Archive for 21 Agosto, 2013

21 Agosto, 2013

Out of Africa. Partenza anticipata per Homo sapiens?

by gabriella

homosapiensLa scoperta in Cina dei resti di uomo moderno risalente a 100 mila anni fa sta rivoluzionando le teorie su quando la nostra specie avrebbe lasciato l’Africa.

di Rachel Kaufman

La mandibola, rinvenuta dai paleontologi nella Grotta Zhiren, nel 2007, presenta un tratto distintamente moderno: un mento prominente. Peccato però, sottolineano gli esperti, che la mandibola sia certamente di 60.000 anni più vecchia di quelli che finora erano i più antichi resti di Homo sapiens trovati in Cina.

Il nuovo fossile cinese infatti, risalente a 100 mila anni fa, è “il più antico umano moderno scoperto fuori dall’Africa”, dice il coautore dello studio Erik Trinkaus, antropologo della Washington University a St. Louis.

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21 Agosto, 2013

Le penne dei Neanderthal

by gabriella

Un’eccezionale scoperta italiana: la specie ormai estinta si adornava il corpo con penne di uccelli proprio come il “cugino” sapiens sapiens.

Neandertaldi Marco Peresani, Università di Ferrara

Una recente scoperta archeologica cambia il nostro modo di considerare l’Uomo di Neanderthal, lontano cugino scomparso tra 50 e 40 mila anni fa dal nostro continente. Abilissimo cacciatore,  questo europeo adattato da centinaia di migliaia di anni ai climi glaciali, rivela tutta la sua sensibilità verso l’ornamentazione del proprio corpo e dei propri abiti, utilizzando polveri coloranti  ricavate dalla triturazione di ossidi di ferro, conchiglie marine e denti perforati, ma soprattutto piume estratte dalle ali di grandi rapaci: un comportamento considerato “moderno” a tutti gli effetti, se si escludono le eccezionali opere d’arte realizzate dai primi sapiens.

(Leggi anche: “La dieta dei Neanderthal”)

Proprio l’emergenza di questo comportamento è oggetto di un acceso dibattito scientifico internazionale, che impegna centinaia di studiosi a discutere se fossero proprio le popolazioni neanderthaliane ad avere realizzato, indipendentemente, certe invenzioni nella scheggiatura della pietra, nella lavorazione dell’osso e, appunto, ad avere “praticato” l’ornamentazione, oppure se tutto questo non fosse il risultato dell’incontro con gli invasori sapiens sapiens che decretarono la definitiva estinzione dei nativi Neanderthal.

(05 maggio 2011)

Tratto da: http://nationalgeographic.it

21 Agosto, 2013

Nella Russia subartica gli ultimi Neanderthal

by gabriella

La scoperta di un kit di utensili indicherebbe che la specie sia sopravvissuta più a lungo – e più a nord – di quanto si pensava. Gli attrezzi scoperti di recente (nel riquadro) fanno pensare che i Neandertal europei si spinsero più a nord dell’area che finora si riteneva avessero abitato.

Un gruppo di Neandertal potrebbe essere sopravvissuto più a lungo del resto della loro in un remoto avamposto nella Russia settentrionale: lo rivelerebbe la scoperta nell’area di un kit di strumenti litici.

Il luogo del ritrovamento, situato sugli Urali,

“potrebbe essere stato l’ultimo rifugio dei Neandertal”,

afferma il responsabile della ricerca Ludovic Slimak, archeologo della Université de Toulouse le Mirail in Francia. I Neandertal dominarono l’Europa per circa 200.000 anni, finché gli uomini moderni (Homo sapiens) iniziarono a diffondersi nella regione, circa 45.000 anni fa. Le due specie probabilmente condivisero per qualche tempo il territorio, ma ciò che accadde in quell’arco di tempo, quanto durò la convivenza e perché alla fine Homo sapiens ebbe la meglio resta un mistero.

(Vedi anche: Siamo tutti un po’ Neandertal)Le testimonianze archeologiche ritrovate finora collocavano gli ultimi avamposti neandertaliani nella penisola iberica.
“Non a caso, è stato proprio in zone ‘marginali’ che i Neandertal sono sopravvissuti più a lungo”,
dice il paleontologo Erik Trinkaus, della Washington University di St. Louis, Missouri, che non ha preso parte allo studio.Ora però, le centinaia di strumenti in pietra rinvenuti a Byzovaya, un sito russo alla stessa latitudine dell’Islanda, potrebbero ridisegnare la mappa della diffusione del Neandertal in Europa.

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21 Agosto, 2013

Roy Lewis, L’invenzione dell’esogamia

by gabriella

grande_uomo_scimmiaIn una giornata paleolitica nella Rift Valley, l’invenzione del matrimonio esogamico e del corteggiamento di Edward ed Ernest, rispettivamente primo scienziato e primo filosofo della (prei)storia. Tratto da Roy Lewis, The Evolution Man (1960); trad. it. Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, Milano, Adelphi, 1992, pp. 87-106.

