Posts tagged ‘NEET’

13 Giugno, 2016

Federico Batini, NEET

by gabriella

neetLa rivista Lifelong Lifewide Learning ha dedicato il numero 26 alle categorie emergenti di Neet e Dropout inserendoli nel più ampio discorso della crisi economica. Essa ha influito negativamente soprattutto sui giovani, i quali sono infatti prevalentemente occupati con contratti atipici e questo spiega perché sono anche i primi a perdere il lavoro, quando la situazione economica tende al peggioramento.

Il termine Neet è un acronimo inglese: Not engaged in Education, Employment or Training. Fu il governo del Regno Unito ad utilizzarlo per indicare tutti quei soggetti tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati in alcun percorso di istruzione e formazione né nel lavoro (o in percorsi assimilabili). Secondo i dati OCSE del 2012 si evidenzia come la performance peggiore, per la più alta percentuale di Neet, sia del Messico, mentre al secondo posto è stata collocata l’Italia. Nel nostro paese la situazione è di due milioni e quattrocentomila, in continua crescita; di questi solo il 28% cerca di fare qualcosa per trovare un’occupazione. In base al rapporto Istat “Noi Italia 2011, cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo” definiamo Neet i giovani che non lavorano, non studiano e non risultano iscritti a corsi riconosciuti dalla Regione di durata non inferiore a 6 mesi o 600 ore.

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11 Novembre, 2012

La condizione giovanile nella vulgata di destra

by gabriella

La colpevolizzazione e l’odio per chi non ce la fa, in quanto inutile zavorra di una società altrimenti prospera, sono gli elementi che rendono riconoscibile, al di là degli schieramenti, la sociopatia ideologica dei protagonisti degli ultimi governi italiani. Dopo il “capitalismo compassionevole” à la Bush, la stigmatizzazione degli esclusi si adatta meglio ai tempi di crisi.

Vivete coi genitori? “bamboccioni” (Padoa Schioppa);

Siete dei “Neet”? “lazzaroni” (Vittorio Feltri);

Non siete ancora laureati? “sfigati!” (il viceministro Martone);

Siete alla ricerca di prima occupazione? “Andate ai mercati a scaricare cassette” (Brunetta);

Cercate un lavoro? “Non siate choosy” (Fornero);

Volete un consiglio? “L’agricoltura rende le persone sempre giovani…” (Fornero);

Non trovate lavoro? “Per forza, lo cercate accanto a mammà” (Cancellieri);

Ancora non lavorate? “poveri disgraziati” (Brunetta);

Siete precari? “L’Italia peggiore” (Brunetta);

Guadagnate 500 euro al mese? “Sfigati” (Straquadanio);

Cercate un posto fisso? “Che monotonia” (Monti);

Lo avete trovato, ma nel pubblico impiego? “fannulloni!” (Brunetta);

Lo state ancora cercando, non più giovanissimi? “generazione perduta” (Monti).

28 Settembre, 2012

Roberto Ciccarelli, Rapporto OCSE sulla scuola italiana: la bolla formativa è esplosa

by gabriella

Il Rapporto OCSE 2011 sulla scuola italiana fotografa con impietosa chiarezza i risultati delle politiche dell’istruzione degli ultimi vent’anni, dal berlingueriano 3+2 all’inasprimento gelminiano del numero chiuso. Il risultato è stato, non sorprendentemente, l’esclusione da scuola e lavoro per un giovane (19-25enne) su 4.

Penultimi nella classifica Ocse per la spesa pubblica nell’istruzione (il 4,7 per cento del Pil, contro una media del 5,8) OCSE, Education at a glance 2011 (versione italiana). I docenti della scuola (età media 50 anni) che percepiscono un reddito decisamente più basso rispetto ad altri lavoratori con un’istruzione universitaria. Nel dodicesimo rapporto Ocse Education at a glance presentato ieri a Parigi l’Italia si piazza al 24° posto (su 27 paesi) per gli insegnanti della primaria, al 23° per le superiori. La percentuale dei suoi laureati resta tra le più basse dell’area che riunisce i paesi più industrializzati: tra i 25 e i 64 anni sono il 15 per cento, contro una media Ocse del 31 per cento. Tutto questo mentre la disoccupazione aumenta significativamente tra i laureati (5,6 per cento), ma non tra i diplomati.

