Valsusa

by gabriella

Sono un chiaro segnale di timore le denigrazioni e le accuse a Luca Abbà, ancora in un letto d’ospedale, al quale “Il Giornale” del 28 febbraio 2012 si è ignobilmente permesso di dare del “cretinetti”. Cresce la paura che una protesta ventennale che non accenna a piegare la testa possa parlare ai tanti che, pur non sapendo esattamente dove sia la Val di Susa, potrebbero cominciare a impararne la lingua. Un articolo di Paolo Baldeschi chiarisce perché. Prima però, il servizio realizzato da Sandro Ruotolo sullo sgombero della baita Clarea, la caduta dal traliccio dell’attivista NO TAV e i ritardi dei soccorsi, mentre le ruspe continuano a scavare.

In coda le ragioni del NO e l’appello a Monti firmato da oltre trecento esperti e un articolo dell’Economist sull’assenza di benefici economici del TAV e il fallimento delle politiche europee di sviluppo dei territori. Chiudono uno studio sui costi e il Libro nero (Ivan Cicconi) di questa “grande opera”, paradigmatica di scelte politiche caratterizzate dall’attitudine alla rapina, cecità per il bene comune e promozione della disinformazione: il TAV è ormai divenuto il simbolo della spoliazione e dell’occupazione violenta dei territori ai quali si chiede di subire il depauperamento delle risorse ambientali, la desertificazione delle attività economiche (paradossalmente, mentre di parla di sviluppo) e i danni alla salute dei cittadini che sono per giunta chiamati a pagarne i costi.

Questo, come affermava la signora padovana che ieri mattina ha telefonato a Prima pagina (radiorai3), significa «essere dominati, non più essere governati». Naturalmente, il conduttore Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, le ha tolto immediatamente la parola. La signora ha, infatti, colto implicitamente la connessione tra questo tipo di investimenti pubblici e la firma di Monti dell’altro ieri del fiscal compact, con la quale un paese in recessione si obbliga a conseguire il pareggio di bilancio mentre regala denaro pubblico (stimato per ora a oltre 50 miliardi di euro, il 2,6% dei quali a carico dell’UE) al malaffare (partitico-imprenditorial-mafioso) al costo di scuole, strade, ospedali, e qualità della vita dei cittadini.

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Paolo Baldeschi, TAV Val di Susa. Una battaglia rivoluzionaria per la democrazia

Una battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché le ragioni dei No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una ‘rivoluzione’ nel sistema partitico-imprenditoriale-tangentizio italiano. Tutto ciò è esaurientemente spiegato in Il libro nero dell’alta velocità di Ivan Cicconi. Il libro, documentato oltre possibile dubbio, spiega non solo le vicende, ma le ragioni strutturali di un affare, l’Alta Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo banco di finanziamento dei partiti, della casta e, Fiat in testa, dei capitalisti nostrani. E’ un sistema che sfugge a ogni controllo tecnico, contabile e di legittimità e si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è accaduto) il costo delle opere.

La chiave dell’architettura è il Project financing combinato alla Legge Obiettivo. Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010 sciolta in Rete ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo dell’opera, il sessanta i privati; i quali, però, di tasca propria hanno messo gli spiccioli, il resto se lo sono fatto prestare dalle banche, meglio se da loro partecipate. Ma non basta, perché per legge (obiettivo) il General Contractor dell’opera, soggetto privato scelto da Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle opere a imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare e cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti passando per la Lega delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della Fiat; il tutto senza gare d’appalto e via ‘per li rami’, cioè per sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia e della camorra.

Con una fondamentale clausola: che i privati sono concessionari dell’opera per la ‘realizzazione’, ma non per la ‘gestione’. Ciò significa che più alti sono i costi di costruzione, più si guadagna, mentre che l’opera fuzioni e faccia profitti non interessa. Come si è puntualmente verificato, con i nostri 60 milioni di euro a km contro i 10 di Spagna e Francia: una differenza che include ben altro che le gallerie e i viadotti. Un ultimo pregio: in quanto opera formalmente privata i debiti non vengono contabilizzati nel bilancio dello stato, ma di fatto le Ferrovie italiane e quindi lo stato ne garantiscono la solvibilità. La grande truffa è quindi un capolavoro politico-imprenditoriale per cui comandano i privati, pagano i contribuenti e guadagnano, oltre che gli imprenditori, i partiti, la casta, includendovi l’enorme numero di società di consulenza, advisors, esperti, progetti, consigli di amministrazione di società operative controllate, garanti, comitati, distribuiti in tutte le direzioni politiche.

