Archive for Marzo, 2013

31 Marzo, 2013

Junius Brutus, Vindiciae contra tyrannos 1579

by gabriella
Philippe_Duplessis-Mornay_(1549-1623)

Philippe de Mornay (1549-1623)

Vindiciae contra tyrannos fu scritto in latino nel 1579, probabilmente dall’ugonotto Philip de Mornay – sfuggito sette anni prima al massacro della Saint-Barthélemy -che si firmò con lo pseudonimo di Junius Brutus. Il sottotitolo di questo classico del diritto di resistenza recita: Del potere legittimo del monarca sul popolo e del popolo sul monarca; nella prima traduzione francese si apre con il commento «trattato molto utile e degno di lettura in questi tempi». Qui sotto la versione inglese, qui l’interpretazione di Diego Quaglioni dell’Università di Palermo.

 

A Defence of Liberty Against Tyrants

Contents

Question One: Whether subjects are bound to obey princes... 3

The Covenant between God and Kings 7

Question Two: Whether it is lawful to resist a prince who infringes the law of God. 15

Whether private men may resist by arms. 29
Whether it be lawful to take arms for religion. 31

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30 Marzo, 2013

Gabriele Scardocci, Crisi e morte della verità oggettiva. Relativismo e prospettivismo in Nietzsche

by gabriella

NietzscheIl relativismo etico è attualmente una concezione della morale molto discussa negli ambiti politici e filosofici, ed in ambito religioso essa è addirittura definita come una ideologia del male. Scopo di questo elaborato, è ricercare ed indagare le concettualizzazzioni gnoseologiche dietro al fenomeno “relativismo”, per mostrarne punti di luce e punti d’ombra ad esso inerente, onde evitare che in ambiti extra filosofici e non venga troppo travisato. I limiti di una ricerca filosofica sul fenomeno “relativismo” debbono essere subito posti: il relativismo è un tema trattato sin dagli albori della filosofia greca, ed ha percorso insieme all’uomo tutte le fasi della sua crescita intellettuale. Ma trattare tutte queste parti, e sussumerle in un unicum che debba anche essere sintetico risulterebbe una ricerca superficiale e improponibile. Perciò, l’autore dell’elaborato si concentrerà su un filosofo che anch’egli si è occupato del fenomeno “relativismo”: F .W .Nietzsche (1844-1900).

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28 Marzo, 2013

Venere e Marte

by gabriella

Venere e Marte

27 Marzo, 2013

Riccardo Antoniucci, Intervista a Marc Crépon su Jacques Derrida

by gabriella

JacquesDerridaDal Rasoio di Occam, l’intervista di Riccardo Antoniucci a Marc Crépon, direttore dell’École Normale Supérieure, a margine del convegno sul pensiero politico di Jacques Derrida, tenutosi ad Atene dal 24 al 26 gennaio 2013.

Professor Crépon, la prima domanda che vorrei porle, e che, trattandosi di una questione sul senso, non è aliena da una certa “bêtise”, riguarda proprio i due aggettivi con cui si è voluto qualificare il pensiero di Derrida durante questo convegno: “politico” ed “etico”. Possiamo tentare di chiarire meglio il nesso esistente tra il pensiero di Derrida e i campi descritti dai due termini. “Pensiero politico” e “pensiero della politica” non sono la stessa cosa, ovviamente. Eppure, di solito, un pensiero non è detto “politico” se non è anche riconosciuto, parallelamente, come “pensiero della politica”, o del politico. Cioè come pensiero delle condizioni e delle tecniche proprie all’azione politica in un contesto storico determinato. Per cui spesso la “filosofia politica” si riduce a una serie di riflessioni su problemi che sono posti dall’attualità della pratica di governo o dell’amministrazione della società. Tuttavia, questo parallelismo non sembra operativo nel pensiero di Derrida: la sua riflessione, senza essere stata “condizionata” da temi provenienti dal dibattito politico, li ha piuttosto “rilanciati”, riverberati, in un’altra forma; addirittura, in alcuni casi, li trasformati, passandoli al filtro del suo singolare approccio filosofico. Per esempio, ha rilanciato il problema della democrazia attraverso il concetto di ospitalità. Insomma, il pensiero di Derrida si presenta come un caso singolare di pensiero. che non è un pen siero della politica. La sua battaglia, dunque, si muove piuttosto nell’elemento della filosofia politica oppure della “politica della filosofia”, che non si interessa delle pratiche concrete di governo?

Marc Crépon – È vero che nell’opera di Derrida non si trova una riflessione sviluppata intorno alle forme di governo. Eppure, la possibilità di qualificare il suo pensiero come “politico” è innegabile, a dispetto di tutte le riserve che impone l’idea stessa di “qualificazione” in generale. Ed è innegabile almeno per due ragioni. La prima è che, se è vero che, a partire dai tre grandi libri del 1967 (1), uno dei fili conduttori del suo pensiero è stata la decostruzione del soggetto sovrano, era allora inevitabile che Derrida incrociasse la questione della sovranità in sé, nella sua accezione politica.

