Alessandro Portelli, Il furore della depressione
Felice Mometti, Sandy, dopo l’uragano, la speculazione
Gli abitanti di Rockaway, la zona di New York maggiormente colpita dall’uragano Sandy, hanno dovuto aspettare un mese prima di vedere apparire il sindaco Bloomberg. I venti km di distanza dal suo ufficio di Manhattan li ha percorsi in elicottero. All’arrivo ha trovato un «comitato» di accoglienza poco incline ad ascoltare discorsi di circostanza e la visita del primo cittadino è durata un’ora scarsa tra proteste e un po’ di insulti. Il ritorno è avvenuto via terra con una decina di macchine di scorta. A quaranta giorni dall’uragano, più di 60 mila abitanti di Rockaway, oltre ad avere le case distrutte o lesionate, non hanno ancora l’acqua e l’energia elettrica. Da settimane non si vedono più nemmeno i funzionari della Croce Rossa e della Fema, una specie di protezione civile. Nelle strade, tra le macerie, nei punti di distribuzione dei pasti e dei generi di prima necessità si vedono solo gli attivisti di Occupy Sandy.
Alla catastrofe naturale, e qui ci sarebbe molto da dire sulla sua «inevitabilità», si è aggiunta quella dei soccorsi gestiti dall’amministrazione pubblica e dagli enti preposti. A tal punto che si è anche assistito ad alcuni episodi a dir poco imbarazzanti. Una quindicina di giorni fa davanti alla chiesa episcopale di Brooklyn, che funziona come magazzino di smistamento degli aiuti di Occupy Sandy, sono arrivati alcuni automezzi pesanti con le insegne del Dipartimento di Polizia di New York. I presenti, memori della repressione di Occupy Wall Street e dello sgombero di Zuccotti Park, hanno allertato tutti i volontari e gli attivisti temendo l’ennesima operazione di polizia. Nulla di ciò. Un poliziotto scendendo dal primo camion ha comunicato che quelli erano gli aiuti raccolti tra gli agenti di polizia e che, dopo vari tentativi, non sapeva dove e a chi consegnarli per la distribuzione nei quartieri colpiti. I responsabili del gruppo di Occupy Sandy che si occupa della «formazione» dei nuovi volontari, che ogni giorno arrivano, sono stati contattati dai funzionari della Fema – l’agenzia governativa che dovrebbe avere tra i suoi compiti anche i pronto intervento in caso di disastri naturali – per verificare la loro disponibilità a organizzare brevi corsi intensivi di «preparazione a stabilire rapporti con le popolazioni colpite» rivolti al personale dell’agenzia. Gli automezzi della polizia sono stati scaricati, non senza discussioni tra i volontari sull’opportunità di farlo, e la richiesta della Fema è stata rispedita al mittente. Il 27 novembre scorso i residenti di Red Hook, un quartiere a basso reddito di Brooklyn allagato dall’uragano, esasperati dalla lentezza degli interventi per il ripristino dell’energia elettrica – a differenza della rapidità con cui sono avvenuti a Wall Street e dintorni – insieme a Occupy Sandy hanno portato un po’ di fango e macerie davanti alla sede della New York City Housing Authority, l’ente che dovrebbe gestire i programmi di edilizia residenziale pubblica.
Ungheria: proteste di massa per il diritto allo studio
Stralcio da un articolo di repubblica.it la notizia della protesta studentesca in corso in Ungheria da una settimana.
Migliaia di studenti stanno protestando a Budapest, davanti ai palazzi del governo e alcuni di loro verso il Palazzo della Radio, per il diritto allo studio e il ripristino delle libertà fondamentali.
Le manifestazioni degli studenti si protraggono quotidianamente da quando il governo ha annunciato di voler ridurre drasticamente le borse di studio (già fatto anche da noi) e aumentare le tasse universitarie (già fatto anche da noi). Il che in un paese a basso reddito medio significa riservare l’accesso all’università ai soli benestanti (ovviamente, come da noi). Il governo magiaro ha peraltro già dimezzato il numero delle università in contrasto con la politica di promozione culturale del resto della Mitteleuropa (Germania, Polonia, Repubblica cèca per esempio) e dei paesi scandinavi (è in corso anche da noi).
La protesta è partita dalla Eotvoes Lorand Egyetem, la più prestigiosa delle università della capitale, legata ai migliori atenei del mondo. Gli studenti però sono aiutati solo dalla rete e dai blog, i media ufficiali tacciono (anche i nostri). Dopo un incontro con studenti filogovernativi, Orbàn ha proposto un compromesso rifiutato dai giovani: studi gratis ma se v’impegnate a lavorare poi in patria. Assurdo, vista l’altissima disoccupazione giovanile e l’alta domanda di forza lavoro qualificata poliglotta in Germania e altrove (ecco un aspetto originale: ai nostri studenti si chiede invece di lasciare l’Italia e cercare occupazione lontano da mammà, come ha affermato simpaticamente il ministro Cancellieri).
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