Il risvolto tragico della vicenda è che l’alta velocità in Italia non serve, almeno non nel modello francese, ma piuttosto in quello tedesco o austriaco: velocità più ridotte, stazioni più frequenti, adeguamento del materiale rotabile esistente; con un unico difetto però: di costare troppo poco rispetto a faraoniche progettazioni di linee ferroviarie dedicate, sottoattraversamenti urbani – i cosiddetti ‘nodi’ – massicci acquisti di nuovo materiale rotabile. E, peggio ancora, la nostra alta velocità viene realizzata per tratte su cui è illusorio il pareggio di bilancio (ma la gestione, si è visto, non spetta ai privati): pagherà lo stato. Come a Val di Susa, dove, si sa, l’adeguamento del sistema ferroviario attuale sarebbe già ampiamente sovrabbondante rispetto alla domanda.

Insomma si distrugge il territorio, si inquina l’ambiente, si prosciugano fiumi e sorgenti, si trivellano le montagne e mettono a nudo rocce amiantifere, si mettono a rischio città e cittadini, tutto perché il sistema macini ancora guadagni sicuri per una cupola politico-affaristica e altrettanto sicuri debiti per le incolpevoli ‘generazioni future’.

Qui si dovrebbe vedere alla prova un governo serio non solo nell’immagine; che puntasse a uno sviluppo ben diverso da quello millantato delle grandi opere, aumentando l’occupazione e tagliando i costi; ma, anche se Monti avesse il coraggio di andare contro gli interessi del suo establishment, una mossa decisa verso la normalizzazione del sistema significherebbe, presumibilmente, il ritiro dell’appoggio al governo da parte di Pdl e Pd. Tutto ciò per ricordare, ancora una volta, che la battaglia dei no-Tav per la Val di Susa prima ancora che per la difesa sacrosanta del proprio ambiente di vita, è una battaglia ‘rivoluzionaria’ per una diversa democrazia. Ridurla a una cronaca di incidenti, come fanno non solo le testate televisive, ma anche gran parte della stampa, significa non avere compreso la vera posta del gioco; o farne parte.

La protesta del vicesindaco

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Marco Travaglio, Alta Voracità

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Landini a Servizio Pubblico: la protesta NO TAV è domanda di democrazia

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Servizio Pubblico, 1 marzo 2012

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Servizio Pubblico, 5 marzo 2012

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Le ragioni e l’appello della Val di Susa

gennaio 2012

Oggetto: Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino – Lione, Progetto Prioritario TEN-T N° 6, sulla base di evidenze economiche, ambientali e sociali.

Onorevole Presidente,

ci rivolgiamo a Lei e al Governo da Lei presieduto, nella convinzione di trovare un ascolto attento e privo di pregiudizi a quanto intendiamo esporLe sulla base della nostra esperienza e competenza professionale ed accademica. Il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenta per noi, ricercatori, docenti e professionisti, una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese. Ciò è tanto più vero nella presente difficile congiuntura economica che il suo Governo è chiamato ad affrontare.

Sentiamo come nostro dovere riaffermare – e nel seguito di questa lettera, argomentare – che il progetto1 della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, inspiegabilmente definito “strategico”, non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti.

Diminuita domanda di trasporto merci e passeggeri

Nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria, la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro.

Assenza di vantaggi economici per il Paese

Per quanto attiene gli aspetti finanziari, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’assenza di un effettivo ritorno del capitale investito. In particolare:

1. Non sono noti piani finanziari di sorta

Sono emerse recentemente ipotesi di una realizzazione del progetto per fasi, che richiedono nuove analisi tecniche, economiche e progettuali. Inoltre l’assenza di un piano finanziario dell’opera, in un periodo di estrema scarsità di risorse pubbliche, rende ancora più incerto il quadro decisionale in cui si colloca, con gravi rischi di “stop and go”.