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26 Marzo, 2013

Philip K. Dick

by gabriella

philip dick

Introduzione a Lessico dickiano di Antonio Caronia e Domenico Gallo.

Fascism is the enemy, wherever it appears.

Philip K. Dick, 1977

Solo chi è alla ricerca spasmodica di un senso e di un ordine può dare voce e respiro all’insensatezza e al disordine del mondo. Philip K. Dick cercò quest’ordine e questo senso lungo tutta la vita. Nel 1979 annotava nel suo interminabile diario notturno, l’Exegesis:

è evidente che all’epoca di The Dark-Haired Girl stavo disperatamente cercando un centro (omphalos) per la mia vita, ma non c’ero riuscito; ero ancora ‘apolide’. Adesso ho trovato l’autenticità – sein.

Si trattava ancora una volta di una situazione instabile. Dick non approdò mai davvero a una situazione di quiete interiore, né a un’ipotesi sul mondo che lo soddisfacesse appieno. Per questo fu capace di descrivere alcuni tra i più formidabili, strutturati, paranoici incubi di tutto il Novecento.

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20 Marzo, 2013

Quentin Meillassoux, Dopo la finitezza. Saggio sulla necessità della contingenza

by gabriella

Meillassoux

Traggo da The Pensive Image, la traduzione italiana dell’appassionante seminario che Quentin Meillassoux (Sorbonne) ha tenuto alla Middlesex University l’8 maggio 2008 su Après la finitude. Essai sur la nécessité de la contingence, il saggio che lo ha imposto all’attenzione del dibattito filosofico mondiale. Di seguito, la playlist di una sua conferenza sulla critica della necessità delle leggi di natura e l’intervista di Rick Dolphijn e Iris Van der Tuin pubblicata dal Rasoio di Occam.

La réalité qui le préoccupe n’implique pas tant les choses telles qu’elles sont, que la possibilité qu’elles puissent toujours être autrement.

Alain Badiou, Prefazione a Après la finitesse

Sono materialista perché non credo nella realtà.

Michel Foucault

Nella sua critica del correlazionismo, Quentin Meillassoux individua due principi costituenti l’argomento centrale della filosofia di Kant: il primo è il principio di correlazione, il quale pretenderebbe che il soggetto pensante possa conoscere solo il correlato di pensiero ed essere, in altre parole, ciò che sta al di fuori della correlazione è inconoscibile. Il secondo è chiamato da Meillasoux il principio di fattualità, che sostiene che le cose potrebbero essere diverse da come sono. Tale principio è sostenuto da Kant nella sua difesa della cosa-in-sé quale immaginabile sebbene inconoscibile: possiamo immaginare la realtà in modo radicalmente differente anche se non conosciamo tale realtà.

Secondo Meillassoux, la difesa di entrambi i principi dà come risultato un correlazionismo debole (come quello di Kant e Husserl), mentre il rifiuto della cosa-in-sé porta ad un correlazionismo forte come quello di Hegel, Wittgenstein e Heidegger. Per i correlazionisti forti non ha senso supporre che ci sia qualcosa fuori dal correlato di pensiero ed essere, così il principio di fattualità viene eliminato in favore di un principio di correlazione rafforzato.

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20 Marzo, 2013

Maurizio Donato, Fatica sprecata. Produttività e salari in Europa

by gabriella

lavoro-usaLa produttività del lavoro dipende dalle innovazioni tecnologiche, dall’organizzazione della produzione, dalla dimensione e dai settori in cui le imprese operano; il livello dei salari, normalmente oscillante attorno alla sussistenza, dipende dalla forza contrattuale dei lavoratori.

Gli stessi dati contenuti nel testo presentato dal presidente della BCE all’ultimo vertice europeo di Bruxelles, se inquadrati in una prospettiva logica e temporale differente, confermano che per circa tre decenni i salari reali in Europa e in tutti i paesi industrializzati sono cresciuti meno della produttività.

Se si considera la dimensione relativa del salario, le evidenze empiriche disponibili illustrano una riduzione costante e generalizzata della quota del reddito nazionale spettante ai lavoratori.

La crisi non colpisce tutte le classi sociali allo stesso modo: la quota di salari diminuisce e quella destinata ai profitti cresce.

Quota dei salariLa questione del rapporto tra produttività, salari e distribuzione del reddito è una delle più controverse sia dal punto di vista teorico che della conseguente efficacia delle politiche economiche. La drastica diminuzione del salario registrata negli ultimi 30 anni in tutti i principali paesi industrializzati con la conseguente modifica della sua quota relativamente ai profitti viene spiegata dalla teoria “ortodossa”[1]  in questo modo: la dinamica dei salari dipende da quella della produttività del lavoro; se si vogliono aumentare i salari bisogna che cresca la produttività.

Se  volessimo limitare l’analisi agli ultimi dieci anni dovremmo registrare che per tutti i paesi europei, tranne – ma in misura praticamente insignificante – l’Italia, la produttività misurata alla fine del periodo è più alta di quella di dieci anni prima. Le normali differenze tra paesi che si registravano nei primi anni del secolo persistono, con le economie più forti che possono giovarsi di modelli tecnologici e organizzativi più avanzati di quelli a disposizione degli altri.

