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30 Aprile, 2013

Gianni Vattimo, Metafisica degli esclusi (o della libertà) vs metafisica delle auctoritates (o della necessità)

by gabriella

Traggo da L’Indice dei libri del mese, il testo della conferenza tenuta da Gianni Vattimo il 24 ottobre 2011 – su invito della Alexander von Humboldt Stiftung – dal titolo Quale metafisica, quale realtà? nella quale il filosofo sviluppa una riflessione sul bisogno di metafisica al servizio delle opposte necessità di concentrazione e controllo e di libertà e pluralità.

Che differenza c’è tra il bisogno di metafisica affermato dalle auctoritates, che lamentano la perdita della morale civile e religiosa dei popoli rovinati dal “nichilismo” postmoderno, dal multiculturalismo dilagante, in fondo dall’eccesso di libertà – da un lato – e il bisogno di metafisica dei rivoluzionari e di tutti i rivoltosi che si sentono legittimati dai “diritti umani” universali?

Max WeberMax WeberLa differenza, come è facile vedere, sta nel fatto che alcuni invocano la metafisica per mantenere lo status quo – la morale familiare tradizionale, il potere sacrale delle gerarchie religiose, anche semplicemente la validità “oggettiva” della scienza ufficiale o l’indiscutibilità dell’opinione pubblica mainstream dei grandi giornali e delle grandi catene televisive; mentre altri si richiamano alla metafisica come a una verità che si oppone criticamente allo status quo e vuole cambiarlo. Viene in mente qui una frase di un grande filosofo nordamericano (e grande amico) scomparso negli anni recenti, Richard Rorty, che diceva:

“Prendetevi cura della libertà, la verità si difenderà da sé”.

Inteso in questo senso, il “bisogno di metafisica” non è qualcosa di nuovo, ha una storia identica a quella dell’umanità o almeno dell’homo sapiens, dell’homo politicus che vive in una società e deve fare i conti con i rapporti di forza. Questo si può esprimere con l’aforisma con cui Nietzsche inizia il primo volume di Umano, troppo umano:

“I problemi filosofici riprendono oggi la stessa forma che avevano duemila anni fa”.

Ma ciò perché, come Nietzsche indica in tante altre pagine della sua opera, viviamo ormai in una società caratterizzata da una “selvatichezza indiana” (la società capitalistica già così fiorente al suo tempo), dove – ed è questo il senso del nichilismo che noi chiamiamo postmoderno – i valori supremi si sono svalutati, e vige un politeismo dei valori, come lo chiama Max Weber, in cui nulla funge più da punto di riferimento definitivo e bisogna prender atto che nessuno può parlare dal punto di vista (divino) della verità universale. Anche i differenti significati che può assumere il bisogno di metafisica esprimono il politeismo dei valori, sono resi possibili dall’avvento del nichilismo.

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