2. Il ritorno finanziario appare trascurabile, anche con scenari molto ottimistici.

Le analisi finanziarie preliminari sembrano coerenti con gli elevati costi e il modesto traffico, cioè il grado di copertura delle spese in conto capitale è probabilmente vicino a zero. Il risultato dell’analisi costi-benefici effettuata dai promotori, e molto contestata, colloca comunque l’opera tra i progetti marginali.

3. Ci sono opere con ritorni certamente più elevati: occorre valutare le priorità

Risolvere i fenomeni di congestione estrema del traffico nelle aree metropolitane così come riabilitare e conservare il sistema ferroviario “storico” sono alternative da affrontare con urgenza, ricche di potenzialità innovativa, economicamente, ambientalmente e socialmente redditizie.

4. Il ruolo anticiclico di questo tipo di progetti sembra trascurabile.

Le grandi opere civili presentano un’elevatissima intensità di capitale, e tempi di realizzazione molto lunghi. Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi.

5. Ci sono legittimi dubbi funzionali, e quindi economici, sul concetto di corridoio.

I corridoi europei sono tracciati semi-rettilinei, con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali. Lungo tali corridoi vi possono essere tratte congestionate alternate a tratte con modesti traffici. Prevedere una continuità di investimenti per ragioni geometriche può dar luogo ad un uso molto inefficiente di risorse pubbliche, oggi drammaticamente scarse.

Bilancio energetico-ambientale nettamente negativo.

Esiste una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture (binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di traffico sottratti ad altre modalità. Non è pertanto in alcun modo ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza).

Risorse sottratte al benessere del Paese

Molto spesso in passato è stato sostenuto che alcuni grandi progetti tecnologici erano altamente remunerativi e assolutamente sicuri; la realtà ha purtroppo dimostrato il contrario. Gli investimenti per grandi opere non giustificate da una effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale. La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20 miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già avvenuto negli altri tratti di Alta Velocità realizzati), penalizzerebbe l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso ordine all’entità della stessa manovra economica che il Suo Governo ha messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria che il Paese attraversa. è legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico. Alcune stime fanno pensare che grandi opere come TAV e ponte sullo stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto debito/PIL del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito dall’intervento pubblico.

Sostenibilità e democrazia

La sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita unicamente al patrimonio naturale che diamo in eredità alle generazioni future, ma coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti. In questo senso, l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Århus2.

Per queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera.

Non ci sembra privo di fondamento affermare che l’attuale congiuntura economica e finanziaria giustifichi ampiamente un eventuale ripensamento e consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile, costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali, anche per evitare di iniziare a realizzare un’opera che potrebbe essere completata solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita del Paese.

Con viva cordialità e rispettosa attesa,

Sergio Ulgiati, Università Parthenope, Napoli

Ivan Cicconi, Esperto di infrastrutture e appalti pubblici

Luca Mercalli, Società Meteorologica Italiana

Marco Ponti, Politecnico di Milano

Riferimenti bibliografici: cfr. http://www.lalica.net/Appello_a_Monti

1 L’accordo del 2001 tra Italia e Francia, ratificato con Legge 27 settembre 2002, n. 228, prevede all’art. 1 che “I Governi italiano e francese si impegnano (…) a costruire (…) le opere (…) necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario merci-viaggiatori tra Torino e Lione la cui entrata in servizio dovrebbe avere luogo alla data di saturazione delle opere esistenti.” Non ostante la prudenza contenuta in questo articolo, i Governi italiani succedutisi hanno fatto a gara per dimostrare che la data di saturazione della linea storica era dietro l’angolo. I fatti hanno dimostrato il contrario, ma – inspiegabilmente – non vi sono segnali di ripensamento da parte dei decisori politici.

2 http://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/documents/cep43ital.pdf

Nota:

Solo i dati relativi al suo Nome, Cognome e Posizione che ci ha inviato tramite il Sito web http://www.notav.eu saranno utilizzati solo per la sottoscrizione dell’Appello per un ripensamento del progetto di nuova linea ferroviaria Torino–Lione al Presidente del Consiglio Mario Monti. Il suo indirizzo e-mail non sarà fornito a terzi.

Non forniremo in alcun caso i suoi dati a terzi.

