Archive for 5 Maggio, 2013

5 Maggio, 2013

Vincenzo Vitiello, De Amicitia. Derrida critico di Schmitt

by gabriella

JacquesDerridaSchmittTraggo dal Centro studi Campostrini questo studio sul confronto di Derrida con Carl Schmitt.

È in Politiques de l’amitié [1], ancor più che in Spectres de Marx[2], che l’orientamento politico, direi: la ‘destinazione’ politica, della filosofia di Derrida, anche delle analisi teoriche più astratte ed apparentemente lontane da ciò che si è soliti indicare col termine ‘politica’ – un singolare che a Derrida non piaceva, come già il titolo del libro rileva –, ha trovato la sua più convinta espressione. La politica, infatti, non è stata per il filosofo francese un tema di riflessione accanto ad altri; è stata anzitutto fonte di ‘responsabilità’. Lo attesta il confronto con Schmitt, che di questo libro costituisce la struttura portante, la cui motivazione originaria è nella dichiarata ‘esigenza’ di comprendere perché

«questo giurista ipertradizionalista della destra cattolica»

ha suscitato tanta simpatia

«in certi circoli del pensiero politico di sinistra».

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5 Maggio, 2013

Marc Crépon, Kafka e Derrida: l’origine della legge

by gabriella

JacquesDerridaSul fondamento della legge e dell’autorità in Jacques Derrida e Franz Kafka, dal Rasoio di Occam.

Les lois se maintiennent en crédit, non par ce qu’elles sont justes, mais par ce qu’elles sont lois. C’est le fondement mystique de leur autorité ; elles n’en ont point d’autre. (…) Quiconque leur obéit parce qu’elles sont justes, ne leur obéit pas justement par où il doit.

Montaigne, Essays, III, 13

L’un dit que l’essence de la justice est l’autorité du législateur, l’autre la commodité du souverain; et c’est le plus sûr: rien, suivant la seule raison, n’est juste en soi; tout branle avec le temps. La coutume fait toute l’équité, par cette seule raison qu’elle est reçue; c’est le fondement mystique de son autorité. Qui la ramène à son principe, l’anéantit.

Pascal, Pensées, 294

Quando ci si interroga sulla relazione tra diritto e letteratura, viene subito in mente un terzo termine, senza che si sappia in anticipo quale statuto accordare alla cosa che designa: se quello di una disciplina, di un sapere o di un ordine del discorso. È la filosofia. Da lungo tempo essa riflette sia sull’uno che sull’altra: esiste una “filosofia della letteratura” come esiste una “filosofia del diritto”. Ma, soprattutto, una delle sue domande ricorrenti essendo l’origine della legge, la filosofia ha sempre fatto ricorso a delle “finzioni” per tentare di dare risposta a questo enigma. Limitandoci a due esempi, è il caso della novella di Rousseau sull’uscita dallo stato di natura, nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini. E vale lo stesso per il modo in cui Freud rende conto dell’origine della colpa, del divieto e della legge – quindi di tutte le istituzioni morali e giuridiche – in Totem e tabù, con la sua storia dell’orda primordiale e del parricidio. Subito sorge una domanda, tuttavia: questi testi possono ritenersi “letterari”? Qual è il loro statuto? E chi è in grado di stabilirlo? A quale tribunale devono sottomettersi perché sia emesso il verdetto? A quello dei giuristi, a quello dei teorici della letteratura, a quello dei filosofi o degli psicanalisti?

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5 Maggio, 2013

Ernst Bloch, Ateismo nel cristianesimo

by gabriella

Gesu scaccia i mercanti dal tempio 2Uomini e profeti discuteva oggi del rinnovamento delle chiese cristiane alla luce della ricerca storica sulla figura di Gesù. Le lettura scelta dalla redazione per introdurre il dibattito tra la conduttrice e i due storici in studio (Adriana Destro e Mauro Pesce) è stata tratta da Ateismo nel cristianesimo. Per la religione dell’Esodo e del Regno, (Milano, Feltrinelli, 2005, pp. 107-108) nella quale Bloch riflette sul significato della mitezza e dell’ira del Cristo.

Lo spirito della rivolta si precipitò giù dal Salvatore e nei vigneti di Francia apparve la luce del suo furore.

William Blake

Aut Caesar aut Christus – Mitezza e «luce del suo furore» (William Blake)

Vi sono agnelli nati che si fanno piccoli piccoli spesso e volentieri. Ciò è insito nella loro specie e Gesù non ha predicato per essi con violenza, come si dice nella Scrittura. Tanto meno egli ci compare di fronte in un aspetto così mitigato, come intende la brava gente, meno che mai come i lupi lo hanno adattato ad uso delle pecore, affinché esse possano conservare doppiamente la loro natura.

Il loro ben noto pastore viene presentato così succube, così illimitatamente paziente, come se egli non fosse null’altro che questo. Il fondatore avrebbe dovuto essere libero da ogni passione e tuttavia veniva preso da una delle più forti: l’ira. Tanto che egli rovesciò nel tempio i tavoli dei cambiavalute, né si dimenticò di usar la frusta. Gesù dunque è paziente solo quando si trova nel cerchio silenzioso dei suoi: invero non pare affatto che egli ami i loro nemici. Veniamo ora alla predicazione della montagna: essa non si propone di certo di eccitare gli uomini l’uno contro l’altro per amore di Cristo, come Gesù fanaticamente consiglierebbe ai suoi discepoli (Matt. 10, 35). La predicazione della montagna in cui vengono chiamati beati i miti e i pacifici non è legata ai giorni della lotta ma alla fine dei giorni, che Gesù credeva già vicina conformemente alla predicazione del mandeo Giovanni; dal che consegue il rapporto “istantaneo” e chiliasticamente “immediato” con il regno dei cieli (Matt. 5, 3).

Nondimeno a sancire la “lotta” necessaria per l'”avvento” del regno sta la parola: «Io non sono venuto a portare la pace ma la spada» (Matt. 10, 34). E giunge parimenti il fuoco che scava, in un senso che non è affatto solo interiore ma esteriore: «Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso» (Luc. 12, 49). Questo intendono appunto i versi di William Blake nella conclusione riferibile al 1789: «Lo spirito della rivolta si precipitò giù dal Salvatore e nei vigneti di Francia apparve la luce del suo furore.»

Certamente la spada, che come il fuoco non solo distrugge ma purifica, viene rivolta nella predicazione di Gesù contro qualcosa di più dei semplici palazzi: essa si scaglia contro tutto il vecchio eone, poiché esso deve sparire, e primi tra tutti i ricchi, nemici dei miseri e degli oppressi, che così a fatica entrano nel regno dei cieli come – con tutta la ironia dell’impossibile – il cammello attraverso la cruna d’un ago. In seguito la chiesa ha di molto allargato la cruna dell’ago e di conseguenza il suo Gesù è stato strappato via dalla prospettiva della rivolta. Così accadde che contro i facitori d’ingiustizia si giocò la carta della mitezza e non dell’ira di Gesù.

cammello


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