Archive for 1 Luglio, 2013

1 Luglio, 2013

Barbara Alberti sulla morte in carcere di Stefano Cucchi

by gabriella

Per Stefano

Domenica 30 giugno, Barbara Alberti ha parlato di Stefano Cucchi a Radio24ore, nella rubrica La guardiana del faro [dal minuto 26:50].

Vi abbiamo fatto sentire la canzone di Franco Battiato, specialmente per la frase chiave che contiene e che, ahimé, abbiamo avuto occasione di ricordare molte altre volte: “ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore”. Frase che si attaglia a tante tragedie italiane che si svolgono accanto a noi e non cambiano niente, come i suicidi per disperazione, gente che non ha il lavoro, che ha subito un’ingiustizia, persone che si danno fuoco o si sparano, rivolgendo la rabbia contro di sé.

Stefano CucchiQuesta volta con la frase di Battiato ci riferiamo a Stefano Cucchi che entrò in carcere vivo e ne uscì moribondo, per morire poco dopo all’Ospedale a causa delle percosse ricevute ma, secondo la sentenza emessa dai giudici nel finale del processo, non è stato nessuno. Ho davanti a me la sua foto che non è facile da guardare, quella pubblicata sul Fatto quotidiano del 6 giugno, dove ha il volto devastato.

Il giornale si riferisce alla sentenza del tribunale, il quale ha assolto gli agenti della Polizia penitenziaria accusati di averlo picchiato causandone la morte e titola: “L’hanno ridotto così, ma per i giudici è colpa dei medici”. I medici hanno avuto delle pene leggere, ma la pena è stata sospesa per tutti.

Questo ragazzo si chiamava Stefano Cucchi. Aveva 31 anni, era geometra, gli piaceva la boxe. Era stato tossicodipendente e qualche anno prima della morte si era curato in comunità. Io qui cito da wikipedia: “Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi venne trovato in possesso di 21 grammi di hashish e antiepilettici – oh, questi farmaci era assolutamente legittimo che lui li avesse perché aveva sofferto anche di epilessia -“. In conseguenza di questo venne decisa la custodia cautelare.

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1 Luglio, 2013

Fabio Milazzo, Il dibattito sul nuovo realismo

by gabriella

Da Haecceit@s.

Il dibattito, che oggi si struttura intorno ad un Manifesto[2] affonda le proprie radici nella “svolta post-ermeneutica” di Maurizio Ferraris  avvenuta ormai più di un decennio fa quando, riprendendo e sviluppando le analisi realistiche di Paolo Bozzi[3], decise di criticare il soggettivismo e il relativismo dell’ermeneutica a favore di un più rassicurante realismo che riconosce nella realtà esterna il mondo quale èper essenza diremmo- al di là delle interpretazioni attraverso le quali lo denotiamo di senso[4].

Anselmo d'AostaIl Realismo classico della filosofia, quello di Anselmo d’Aosta e di Guglielmo di Champeaux[5], anche nella versione moderata di Tommaso d’Aquino, prevede l’esistenza di una realtà esterna al soggetto conoscente indipendente dal processo conoscitivo del soggetto stesso. In altre parole, e radicalizzando la questione: il mare che vedo fuori dalla mia finestra è blu e le foglie della palma sono di un verde che vira verso il giallo “secco” tipico della stagione calda che “sta per arrivare”[6].

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1 Luglio, 2013

Fabio Milazzo, Il nuovo realismo è un totalitarismo

by gabriella

totalitarismo

Pubblicato su Haecceit@s, questo articolo di Fabio Milazzo espone condividibili ragioni di diffidenza verso il “nuovo realismo”.

Apologia della doxa

Il “nuovo realismo” è letteralmente una trovata geniale. Il paradigma, reso recentemente famoso da Maurizio Ferraris, che ne è il promotore in Italia, e da quella fucina di idee progressiste che è il gruppo La Repubblica[1], è riuscito a ritagliarsi un posto nelle asfittiche e claustrofobiche chiacchierate della filosofia italiana. Ma cos’è questa postura intellettuale che tanto credito sembra ottenere da personalità quali Umberto Eco – che, a dir la verità, già dai tempi de I limiti dell’interpretazione ha operato una svolta anti-ermeneutica – e dalle tante teste pensanti riunite in convegni quali quello di Bonn[2]?

Fondamentalmente è un ritorno ai fasti della doxa (δόξα), l’opinione comune, ciò contro cui si erge il pensiero filosofico fin dalle sue origini pre-socratiche[3]. Detta in maniera brutale, ma forse anche efficace, il nuovo realismo afferma la consistenza oggettiva della realtà, al di là di ogni fenomeno interpretativo. Il suo principale avversario non può che essere il Nietzsche che nel noto frammento postumo dichiarava profeticamente:

«Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: “ci sono soltanto fatti”‘, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto “in sé”; è forse un’assurdità volere qualcosa del genere. “Tutto è soggettivo”, dite voi; ma già questa è un’interpretazione, il “soggetto” non è niente di dato, è solo qualcosa di aggiunto con l’immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo.

È infine ancora necessario mettere l’interprete dietro l’interpretazione? Già questa è invenzione, ipotesi. In quanto alla parola “conoscenza” abbia senso il mondo è conoscibile; ma esso è interpretabile in modi diversi, non ha dietro di sé un senso, ma innumerevoli sensi. “Prospettivismo”. Sono i nostri bisogni, che interpretano il mondo: i nostri istinti e i loro pro e contro. Ogni istinto è una specie di sete di dominio, ognuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a tutti gli altri istinti»[4].

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