Se ha domande su questo documento sulla privacy o sul trattamento delle Informazioni descritto, può contattarci all’indirizzo e-mail Webmaster NoTav.eu notav.eu@gmail.com

http://www.notav.eu/modules.php?name=ePetitions&op=more_info&ePetitionId=1

The Economist, Ecco perchè il TAV è un fallimento

Giovedì 01 Marzo 2012

Tutti gli argomenti pro-TAV vengono smontati in nome di un idolo difficilmente considerabile filo-ambientalista: la convenienza economica. Dunque l’Alta Velocità è troppo cara e lo stesso Regno Unito, secondo quei “fondamentalisti verdi” dell’Economist dovrebbe rivedere i suoi piani. Un articolo pubblicato a novembre ma sempre molto attuale.

I treni ad alta velocità raramente conseguono i vasti benefici economici che i suoi promotori prevedono. Il governo inglese – l’ultimo ad essere ingannato da questa visione della modernità – dovrebbe ripensarci. In questo momento ovunque si parla di alta velocità. Sei paesi hanno investito grosse somme nei treni “pallottola”: Giappone, Francia, Germania, Spagna, e, più recentemente, l’Italia e la Cina. Australia, Portogallo e Indonesia stanno considerando nuove linee. E il governo britannico sta valutando piani per 32 miliardi di sterline (52 miliardi di dollari) per collegare Londra al nord dell’Inghilterra.

Primo assunto da cui partire è: non è vero che l’alta velocità porti sviluppo in periferia. Anzi, ad arricchirsi sono i nodi ferroviari, come dimostrano gli esempi lontani, ma simili, di Parigi e Tokyo:

In effetti, nelle economie più sviluppate i treni ad alta velocità non riescono a colmare i divari fra le regioni e, talvolta, li aggravano. Migliori collegamenti rafforzano i vantaggi di una città ricca situata nel punto centrale della rete: le ditte in regioni prosperose possono raggiungere un’area più grande, finendo per danneggiare le prospettive dei luoghi più poveri.

Anche in Giappone, dove corre la linea ad alta velocità di maggior successo commerciale, Tokyo continua a crescere più rapidamente di Osaka. Le nuove linee ferroviarie spagnole hanno ingrossato le imprese di Madrid a discapito di quelle di Siviglia. La tendenza in Francia è quella di trasferire le sedi centrali a Parigi a svantaggio di altre località.

Per non parlare del danno incalcolabile che viene portato alle zone che vengono saltate dalla TAV in nome di una maggiore rapidità di collegamenti:

Anche se qualche città ne trae benefici, i restanti luoghi al di là della rete ferroviaria ne soffrono: la velocità è raggiunta parzialmente, al costo di ridurre le fermate, cosicché aree già ben servite dai servizi esistenti si trovano nuove linee che le escludono. Zone della Gran Bretagna, per esempio, temono che una nuova cerniera di ferrovia creerà città di secondo livello fornite da un minor numero di treni più lenti.

Inoltre, se il circolo delle merci lungo l’Alta Velocità ferroviaria potrebbe non portare grandi vantaggi economici globali, il servizio dato ai viaggiatori risulta in media troppo gravoso e poco concorrenziale. In pratica, conclude l’Economist, si finisce per far viaggiare dei treni passeggeri vuoti, pagati dalle tasche dei contribuenti e dove solo pochi ricchi possono accedervi (per risparmiare i soldi dell’aereo). Una prospettiva non proprio edificante.

Infine, il giornale britannico getta la maschera ed assume il viso del No Tav più militante: la soluzione più razionale sarebbe lo sviluppo delle reti già esistenti. E fa davvero impressione leggere argomenti – solitamente bollati come retorica Nimby dalla stampa nostrana – in bocca da uno dei più osannati giornali liberal mondiali:

Allo stato attuale, per la maggior parte dei posti, i benefici marginali di queste fantastiche conquiste dell’ingegneria, tradotti in termini di tempi di percorrenza ridotti, vengono soppressi dai costi elevati. E i costi di finanziamento riducono i fondi che potrebbero essere disponibili per schemi più semplici, ma più efficienti.

