Uomini in vendita

by gabriella

Un servizio della CNN, dal titolo Uomini in vendita, fa luce sulle conseguenze dell’accordo Italia-Libia circa i trattenimenti nei centri per immigrati in Libia, autentici lager nei quali la negazione di ogni basilare diritto umano è regola, dalle torture alla fame, dagli stupri alla sopraffazione, fino alla riduzione in schiavitù [sotto, l’articolo di Marco Bresolin su La Stampa di oggi]

Questo video giunge a distanza di appena qualche giorno da quello che ha documentato il trattamento a bordo delle motovedette libiche verso i migranti, picchiati e gettati in mare dalla guardia costiera che eseguiva così la direttiva volta a controllare gli sbarchi attraverso il trattenimento in Africa (le immagini nel secondo video, qui sotto).

 

Marco Bresolin, Migranti come schiavi battuti all’asta in Libia

Quanto vale la vita di un uomo? In Libia, se si tratta di un centrafricano «forte, adatto al lavoro nei campi» meno di 800 euro. Con una base d’asta di 500. Una cifra inferiore a quella spesa per arrivare fin lì, affidando il proprio destino ai trafficanti. È un agghiacciante reportage della Cnn che svela i contorni più crudi della tratta di esseri umani in Libia, dove i migranti vengono venduti all’asta come schiavi. Braccia da sfruttare al di là del Mediterraneo, non essendo più possibile buttare quei corpi su un gommone da mandare in direzione dell’Europa, dell’Italia, alla deriva.

Il documento giornalistico arriva nel giorno della grande accusa lanciata dall’Onu per il piano che ha chiuso la rotta del Mediterraneo Centrale insieme con gli occhi di Italia e Unione Europea. Un patto “disumano” con le autorità libiche – secondo l’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, Zeid Raad Al Hussein – che ha risolto solo l’ultima parte del problema immigrazione, quello visibile «al di qua». Sono diminuiti gli sbarchi e le vittime in mare. Ma al di là del Mediterraneo continua a succedere quello che succedeva prima. Anzi, con il blocco delle partenze, forse pure peggio.

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«Migliaia di detenuti denutriti e traumatizzati». Donne e bambini ammassati gli uni sugli altri in capannoni «senza alcun tipo di accesso ai servizi minimi essenziali». Episodi di «schiavitù moderna, stupri e altre forme di violenza». Questo succede, accusa l’Onu, nelle «terrificanti prigioni» libiche. Gli osservatori sono rimasti «scioccati» nel vedere «le sofferenze dei migranti detenuti in Libia». Che, accusa Zeid Raad Al Hussein, «sono un oltraggio alla coscienza dell’umanità». Tutto ciò, insistono le Nazioni Unite, per evitare che queste persone raggiungano le coste europee. Senza che «l’Ue e i suoi Stati membri abbiano fatto nulla per ridurre gli abusi».

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I toni e i contenuti della denuncia dell’Onu non sono mai stati così duri. E questo ha certamente creato un po’ di fastidio a Bruxelles, dove dalle parole dei portavoce della Commissione si percepisce una certa irritazione. L’Ue assicura di lavorare in Libia «in piena cooperazione con le Nazioni Unite» per progetti che – si fa notare – vengono finanziati dall’Europa. Si ribadisce la necessità di «chiudere i campi di detenzione» perché la situazione è inaccettabile. L’Europa risponde alle accuse che riguardano i metodi usati dalla Guardia Costiera libica dicendo di aver addestrato «solo 142 uomini». Di ciò che fanno gli altri nessuno si assume la responsabilità. E sottolinea di aver contribuito a realizzare 8.000 rimpatri volontari assistiti dalla Libia verso i Paesi d’origine, liberando queste persone dal limbo. Ma ciò che non si vede è la tanto pubblicizzata politica dei corridoi umanitari. Bruxelles a luglio aveva lanciato un piano da 40.000 trasferimenti l’anno, ma fino al mese scorso i governi avevano messo a disposizione solo 14.000 posti.

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Il racconto di Victory alla Cnn: “Venduto all’asta come schiavo in Libia”

I «resettlement» dalla Libia sono quasi impossibili perché gli Stati non hanno un’ambasciata, dunque non danno il via libera per accoglierli. Nei giorni scorsi l’Unhcr è riuscita a portare a termine la prima evacuazione di un gruppo di migranti «estremamente vulnerabili», trasferiti temporaneamente in Niger in attesa della loro destinazione finale. È la prima volta che succede. Erano in venticinque.

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