« Bene, ragazzi » fece papà. « Vi devo una spiega­zione. Ma non fatevi venire strane idee, come quella di prendermi a sassate. Non provateci! Siete a tiro, io ho un sacco di munizioni e non avreste alcuna possibilità».
« Be’, insomma, la faccenda è molto semplice, e non c’è bisogno di scaldarsi. Ci ho pensato su un bel po’ e ne ho anche parlato a fondo con le vostre madri. Voi quattro avete passato la pubertà: siete adulti, a tutti gli effetti. Tu, Oswald, devi avere almeno quindici anni; Ernest ha forse un anno meno; lo stesso Alexander e Wilbur. Siete cacciatori ben addestrati; ve la sapete cavare nella foresta, nel­la savana e in montagna. Siete stati addestrati abba­stanza bene nell’arte di lavorare la selce, anche se soltanto Wilbur è veramente bravo. Siete in grado di mantenervi; inoltre – vantaggio del tutto ecceziona­le per ragazzi della vostra età — sapete dove ci si pro­cura il fuoco selvatico e come lo si mantiene acceso. Ora, per il bene della specie, è tempo che vi troviate delle compagne e formiate delle famiglie vostre; e questo è il motivo per cui vi ho portato qui. A meno di cinquanta chilometri più a sud c’è un’altra orda… ».

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21 Agosto, 2013

F. Clark Howell, Il processo di ominazione

by gabriella

Lascaux (Dordogna). Arte rupestre 17.000 anni fa

Lascaux (Dordogna). Arte rupestre 17.000 anni fa

[p. 37] I moderni studi paleoantropologici cercano di comprendere, sia nella prospettiva biologica sia in quella culturale, i fattori che hanno determinato l’evoluzione dell’uomo.

L’antropologo biologicamente orientato si interessa soprattutto della natura delle principali trasformazioni anatomiche e fisiologiche nell’evoluzione del corpo da un primate superiore scimmiesco alla specie variabile unica, Homo sapiens, e della loro importanza per l’adattamento. Egli deve interessarsi inoltre dell’origine e dell’evoluzione di modelli tipicamente umani di comportamento, specialmente delle capacità di cultura e delle manifestazioni di tali capacità, e non solo delle loro basi biologiche.

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21 Agosto, 2013

Giorgio Manzi, Il cranio di Neandertthal del Monte Circeo

by gabriella

cranio NeanderrthalIl 25 febbraio 1939 il paleontologo Alberto Carlo Blanc scopre un cranio di Neanderthal in una grotta presso il Monte Circeo.

Repertorio: frammenti dalla trasmissione televisiva “Testimoni oculari” del 9 novembre 1959, nella quale Alberto Carlo Blanc viene intervistato da Gianni Bisiach sulle tappe più importanti della sua carriera di paleontologo.

Brano musicale: Così parlò Zarathustra di R. Strauss.

Giorgio Manzi è professore associato presso il Dipartimento di Biologia Ambientale della SAPIENZA Università di Roma, dove insegna a studenti della facoltà di Scienze M.F.N. e della Scuola di Specializzazione in Archeologia. Direttore del Museo di Antropologia “Giuseppe Sergi” della SAPIENZA Università di Roma. Premio internazionale “Fabio Frassetto” 2006 per l’Antropologia fisica, conferito dall’Accademia Nazionale dei Lincei. Membro del Consiglio Direttivo dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (IsIPU), del quale è stato Segretario Generale dal 1999 al 2006. Associato a varie società scientifiche nazionali e internazionali. Come divulgatore scientifico collabora con quotidiani, magazines, riviste di divulgazione scientifico-naturalistica e sitiweb; ha inoltre partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive e abitualmente tiene conferenze sia in Italia cheall’estero. Attualmente ha una rubrica mensile su Le Scienze. Per l’editore Il Mulino di Bologna ha pubblicato Homo sapiens (2006), L’evoluzione umana (2007), Uomini e ambienti (2009, con A. Vienna) e Scimmie (2011, con J. Rizzo).

 

 

 

21 Agosto, 2013

Un teschio all’incrocio di Neanderthal e Sapiens sapiens

by gabriella

teschio-archeologicoDopo la dimostrazione genetica arriva la prova storica dell’incontro tra noi e il Neanderthal.

Scoperto il cranio umano che segna il passaggio dai Neanderthal all’uomo moderno. Risale a 55.000 anni fa, è stato trovato in Israele, a Manot, e aiuta a ricostruire la storia delle migrazioni dall’Africa verso il continente euro-asiatico, avvenute nel periodo compreso fra 40.000 e 60.000 anni fa. Pubblicata su Nature, la scoperta si deve al gruppo coordinato da Israel Hershkovitz dell’università di Tel Aviv.