L’aggiornamento delle linee esistenti, delle reti più lente, soprattutto nei paesi più piccoli, spesso ha maggior senso. La capacità può essere aumentata con treni più lunghi e piattaforme estese. Alcune spaziose carrozze di prima classe possono essere convertite in quelle più compresse di seconda classe; una politica dei prezzi può razionare la domanda più efficacemente nelle ore di punta. Un sistema segnaletico migliore può aumentare la velocità media dei viaggi. I treni non ad alta velocità in Gran Bretagna, ad esempio, sono già più veloci degli equivalenti di molti altri paesi. Alcuni treni che attualmente viaggiano a 125 miglia all’ora potrebbero andare più veloci se la segnaletica venisse aggiornata – probabilmente per i politici è più allettante inaugurare un nuovo futuristico servizio che togliere la copertura ad un nuovo pannello di segnaletica!

Davvero una serie di argomenti su cui molti pro-Tav dovrebbero riflettere bene.

I costi del TAV

Il costo totale a preventivo stimato nel 2004 era di 38,1 miliardi di €, il costo totale a preventivo stimato nel 2007 è di 52, 6 miliardi di €, l’incremento per ora registrato è di 14,5 miliardi di € pari al 38,2%. Su questa linea sono già stati spesi (fino al 2006) 7,8 miliardi di €, restano quindi da spendere (dal 2007) 44,8 miliardi di €. Il finanziamento dell’Unione europea per il periodo 2007-2013 è previsto in 1,3 miliardi di €, pari a solo il 2,6 % del costo totale (stima 2007).
(*) Aggiornamento dei Costi dei Progetti Prioritari TEN-T

Così il prof. Rémy Prud’homme (*) ha commentato questo rapporto.

I FARAONICI PROGETTI DI TRASPORTO DELL’UNIONE EUROPEA
Rémy Prud’homme
Aprile 2008

I Ministri dei Trasporti dei paesi dell’Unione europea si riuniscono in Slovenia (a Lubiana il 5-6 maggio 2008, N.d.R.) per “prendere delle decisioni” che impegneranno l’Unione relativamente agli investimenti nei trasporti.  Lo faranno – in particolare – sulla base di un documento del Parlamento europeo pubblicato nello scorso mese di marzo 2008 e intitolato “Aggiornamento dei costi dei progetti prioritari dei trasporti della rete transeuropea”. Questo rapporto non è una base affidabile per assumere  decisioni relative ad investimenti dell’ordine di centinaia di miliardi di euro.

I costi indicati per mega progetti, come il n. 6 “Lione–Trieste-frontiera ucraina” (circa 50 miliardi di euro), non hanno un senso economico ed istituzionale. Un tale mega progetto si compone di 5/6 progetti o tratte, di cui il Lione – Torino è il primo. Ciascuno di questi mini progetti ha una logica, attori, costi economici ed ambientali, benefici propri. Valutare ciascuno di essi è già un compito difficile. Considerare e valutare l’insieme è impossibile.

La rappresentazione in mega progetti ha per conseguenza, e sicuramente per obiettivo, di stendere una coltre di nebbia sui progetti e di rendere ogni valutazione impossibile. Gli autori del Rapporto l’hanno ben capito. Tentando di trovare delle informazioni per tratte hanno, in sintesi, fallito in questa ricerca.

Alcune delle cifre indicate sono delle grossolane sottovalutazioni. Il mega progetto n. 30 – Canale Seine-Scheldt, il cui costo  aggiornato è indicato nel Rapporti in 3,5 miliardi di euro, si compone di due tratte: la prima da Compiègne a Cambrai e la seconda da Deulemont a Gent. Il caso ha voluto che io abbia studiato la prima di queste tratte, la Compiègne-Cambrai: il suo costo è stato stimato nel 2006 da una commissione molto attendibile del Consiglio Generale Francese dei Ponti in 3,7 miliardi di euro. Non so quanto possa costare la seconda tratta, ma questo costo non è certamente negativo. Anche se costasse la metà della prima tratta, l’insieme costerebbe più di 5,5 miliardi di euro, ossia il 60% in più dell’importo presentato nel rapporto. Se tutte le altre stime sono sottovalutate allo stesso modo (Dio non voglia), il conto non sarebbe di 379, ma di 600 miliardi di euro.