Nel paese del precariato di massa, e dei redditi sotto della soglia di povertà, l’Ocse conferma che nessuna istituzione, né tanto meno il mercato del lavoro, garantiscono ai laureati una retribuzione dignitosa, né un lavoro adeguato alla loro preparazione. È il ritratto più sincero che raramente è capitato di leggere nelle dichiarazioni dei governi in questa legislatura, per non parlare di quelle precendenti. Quella dell’esplosione della bolla formativa è una storia recente, che si può tradurre in una sola parola: fallimento.

La favola del «3+2»

Fallimento, ad esempio, della riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 che varò il cosiddetto «3+2», tra le mirabolanti promesse della «società della conoscenza» in cui il centro-sinistra prodiano credeva fermamente. «Un’occasione mancata – l’hanno definita i tecnici Ocse – colpa anche della contrazione dei posti nella dirigenza delle pubbliche amministrazioni, che erano in passato lo sbocco privilegiato per i vostri laureati, e del boom di offerta di corsi i cui profili non trovano corrispondenza sul mercato».

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22 Gennaio, 2012

Ilvo Diamanti, Giovani senza luogo e senza età

by gabriella

Bussole

I giovani sono la categoria sociale più definita e per questo più in-definita del nostro tempo. Oggetto di una molteplicità di tentativi di catturarli con una formula, una parola, un titolo. E quindi oscurati da una nebbia lessicale e semantica. Io stesso ho partecipato a questo inseguimento, nel passato più o meno recente. Ma ora tutte le definizioni, tutte le formule, tutte le parole, tutti i titoli vertono su un solo aspetto: il lavoro, o meglio, il non-lavoro. E sulla variante della precarietà. D’altronde, l’Istat stima oltre il 30% il tasso di disoccupazione giovanile (che sale al 50% nel Mezzogiorno). Il più alto dell’Eurozona. Le statistiche ufficiali, inoltre, valutano il peso dei lavoratori atipici e irregolari oltre il 30% tra i giovani (e intorno al 15% nella popolazione). Anche se aggiungono – nell’ultimo anno pare che, in Italia, anche il lavoro atipico sia diminuito. E non è una buona notizia, ma il segno – e la conseguenza – della crisi, che sta riducendo l’occupazione di tutti i generi: formale o informale, stabile o flessibile, tipica o atipica che sia.

Per questo, il fenomeno più adatto a raffigurare la posizione dei giovani del nostro tempo, probabilmente, è quello dei “Neet” (l’acronimo che riassume la definizione inglese: Not in Education, Employment or Training). Quelli che “non” lavorano e “non” studiano. E non sono neppure impegnati attività di “formazione” e “apprendistato”. Una sorta di  generazione “non”. Priva, per questo, di identità. Perché se “non” sei studente e neppure lavoratore, semplicemente, “non” esisti. Resti sospeso nell’ombra. Senza presente né futuro.

Ebbene, i giovani (tra 15 e 29 anni) che si trovano in questa posizione – ambigua e periferica – sono oltre 2 milioni e 200 mila. Il 22%. Pesano particolarmente fra le donne e nel Sud. Ma disegnamo, comunque, un’area multiforme, per profilo socio grafico e motivazionale. Dove coabitano diverse componenti. Soprattutto e anzitutto, giovani “costretti” a restare sulla soglia, in bilico. Perché hanno concluso gli studi e non trovano un lavoro, neppure precario. Giovani che hanno perduto il lavoro  –  più o meno precario  –  e non ne trovano un altro  –  né tipico né atipico. Ma anche giovani che, finiti gli studi, preferiscono guardarsi intorno  –  fare esperienze, viaggiare, fermarsi a pensare – prima di entrare nel mercato del lavoro. Prima, magari, di ri-entrare nel sistema formativo. E altri ancora che preferiscono fermarsi  –  almeno per un poco. In attesa  –  e nella speranza – che qualcosa cambi. Visto che l’offerta del “mercato” non li soddisfa nemmeno un poco. Anzi…

È la generazione del “non”. Una “non” generazione. (Ma per carità, non usatela come un’altra definizione. È una “non” definizione). Una generazione “accantonata”, provvisoriamente, dagli adulti che non sanno come comportarsi con i giovani. I loro figli. Per quanto possibile, li tutelano e li proteggono. E, al tempo stesso, li controllano, frenano la loro voglia di rendersi autonomi. È una generazione di giovani che faticano a crescere. Perché gli adulti e gli anziani (ammesso che qualcuno sia ancora disposto a dichiararsi tale) li vogliono così: eterni adolescenti. E i giovani – una parte di loro, almeno – si adeguano a questo status. A questo limbo. A questa in-definitezza. Così, un giorno, davanti allo specchio, rischiano di scoprirsi già vecchi. O meglio: anziani.
Pardon: senza età.