Dopo che la genetica ha già dimostrato che il 4% del Dna dell’uomo moderno deriva dai Neanderthal, arriva la prova storica di questo incontro.

“Il Dna ci dice che c’è stato un incrocio e quindi una coesistenza fra Neanderthal e Sapiens ma non ci dice quando” osserva la paleontologa Laura Longo, dei Musei Civici Fiorentini. Questo fossile invece, sottolinea “è la prima prova che in Medio Oriente 55.000 anni fa, come si immaginava, vi è stata una coesistenza fra le due popolazioni”. Oltre a questo, aggiunge, esiste solo un altro fossile che testimonia l’incrocio fra Neanderthal e Sapiens, è stato scoperto in Italia a Riparo Mezzena (Verona) e risale a 39.000-40.000 anni fa.

Un’altra evidenza genetica dell’incontro tra Neanderthal e Sapiens sapiens
La scoperta dell’Homo Naledi

21 Agosto, 2013

L’arte rupestre ha 40.000 anni e forse è anche del Neanderthal

by gabriella

Le pitture in 11 siti sono state retrodatate grazie alla tecnica uranio torio. Secondo gli scienziati, che presentano il lavoro su Science, sono le prime testimonianze artistiche di questo tipo in Europa. Probabilmente ad opera dell’Homo sapiens, ma forse…  [di ALESSIA MANFREDI].

SEGNI, forme astratte, animali stilizzati, figure antropomorfe: tratti eleganti, sorprendentemente sofisticati se si pensa che a tracciarli sono stati, sulle pareti di grotte e rifugi, i primi esemplari di uomo moderno giunti in Europa. Sono ricchissime le testimonianze di arte rupestre paleolitica nel vecchio continente, dai capolavori della grotta di Lascaux agli animali di Chauvet, in Francia, ad Altamira in Spagna, patrimonio dell’umanità Unesco, per citare alcuni dei più famosi. E restituiscono un archivio d’eccezione delle prime manifestazioni di quel pensiero simbolico che caratterizza Homo sapiens e segna un salto di qualità rispetto agli altri ominidi, aprendo la strada ad una cultura moderna.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=0kbaV2tYyXM&feature=youtu.be]

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21 Agosto, 2013

L’Ardipithecus ramidus e le scoperte paleoantropologiche di Afar

by gabriella

Ardipithecus ramidus

La storia dell’uomo in Etiopia e la scoperta di Ardi, il fossile di uno scheletro di ominide risalente a 4,4 milioni di anni fa e più vecchio antenato dell’uomo finora conosciuto, precedente anche a Lucy (3 milioni e mezzo, circa).

Il sito di Afar sta dando le risposte più straordinarie alle domande sulla storia evolutiva della nostra specie. Il testo è stato elaborato da un’intervsita a Tim White pubblicata dal sito del National Geographic.

 

Indice

1. Etiopia, Deserto di Afar
2. L’uomo di Herto, il Sapiens sapiens più antico
3. L’Erectus Daka
4. Australopithecus Gahri: l’immediato predecessore di Homo?
5. L’Ardipithecus ramidus
6. L’Ardipithecus kadabba

 

1. Etiopia, Deserto di Afar

Piana del fiume Awash: sito di Ardi

Il Middle Awash, in Etiopia, è il luogo sulla Terra dove l’uomo è rimasto più a lungo, almeno sei milioni di anni. I loro resti raccontando come, a partire da un primate arcaico e con un piccolo cervello, l’evoluzione abbia portato fino a noi.

La valle di Afar è un posto unico per la capacità di restituire fossili perché al centro di una fenditura della crosta terrestre tuttora attiva. Nel tempo, l’azione di vulcani, terremoti e l’accumularsi dei sedimenti hanno seppellito le ossa e le hanno riportate in superficie come fossili. Un processo ancora oggi in atto.

Ardipithecus ramidus – inizi del Pliocene

Nel 2012, il progetto di ricerca “Middle Awash” ha annunciato una scoperta eccezionale: il recupero effettuato nel 1994 ad Aramis (circa 30 chilometri a nord del Lago Yardi), dello scheletro di un rappresentante arcaico della nostra famiglia antico 4,4 milioni di anni.

Australopithecus Afarensis (Lucy)

Attribuito alla specie Ardipithecus ramidus, l’individuo adulto di sesso femminile (soprannominato “Ardi”), è oltre un milione di anni più antico del famoso scheletro di Lucy, e molto più prezioso per le risposte che può darci su com’è fatto e quando è vissuto l’antenato che abbiamo in comune con gli scimpanzè.