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20 Marzo, 2013

Loredana Lipperini, Maternità e sacro

by gabriella

lippariniPerché nella maternità adoriamo il sacrificio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna?

Sibilla Aleramo, Una donna, 1906

Di mamma ce n’è più d’una” è l’ultimo libro della trilogia dedicata da Loredana Lipperini alla condizione femminile – dopo Ancora dalla parte delle bambine (2007), e Non è un paese per vecchie (2010) usciti per Feltrinelli.

Quest’opera analizza la fase centrale della vita di una donna, segnata dall’esperienza della maternità (o del suo rifiuto):

La scelta del materno, in Italia, è una scelta che pesa come un macigno. Eppure l’immaginario ci sospinge verso la madre equilibrista e onnipresente.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=cuLN4lwoZPg]

Mito pericoloso e sovraccaricante, come mostrano i casi di cronaca degli ultimi decenni, che ha inoltre contropartite simboliche e psicologiche non meno inquietanti:

L’investimento eccessivo sui figli sta contribuendo al fiorire di un narcisismo generazionale che li danneggia. Quella che nasce come una sana autostima può rapidamente tramutarsi in una percezione di sé gonfiata, in un egocentrismo in base al quale tutto sembra dovuto. Di pari passo con l’autostima cresce anche l’incidenza di ansia e depressione.

Le conseguenze sono sotto agli occhi di tutti, basta farsi un giro su internet, spiega Lipperini:

A chi non è capitato, di questi tempi, di imbattersi in quel rancore sordo di cui la rete trabocca? Un rancore fatto di ambizioni frustrate che si trasforma in odio, subito, al primo rifiuto?

Un tema affrontato nel libro è la domanda su quante possibilità hanno i padri di contribuire seriamente alla crescita del figlio? Quante possibilità lascia loro una società che ha stigmatizzato la madre quale angelo esclusivo del focolare? Cambiano le famiglie, eppure non cambiano le loro rappresentazioni mediatiche o religiose. Cala il tasso di nuzialità – anche se molti sono disposti a fare follie per esibire una cerimonia matrimoniale extra-lusso – e i figli tendono a prolungare la permanenza sotto al tetto d’origine, ad esempio. A riprova delle mutazioni, Loredana Lipperini segnala un workshop dell’Istat (2011), in cui le metamorfosi del nucleo vengono passate in rassegna punto per punto:

ci si separa di più (più 37% rispetto al 1998 e una crescita dei divorzi in ragione del 62%), aumenta l’età media alla nascita del primo figlio (da 26,9 a 30) e triplica la quota di nascite naturali: dal 6,5% al 20,4% nel 2009.

20 Marzo, 2013

Antiper, 2060

by gabriella

areaglobaleNel novembre scorso, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE – o OECD in inglese -) ha pubblicato una previsione di lungo termine [1] su quello che ritiene sarà l’andamento della distribuzione della ricchezza prodotta a livello globale da qui al 2060. Lo studio, ovviamente, non tiene conto di fattori ed eventi che oggi non possono essere previsti in termini quantitativi anche se sono piuttosto prevedibili in quanto a possibilità di accadere (come, ad esempio, una serie di crack finanziari, forse altrettanto e più virulenti di quello del 2008). Possiamo dunque dire che lo studio costituisce una stima ottimistica degli andamenti globali che si determineranno nei prossimi 50 anni e che la previsione formulata dall’OCSE di una crescita globale media del 3% all’anno deve essere significativamente corretta al ribasso (anche se al momento nessuno è in grado di quantificare l’entità di tale correzione [2].

Lo studio costituisce una proiezione statica, basata sulle linee di tendenza che si possono intravvedere a partire dai dati storici (passato e presente). Del resto, è difficile valutare fattori che non sappiamo se e come si verificheranno; prendiamo, solo per fare un esempio, l’innalzamento relativo dei costi di produzione (e dei salari, in particolare) che può avvenire nelle “economie emergenti” o in altri contesti per effetto dello sviluppo delle lotte dei lavoratori e l’impatto che questo può avere sulla scelta, nei prossimi anni, dei paesi verso cui indirizzare gli investimenti diretti esteri di capitale (diciamo, per semplificare, le delocalizzazioni). Già adesso sono in atto varie tendenze a spostarsi da paesi come la Cina verso paesi come il Vietnam [3] e altri o, addirittura, a riportare alcune produzioni in “paesi centrali” (come gli USA [4]).

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19 Marzo, 2013

Agamben, Elogio della profanazione

by gabriella

Giorgio_AgambenIn questa potente indagine genealogica del sacro, Agamben demistifica il significato della religione, mostrando come essa non sia affatto ciò che lega l’umano e il divino (religio), ma al contrario, ciò che li tiene separarati (relego). Nella sua analisi, il frammento su capitalismo e religione di Walter Benjamin contenuto nelle Tesi sul concetto di storia, serve a precisare la natura del capitalismo, inteso non tanto – come voleva Max Weber – come un gigantesco processo di secolarizzazione del numinoso, ma come un fenomeno religioso esso stesso, nato all’interno del cristianesimo e divenutone poi il parassita.

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