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1 Novembre, 2011

Francesco Codello, Irene Stella, Liberi di imparare

by gabriella

Questo libro ha l’ambizione di inserirsi nella tradizione pedagogica antiautoritaria, da Neill a Illich. Sono dunque andata a sentire la presentazione … Qui l’introduzione del libro, qui un articolo di Irene Stella e, qui una parte del libro che tratta il tema dei voti.

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Eravamo una ventina e la minuscola libreria non ci conteneva tutti, così ci siamo spostati nella sala thé di un bar vicino. Introduzione della coautrice accattivante; il dibattito prende subito una piega: si tratta di capire se esperienze di pedagogia libertaria esistono o sono possibili nella scuola pubblica statale o se la scuola libertaria propugnata da Francesco Codello e Irene Stella sia un’altra scuola della retta per pochi e dei voucher, che auspica e si prefigge il ridimensionamento della scuola pubblica.

Anche alla luce della struttura del libro e delle interviste che contiene, credo che la coautrice non si aspettasse di dover rispondere a domande di questo genere, ma di dover convincere piuttosto il proprio pubblico che dell’autoritarismo, della valutazione e della rigida programmazione si può fare a meno. Irene Stella parte infatti dalla forte convinzione che la scuola pubblica non possa ospitare esperienze di libertà e che gli insegnanti che ci lavorano non siano spinti a rinnovare le proprie conoscenze, metodi e proposte didattiche (memorabile il suo “gli insegnanti che lavorano in queste scuole non stanno a scuola per più di 3 giorni a settimana, sono talmente impegnati a migliorare il proprio insegnamento che non potrebbero sopportare un carico di lavoro maggiore”. Già, è quella cosa che facciamo aggiungengendo alle 18 ore di cattedra un numero infinito di ore di studio di cui ormai non si ricorda nemmeno chi, per statuto, dovrebbe difendere la categoria).

Per quanto mi riguarda, credo che le migliori esperienze pedagogiche non valgano la perdita di una scuola democratica e genuinamente di massa, quale è stata quella statale fino a poco tempo fa. Scuole per pochi, di eccellente qualità, sono già presenti, soprattutto all’estero, dove la tradizione della pedagogia di classe, della scuola lockeana del gentleman contrapposta a quella del volgo (working school) ha già 3 secoli di storia (e l’home schooling indicato dalla scuola libertaria ne è la diretta continuazione).

La scuola italiana manca completamente di questa esperienza storica, mentre ha avuto i suoi momenti di gloria nell’alfabetizzazione popolare postunitaria e nella scolarizzazione di massa degli anni ’60, realtà che potevano essere duramente criticate da maestri come Dolci e don Milani proprio perchè erano opportunità reali che si volevano autentiche e accessibili a tutti (vale a dire che don Milani, in particolare, criticava lo scuola pubblica proprio perché si aspettava che facesse ciò che non faceva e che questa aspettativa era legittima perchè poggiava su principi e finalità codificati nella carta costituzionale).

Irene ha iniziato e concluso indicando nell’autostima e nella libertà i due cardini della scuola democratica. La scuola repubblicana in effetti ne ha altri due: cittadinanza e ugualianza. L’autostima e l’antiautoritarismo cerchiamo di ottenerli in questa scuola rattoppata mentre cerchiamo di insegnare a pensare a tutti quelli che entrano.

 

Perché boccio l’home schooling


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