La deriva dei costi messa in evidenza dal Rapporto è impressionante: + 15% in 2/3 anni. Ora è noto che i costi ex post sono generalmente molto superiori ai costi ex ante: è quella che chiamiamo la  “scorciatoia dell’ottimismo”. Ma in questo caso non si tratta di questo. Si tratta di una deriva dei costi ex ante, dei soli costi previsti. Se i costi ex ante sono passati da 340 a 379 miliardi di euro in pochi anni, si può prolungare questa tendenza e, con fiducioso ottimismo, esseri sicuri che all’arrivo il costo dei 30 progetti considerati supererà (supererebbe se questi progetti fossero effettivamente realizzati)  500 o 600 miliardi di euro.

Nessuno sforzo è stato fatto per stimare i benefici di questi progetti. Il Rapporto si accontenta di formulazioni molto vaghe e sempre letterarie: tale progetto “collegherà” tale zona a tal’altra zona. Ma lasciamo l’analisi costi-benefici agli economisti ottusi. Il disprezzo per l’utilità e la giustificazione dei progetti raggiunge il colmo del ridicolo o del cinismo con il progetto n. 10 – Espansione dell’aeroporto della Malpensa. Ora si sa che questo aeroporto, una delle realizzazione faro dell’Unione europea, è stato una catastrofe economica che ha contribuito a rovinare Alitalia. Decenza vorrebbe che si dimenticasse questo errore. Al contrario, la politica sembra essere quella di perseverare nell’errore. Se tutti i progetti presentati hanno una utilità comparabile, c’è da essere inquieti.

E’ stato d’altra parte annunciato che le autorità politiche europee avevano ottenuto dalla BEI – Banca Europea degli Investimenti (la più importante banca d’investimenti mondiale, che presta denari anche alla Banca Mondiale) un impegno su questi progetti. In generale si può affermare come sia pericoloso che una banca –  che si finanzia sul mercato, e che non deve finanziare (a norma del suo statuto) che progetti socio-economici redditizi – divenga il braccio armato dei politici.
Fortunatamente l’impegno della BEI è più simbolico che reale. Si tratta di un piccolo importo, non è una spesa ma una garanzia. Concerne soprattutto i progetti capaci di essere redditizi grazie ai pedaggi. Non ce ne dovrebbero essere molti nell’elenco. Per la maggioranza sono progetti ferroviari che non incasseranno mai a sufficienza e quindi non saranno in grado di rimborsare i capitali investiti. I privati si avventureranno in questi progetti, nel quadro del PPP (partenariato pubblico privato, N.d.R.) alla sola condizione che la parte fondamentale dell’investimento sia finanziata dai governi a fondo perduto. E’ in questo quadro che la BEI potrà eventualmente intervenire.

Tutto ciò non serve che a nascondere l’essenziale: i 400 (o 600 o 800) miliardi di euro previsti per questi investimenti contribuiranno a poco o nulla allo sviluppo economico dei Paesi dell’Unione europea, ma sicuramente aumenteranno le imposte o l’indebitamento dei Paesi che ne “beneficeranno”. Oppure si faranno a danno di spese pubbliche più utili come l’istruzione e la ricerca. Da una parte l’Unione europea impone agli Stati membri la riduzione delle spese pubbliche e del debito (parametri di Maastricht, prima, fiscal compact ora N.d.R.), dall’altro lato, attraverso questi faraonici progetti di trasporto decretati “prioritari”, l’Unione europea spinge verso spese pubbliche e l’indebitamento. E’ difficile non vedere una contraddizione.

Tratto da: http://www.notav-valsangone.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=220

Ivan Cicconi, Il libro nero dell’alta velocità

Capitolo 1. La madre di tutte le bugie
Capitolo 2. Luigi Preti e la grande truffa
Capitolo 3. Beniamino Andreatta e i ladri di verità
Capitolo 4. La vera storia della TAV
Capitolo 5. Tavola ricca e commensali illustri
Capitolo 6. I costi veri dell’alta velocità
Capitolo 7. La tangentopoli dello stato postkeynesiano