Sospesi. In un tempo senza tempo e in un luogo senza luogo.

Questa Bussola, con qualche variazione, è stata scritta per “UniurbPost” (numero otto, gennaio 2012), magazine online d’Ateneo dell’Università di Urbino “Carlo Bo”.

http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2012/01/20/news/giovani_senza_luogo_e_senza_et-28479606/?ref=HREC2-3

15 Gennaio, 2012

Salvio Intravaia, La dispersione e l’insuccesso scolastico oggi

by gabriella

Nelle statistiche vanno sotto le voci di dispersione e insuccesso: ma il fenomeno sta diventando un vero allarme per la scuola italiana. I numeri negli anni crescono, e il ministero pensa a organizzare azioni di recupero [aggiornamento del del 15 novembre: “pensa di organizzare azioni di recupero tagliando i fondi per il miglioramento dell’offerta formativa” (ddl. stabilità), cioè quei fondi utilizzati dalle scuole per organizzare corsi di recupero e attività di rimotivazione allo studio.

13/01/2012
la Repubblica

La lotta alla dispersione scolastica sarà una delle 10 priorità del governo Monti per la scuola. Lo ha assicurato il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, illustrando le linee guida del suo dicastero in commissione Cultura alla Camera. Il “recupero delle aree scolastiche più compromesse” attraverso “interventi specifici di rafforzamento delle conoscenze e competenze irrinunciabili, ai fini della riduzione dell’insuccesso formativo, della dispersione e dell’abbandono scolastico”, è considerato uno degli obiettivi strategici per rafforzare il sistema di istruzione nazionale.

Per evitare fughe premature dalle scuole di ogni ordine e grado, che consegnano al mondo del lavoro giovani con scarse capacità di imporsi per i bassi livelli di istruzione  –  al massimo il diploma di terza media e non più in formazione, come avviene per i Neet  -, si può pensare “all’apertura delle scuole per tutto l’arco della giornata e al supporto di personale esperto, attuati in sinergia con il ministero della Coesione territoriale per l’immediato recupero della capacità di spesa delle regioni meridionali più carenti”.

Ma cosa si intende per dispersione e insuccesso? E quali sono i numeri che le descrivono? Ogni anno sono oltre 400 mila gli studenti della scuola secondaria che vanno incontro ad una bocciatura, abbandonano i banchi di scuola facendo perdere le proprie tracce o non vengono neppure scrutinati per le troppe assenze. L’ultima rilevazione sulla dispersione effettuata dal ministero, allora della Pubblica istruzione, risale all’anno scolastico 2004/2005. Da allora, il silenzio più assoluto. E oggi? La dispersione scolastica complessiva  –  somma di bocciati e abbandoni  –  si è addirittura incrementata. Sei anni fa, alla media si contava il 2,7 per cento di bocciati e l’11,4 per cento al superiore. Il tasso di abbandono era pari allo 0,2 per cento alla media e all’1,5 al superiore. In totale, tra abbandoni “non formalizzati” e bocciature si contavano 2,9 “dispersi” su cento alunni alla media e 12,9 “dispersi”, sempre su cento, al superiore.

Nel 2011, la situazione si è aggravata: alla media la sola quota di bocciati sale al 4,6 per cento e al 12,7 per cento al superiore. Ma occorre sommare la quota di non scrutinati, e quindi bocciati, per le troppe assenze che nel 2004/2005 venivano contabilizzati fra i bocciati: 0,7 per cento alla media e 1,3 per cento al superiore. Se si aggiungono gli abbandoni “senza lasciare traccia”  –  0,2 per cento alla scuola media e 0,9 al superiore  –  la dispersione sale al 5,5 per cento alla media e al 14,9 al superiore: e sono 434mila studenti. L’allarme del ministro è più che appropriato.


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