos essenziale è l’indignazione, il suo compito essenziale è la denuncia.
La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. […]
Karl Marx
Marx scrive l’Introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico nel 1843 quando, dopo essere fuoriuscito dalla Prussia la cui censura aveva vietato le pubblicazioni della Gazzetta Renana di cui era redattore, fonda a Parigi, con altri giovani hegeliani, gli Annali franco-tedeschi (Deutsch-Französische Jarbücher) di cui sarebbe uscito solo il primo numero (marzo 1844).
E’ in questo testo che il filosofo venticinquenne delinea il nuovo compito della filosofia e produce la celebre critica della religione quale indispensabile premessa per ogni critica dell’esistente. Sempre in questo testo, Marx usa per la prima volta i concetti di «rivoluzione» e «proletariato», spiegando perché la liberazione di una classe (una parte della società) e il rovesciamento della società borghese significhino la liberazione dell’intera umanità e la premessa per la creazione di una società libera e senza classi. Sotto il testo è leggibile l’analisi svolta in classe, evidenziata in verde e condotta sui primi paragrafi e sulla parte finale dell’opera.
Per la Germania, la critica della religione nell’essenziale è compiuta, e la critica della religione è il presupposto di ogni critica.
Dopo Feuerbach, la critica della religione, nei suoi elementi portanti è da ritenere conclusa: la teologia è adesso consapevolmente ricondotta all’antropologia, cioè proiezione dell’uomo (delle sue qualità) in Dio (dove queste qualità sono ipostatizzate ed esteriorizzate). La religione è dunque alienazione (patologia psichica che pone l’individuo di fronte a se stesso, ma nell’incapacità di riconoscersi).
Capire questo aspetto è, secondo Marx, il presupposto di ogni critica; nessuna critica può infatti essere avanzata se si considera vera la religione e naturali, cioè posti da Dio, l’ordine naturale e l’ordine sociale. Marx prosegue qui la critica dell’esistente iniziata già nella tesi di laurea sulle filosofie di Democrito e Epicuro.
Henry David Thoreau, Disobbedienza civile
Uno stralcio del saggio introduttivo di Dario Antiseri all’edizione RCS [Milano, 2010] di Civil Disobedience A Plea for Captain John Brown, testo fondativo della resistenza civile e prima teorizzazione contemporanea [dopo l’Apologia di Socrate, l’Antigone e il Vindiciae contra tyrannos (1573)] della necessità di opporsi ad una legge ingiusta perché, come aveva osservato Hume,
«la libertà non si perde tutta in una volta, e questo vale anche per la dignità e la giustizia».
La puntata dedicata alla disobbedienza civile di Tutta l’umanità ne parla.
È con vero entusiasmo che sottoscrivo il motto: «Il miglior governo è quello che governa meno». Mi piacerebbe che fosse realizzato il più rapidamente e sistematicamente possibile. In realtà si riduce a questo, che il miglior governo «è quello che non governa affatto» e anche in ciò credo fermamente.
La prigione, in uno stato schiavista, è l’unica dimora
ove un uomo libero possa abitare con onore.D. H. Thoreau, Civil Disobedience
Henry David Thoreau nasce a Concord, nel Massachusetts, il 12 luglio 1817 dove morirà di tisi il 6 maggio 1862. Terzo dei quattro figli di John Thoreau e Cynthia Dunbar, segue la famiglia prima a Chelmsford e poi a Boston, per ritornare infine a Concord nel 1823. Nel 1833 riesce a entrare all’Harvard College, dove studia matematica, lingue e letteratura tedesca. Dopo la laurea nel 1837, fonda una scuola privata, la Concord Academy. E ha modo di diventare amico e discepolo del filosofo trascendentalista Ralf Waldo Emerson (1803-1882) il quale viveva a Concord sin dal 1834.
«Ciò che chiamiamo trascendentalismo — scriveva Emerson – non è che l’idealismo: l’idealismo così come appare oggi, nel 1842».
Pietro Cataldi, Encomio della scuola pubblica
Le domande di un pastore
Nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Leopardi affida alla voce di un pastore nomade le grandi domande sul senso della vita e dell’universo. Solo, sotto il cielo stellato, il pastore tenta di spiegare la condizione umana, il ripetersi dell’esistenza di generazione in generazione, il succedersi dei giorni e delle notti, il susseguirsi delle stagioni; cerca di capire il perché del dolore e di quell’inquietudine angosciosa definita dalle parole “tedio” e “fastidio”, un’inquietudine che è infine tutt’uno proprio con il bisogno di senso. La spiegazione è tentata dapprima guardando la vita dal punto di vista della luna, dall’alto, e poi guardandola invece dal punto di vista delle pecore, dal basso. Il punto di vista del pastore è per così dire impregiudicato, e spregiudicato: non ci sono un’ideologia, una religione, un sistema filosofico, una qualunque petizione di principio che impongano una direzione alla ricerca: l’importante è dare un significato alla condizione degli uomini e al rapporto che gli umani hanno con l’universo. Ebbene: Leopardi pone così, con un linguaggio semplice e diretto ma anche con la massima serietà e radicalità, le più grandi questioni filosofiche affrontate nei secoli da tutte le civiltà e tutte le culture.
Moni Ovadia, Sull’identità ebraica
Nel testo dell’intervista Perché lascio la mia comunità ebraica, rilasciata a Il Manifesto e pubblicata il 9 novembre 2013, Moni Ovadia espone la sua visione dell’ebraismo, quale religione fondativa dell’universalismo e del nucleo originario dell’idea di giustizia sociale. Uno spirito che Israele avrebbe da tempo abbandonato, secondo l’attore, abbracciando un sinistro «ein Folk, ein Reich, ein Land», in virtù del quale persegue il genocidio palestinese.
Lunedì scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico.
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