Stato di polizia in Valsusa: il caso delle famiglie convocate in Procura finisce in Parlamento

di Claudio Giorno
(ANSA) – TORINO, 25 NOV – Finisce in Parlamento il caso di tre famiglie No Tav della Valsusa convocate, su richiesta della Procura, nell’ufficio degli assistenti sociali per aver permesso ai loro figli minorenni di partecipare a manifestazioni contro l’Alta Velocita’. La deputata radicale; Elisabetta Zamparutti, ha presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e degli Interni. ”Emerge uno stato di polizia – afferma – di cui il governo rischia di divenire complice se non interviene”.
Non la conosco, ma le sono grato: non credo che sia contraria al TAV (termine che anche nei dizionari della lingua italiana è divenuto ormai sinonimo della nuova ferrovia che si voleva costruire tra Lyon e Torino). Un’opera che (qualunque cosa proclamino Hollande e Monti il 3 dicembre prossimo nella capitale della RhoneAlpes) si sta ormai riducendo al solo mega-tunnel sotto le Alpi Cozie, tra Italia e Francia. Emmabonino la più prestigiosa degli esponenti di quel che resta del glorioso partito radicale – già superburocrate europea, collega di Mariomonti è – ad esempio – dichiaratamente a favore della grande opera.
Ma evidentemente l’onorevole Zamparutti ha capito lucidamente che qui non si tratta più o solo di stabilire se il Tav è utile o inutile, accettabilmente o inaccettabilmente dannoso al territorio attraversato e agli umani che lo abitano. Qui e ora si tratta di stabilire quali siano i margini di dissenso lasciati ai cittadini. Che cosa può essere tollerato e che cosa no in un’Europa sotto una sempre più stretta tutela di Agenzie di Rating, di Fmi&Bce; e nella periferica Italia sempre più schiacciata dal debito pubblico che è l’unica crescita inarrestabile, proseguita anche sotto la scure spietata del Governotecnico. Siamo all’indomani di una domenica in cui pare si sia sentito un bisogno quasi vitale di illudersi che la moltiplicazione degli appuntamenti elettorali possa davvero coincidere col rilancio della partecipazione democratica, Viviamo il “dayafter”  dell’illusione montata da giornali e TV che basti la cattiva imitazione del sistema elettorale degli States per poter davvero scegliere assieme a un leader anche una “politica altra” (che non sia quella imposta “dai mercati”). Ma dobbiamo tornare a fare i conti con la dura realtà quotidiana. Con i Riva che “o ci consentite di terminare di inquinare Taranto o chiudiamo”; con le Banche che rifiutano di versare il dovuto al fisco se non otterranno altre “generose” agevolazioni. Con Marchionne che ormai pretende di sostituire i robot con gli operai ma a patto che si auto-riducano ancora i già miserabili salari.
E’ in questo quadro a tinte sempre più fosche che si inserisce l’ultimo (per adesso) capitolo della colonizzazione interna di una valle dell’estremo nord-ovest. Che della cosa si stia parlando lo si deve ad Angela Lano, giornalista di Sant’Ambrogio di Torino. Angela ha scritto anche per “Repubblica” ma da anni dirige una agenzia che si occupa a tempo pieno della “questione palestinese” (due anni fa fu fermata in circostanze drammatiche su una della navi della Freedom Flotilla abbordate in acque internazionali dai commandos del governo di Tel Aviv). E’ una donna coraggiosa e non si è certo spaventata quando ha ricevuto la lettera di convocazione da parte dei Servizi Sociali di zona (su disposizione del Tribunale dei Minori di Torino) per “chiarire” la partecipazione di suo figlio Francesco alla distribuzione di volantini No Tav davanti alla filiale IntesaSanPaolo di Susa alla fine di settembre. Non si è spaventata ma si è domandata il perché, come dice anche in una intervista rilasciata a quello che fu il suo giornale:
