Il Rapporto OCSE 2011 sulla scuola italiana fotografa con impietosa chiarezza i risultati delle politiche dell’istruzione degli ultimi vent’anni, dal berlingueriano 3+2 all’inasprimento gelminiano del numero chiuso. Il risultato è stato, non sorprendentemente, l’esclusione da scuola e lavoro per un giovane (19-25enne) su 4.
Penultimi nella classifica Ocse per la spesa pubblica nell’istruzione (il 4,7 per cento del Pil, contro una media del 5,8) OCSE, Education at a glance 2011 (versione italiana). I docenti della scuola (età media 50 anni) che percepiscono un reddito decisamente più basso rispetto ad altri lavoratori con un’istruzione universitaria. Nel dodicesimo rapporto Ocse Education at a glance presentato ieri a Parigi l’Italia si piazza al 24° posto (su 27 paesi) per gli insegnanti della primaria, al 23° per le superiori. La percentuale dei suoi laureati resta tra le più basse dell’area che riunisce i paesi più industrializzati: tra i 25 e i 64 anni sono il 15 per cento, contro una media Ocse del 31 per cento. Tutto questo mentre la disoccupazione aumenta significativamente tra i laureati (5,6 per cento), ma non tra i diplomati.
Nel paese del precariato di massa, e dei redditi sotto della soglia di povertà, l’Ocse conferma che nessuna istituzione, né tanto meno il mercato del lavoro, garantiscono ai laureati una retribuzione dignitosa, né un lavoro adeguato alla loro preparazione. È il ritratto più sincero che raramente è capitato di leggere nelle dichiarazioni dei governi in questa legislatura, per non parlare di quelle precendenti. Quella dell’esplosione della bolla formativa è una storia recente, che si può tradurre in una sola parola: fallimento.
La favola del «3+2»
Fallimento, ad esempio, della riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 che varò il cosiddetto «3+2», tra le mirabolanti promesse della «società della conoscenza» in cui il centro-sinistra prodiano credeva fermamente. «Un’occasione mancata – l’hanno definita i tecnici Ocse – colpa anche della contrazione dei posti nella dirigenza delle pubbliche amministrazioni, che erano in passato lo sbocco privilegiato per i vostri laureati, e del boom di offerta di corsi i cui profili non trovano corrispondenza sul mercato».
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