PARIGI – Il 21 dicembre 2012 s’avvicina. Una data a cui molti guardano con un misto di curiosità e apprensione, per via della profezia del calendario Maya che per quel giorno fatidico ha annunciato la fine del mondo.
In Francia, se ne parla molto, anche perché, secondo antiche leggende, Bugarach, un paesino vicino ai Pirenei, avrà la fortuna di essere risparmiato dall’apocalisse prossima ventura. Motivo per cui la località è presa d’assalto da frotte di turisti e curiosi, al punto che il prefetto ha deciso di vietarne l’accesso ai non residenti.
Di fronte a queste paure e credenze più o meno diffuse, di solito si parla di superstizione, irrazionalità e ignoranza. Tuttavia, secondo Michaël Foessel, un giovane e brillante filosofo che insegna alle università di Digione e Berlino, l’ossessione della fine del mondo deve invece essere letta e analizzata come un sintomo della condizione contemporanea, dominata dalla precarietà e dall’alienazione. Tesi spiegata diffusamente in un interessantissimo saggio da poco arrivato nelle librerie francesi e già al centro di molte discussioni, Après la fin du monde. Critique de la raison apocalyptique (Seuil).
“L’attenzione per le profezie apocalittiche contemporanee è molto marcata soprattutto in Occidente, mentre è quasi del tutto inesistente nel resto del mondo. In Messico, ad esempio, della profezia dei Maya si parla pochissimo”, spiega lo studioso francese, già autore di un mezza dozzina di saggi molto apprezzati. “Secondo me, l’ossessione occidentale per la fine del mondo va messa in relazione con la sensazione della fine del “nostro” mondo, vale a dire il declino storico dell’Occidente. La globalizzazione del pianeta ha tolto al mondo occidentale la sua posizione dominante. Da qui il fascino della decadenza e del crollo, che trova la sua concretizzazione estrema nelle paure apocalittiche. La paura della fine del mondo nasce insomma dalla sensazione che il nostro mondo, i nostri valori, la nostra ricchezza, i nostri punti di riferimento siano sul punto di scomparire. In fondo, tali paure indicano innanzitutto il rifiuto di adattarsi alle conseguenzedella mondializzazione”. Non sono anche un modo per esorcizzare la paura della morte?”In effetti, la fine del mondo è la versione democratica della morte, consente di condividere in modo egualitario qualcosa di molto singolare e non condivisibile, vale a dire la propria morte. Di fronte all’apocalisse saremo tutti uguali. Paradossalmente, in un mondo sempre più dominato dall’individualismo e dalla disuguaglianza, la catastrofe consente di ricreare una certa comunità di destini”.
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