durante quel presidio non sono stati compiuti reati, altrimenti avremmo già ricevuto denunce. Ma far leva su presunti disagi famigliari dei figli di No Tav, è assurdo. Puntare sui servizi sociali per cercare di colpire il movimento è inaccettabile. E soprattutto preoccupante. E – forte della sua esperienza internazionale – ha evocato scenari davvero inquietanti: ” le dittature dell’America Latina negli anni ’80. il famoso film argentino “La notte delle matite spezzate”, dove si racconta del regime che arrestava e perseguitava gli adolescenti che manifestavano per i diritti civili. Parecchi figli di No Tav hanno genitori che hanno studiato, che fanno parte di una élite intellettuale in Val Susa, e che gli hanno trasmesso certi valori”. Alla domanda dell’ex collega che la invita a precisare quali aggiunge: “Quelli della libertà, dell’azione a favore dei diritti dei popoli oppressi. Mio figlio si è nutrito di queste idee fin da piccolo, e gli ho sempre insegnato ad occuparsi del mondo, e di ciò che avviene attorno a lui”.
Ecco: io credo che proprio questo stia diventando “intollerabile” per il potere costituito: In Valle di Susa la protesta dura da oltre venti anni. Un tempo lunghissimo in cui il mondo è totalmente cambiato, la crisi economica è divenuta cronica perché – come accade nelle guerre – determina l’impoverimento di fasce sempre più ampie di persone (“il fu ceto medio”) a vantaggio di una casta (che è anche sempre di più una cosca) sempre più ristretta, e per questo sempre più ricca. Una situazione così al limite è governabile solo da uno stato di polizia che però non potrebbe opporsi efficacemente a una presa di coscienza dei propri diritti e degli altrui soprusi davvero generalizzata. Soprattutto non reggerebbe a una rivolta popolare con le caratteristiche che hanno avuto le cosiddette primavere del nordAfrica (che, al di la di come stanno finendo le speranze che avevano suscitato, hanno sicuramente spazzato via una consistente parte delle oligarchie al potere da decenni; e con delle dinamiche in cui nessuno può sentirsi garantito a priori). E in un contesto come quello che ho provato sin qui a riassumere la presa di coscienza di certi processi, le denunce delle continue illegalità compiute in nome dello stato, la pretesa di mettere in discussione le “scelte” dei Governi, della Commissione UE e (soprattutto) dei “Mercati” (che i valligiani si sono messi pericolosamente in testa di aggiungere a quella che poteva anche essere tollerata se restava una protesta “Nimby”) devono assolutamente essere spazzate via.
Come ha sostenuto recentemente la professoressa Donatella della Porta al Forum mondiale 10+10 di Firenze se la protesta rimane confinata nello spazio angusto del proprio cortile può essere “governata”: Lo Stato e le sue articolazioni istituzionali vaste, ramificate (e costosissime, come abbiamo imparato a nostre spese) tendono a “includere” chi si oppone. Cosa che – mi permetto di aggiungere – è capitata puntualmente anche da noi, con le consulenze offerte ai tecnici, le compensazioni ai politici, il lavoro ai cittadini: un copione scontato che da noi è stato sublimato dalla istituzione bypartisan dell’Osservatoriovirano. Una dinamica che nel passato è sempre stata funzionale all’aumento dei costi e quindi al’esplosione del profitto e con esso dei margini per grandi tangenti che è l’obiettivo primo (spesso unico) delle Grandi Opere. Ma il permanere del dissenso, il suo evolversi, il divenire (come nostro malgrado sta succedendo) un simbolo per molte altre lotte (e non solo in Italia) non può essere né oggetto di inclusione, né – tantomeno – tollerato. E allora dopo tanti (non richiesti) proclami sul fatto che la Magistratura avrebbe colpito solo i comportamenti dei singoli e configurabili come reati ecco emergere la cruda verità: siamo arrivati a mettere in discussione un modello educativo ritenuto evidentemente se non eversivo quantomeno “inadatto” a formare cittadini consapevoli che per accedere ai diritti occorre non solo ottemperare ai doveri stabiliti dalla legge (i ragazzi a Susa non hanno infranto nessuna regola, sennò sarebbero stati denunciati come ha osservato Angela), ma – assieme alle proprie famiglie – compiere “un atto di sottomissione” a un modello dato che non può essere messo “impunemente” in discussione. Il modello della disuguaglianza crescente, della selezione per censo e appartenenza, della obbedienza non più ai principi costituzionali, ma ai decaloghi sempre più insostenibili per la terra e i suoi abitanti, della Cupola Finanziaria Globale
26 novembre 2012 – Claudio Giorno, da http://claudiogiorno.wordpress.com/2012/11/26/lobotavmia/
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