Posts tagged ‘umanizzazione’

23 Giugno, 2017

Stefano Rodotà, Verso una società postumana. Vademecum per la felicità

by gabriella

Una sintesi della lezione tenuta il 23 aprile all’università di Perugia, pubblicata su Repubblica del 28 aprile 2015.

Nel 1950 Norbert Wiener pubblica le sue riflessioni su cibernetica, scienza e società, e sceglie come titolo L’uso umano degli esseri umani. Parole in cui si coglie l’eco di un tempo cambiato dalla bomba atomica, che indurrà nel 1956 Guenther Ander a dire che L’uomo è antiquato, e a scrivere:

«Come un pioniere, l’uomo sposta i propri confini sempre più in là, si allontana sempre più da se stesso; si “trascende” sempre di più — e anche se non s’invola in una regione sovrannaturale, tuttavia, poiché varca i limiti congeniti della sua natura, passa in una sfera che non è più naturale, nel regno dell’ibrido e dell’artificiale».

Questo congedo dall’umano era cominciato almeno un quarto di secolo prima.

Quando Julien Huxley aveva inventato il termine “transumanismo”, riferito poi alla «tecnologia che permette di superare i limiti della forma umana», molte trasformazioni sono già visibili, si parla del corpo come un nuovo “oggetto connesso”, una “nanobio- info-neuro machine”, che annuncia la fine dell’età umana. Quale spazio rimarrebbe per quell’attività umana che consiste nell’agire libero e nel dare regole all’agire? Scomparirebbero i diritti “umani”, e con essi i principi di dignità e eguaglianza? L’orizzonte si è dilatato, la definizione del postumano non è riferita solo alle innovazioni legate a biologia e genetica, ma è il risultato della convergenza di elettronica, intelligenza artificiale, robotica, nanotecnologie, neuroscienze. Alla realtà “aumentata” dall’elettronica si accompagna la prospettiva dell’uomo “aumentato”.

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3 Gennaio, 2014

Luigi Zoja, L’eclissi dei padri

by gabriella

Il gesto di Ettore - Luigi ZojaTraggo da Le parole e le cose questa interessante intervista a Luigi Zoja sull’identità maschile di cui lo psicanalista afferma con forza la natura costruita, in opposizione a quella femminile che vorrebbe “naturale”, perché sviluppatasi filogeneticamente durante l’evoluzione della specie (va detto che lo studioso cita qui Margaret Mead che sostenne però la tesi contraria). La tesi, quasi etologica, dello studioso è dunque che l’identità maschile è un prezioso portato culturale della civiltà umana (ammesso che ne esista una) attualmente in declino, mentre quella femminile sarebbe più salda, perché legata a forme di istintualità corporea che la renderebbero meno volatile.

Per iniziare questa nostra conversazione sulle forme ambivalenti dell’identità maschile, le chiederei di descrivere anzitutto la qualità peculiare che la differenzia dalla sua identità opposta, quella femminile.

Premetto che la tesi che sosterrò deriva dalla lettura delle opere di grandi scienziate, su tutte l’antropologa americana Margaret Mead e poi Helen Fischer, nota antropologa contemporanea. In poche parole la mia tesi è questa: se cerchiamo di ricostruire a tutti i livelli zoologici dell’evoluzione cosa possa essere definito ereditato e istintivo, vale a dire appartenente a noi in quanto corporeità animale, e cosa sia invece elaborato culturalmente, risulta chiaro che esiste una continuità del naturale nel femminile – anche solo per la simbiosi tra la madre e il piccolo. L’elemento materno è istintuale prima che culturale; e si tratta di un elemento molto profondo, se pensiamo che comincia a svilupparsi con i mammiferi, che compaiono sulla Terra circa 250 milioni di anni fa. (Questa generalizzazione non vale, però, se osserviamo i volatili, dove è molto frequente un nucleo familiare monogamo che per molti aspetti anticipa il nostro).

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