Ardipithecus ramidus rappresenta solo un momento del nostro viaggio evolutivo da una remota scimmia antropomorfa. Il deserto di Afar offre altre 14 finestre temporali da cui provengono resti di ominidi – membri esclusivi della nostra linea evolutiva – da forme più antiche e primitive ai primi rappresentanti di Homo sapiens.

 

2. L’uomo di Herto, il Sapiens sapiens più antico

La piana del fiume Afar è una gigantesca valle formatasi quando la placca continentale dell’Arabia iniziò ad allontanarsi dall’Africa, tra 30 e 25 milioni di anni fa, portando il bacino del Fiume Afar in una depressione in cui le piogge non arrivano perché bloccate dall’altopiano. La vegetazione è il sole intenso. Poco prima del fondo della depressione il terreno risale e le colline digradano in una pianura irregolare segnata dalle faglie.

A sud-est, oltre la linea di vegetazione lungo il Fiume Awash, le pendici dell’altopiano sembrano fondersi con il cono del giovane vulcano Ayelu, sotto il Lago Yardi.

Uomo di Herto (Sapiens sapiens) 160.00 anni

Nella Penisola di Bouri, a poche centinaia di metri dal villaggio Afar di Herto, nel novembre del 1997 è stato individuato un cranio umano completo. Le analisi dei campioni di lava vulcanica raccolti a Herto hanno fornito, per il cranio, un’età tra i 160 mila e i 154 mila anni.

Una datazione straordinariamente importante perché i genetisti ipotizzano che il primo rappresentante dell’uomo moderno possa essere individuato in una popolazione africana risalente a un periodo compreso tra i 200 mila e i 100 mila anni fa. Fino a quando non è stato trovato il cranio di Herto, la documentazione fossile di questo periodo era infatti troppo limitata per supportare questa teoria basata sulla genetica.

Il cranio di questo individuo maschile, grande e dalle sopracciglia marcate, offre la prova della teoria nota come “Out of Africa”: il fossile è un Homo sapiens moderno molto antico, il più antico resto di un membro della nostra specie mai  ritrovato. Il suo volume cerebrale è di 1.450 centimetri cubici, un valore più alto della media degli umani viventi (un secondo cranio trovato negli stessi sedimenti sembra suggerire una capacità cranica anche maggiore). Ma la faccia allungata e la morfologia dell’osso occipitale rimandano alle forme più arcaiche di Homo in Africa, come il cranio trovato a Bodo.

Sulla base delle dimensioni cerebrali, l’uomo di Herto era già “umano” come noi. Ma dal punto di vista del comportamento, sappiamo che era ancora lontano dalla modernità. Gli strumenti in pietra che troviamo a Herto rappresentano una tecnologia preistorica abbastanza raffinata, ma non troppo diversa da quella con cui venivano elaborati gli utensili in pietra 100 mila anni prima o 100 mila anni dopo.

Non vi sono perline bucate, comuni in siti 60 mila anni più recenti, né sono presenti statuette intagliate o altri oggetti di arte preistorica diffusi nel Paleolitico Superiore in Europa, e neppure traccia di archi e frecce, oggetti in metallo, evidenze di agricoltura e di tutti gli aspetti di innovazione culturale e tecnologica che appariranno in seguito. Tornando indietro nel tempo di soli 160 mila anni da oggi troviamo una umanità moderna ma priva di un tratto fondamentale: la capacità d’innovazione.

Le ossa fossili tuttavia sembrano suggerire un primo emergere di un comportamento socialmente complesso, un indizio di capacità astrattive e simboliche. Dopo il primo cranio, ne ha scoperto un secondo appartenente ad un bimbo di circa 6-7 anni. Dalle ossa del cranio è evidente che il bambino fu scarnificato con cura per una pratica rituale e non per cannibalismo. La superficie del cranio è levigata e consumata come dal ripetuto passaggio di mano in mano. Forse il cranio di questo bambino era conservato con cura, quasi adorato come una reliquia, magari per varie generazioni, finché qualcuno non lo ha riposto qui, a Herto, per l’ultima volta.

 

3. L’Erectus di Daka

Daka (Homo erectus), un milione di anni

Ad est della penisola di Bouri, in un paesaggio lunare di sabbie grigie scolpite dall’erosione e sollevati dalla loro posizione originaria dai movimenti tettonici, nel dicembre 1997 è stata trovata una parte di cranio di homo erectus datata un milione di anni: Dakanihylo, o “Daka”.

Homo erectus è uno degli ominidi fossili meglio conosciuti. Scoperto per la prima volta nel 1891 in Indonesia, per taglia corporea e proporzioni degli arti aveva un aspetto decisamente moderno.

La sua cultura materiale, nota come Acheuleano, è caratterizzata da strumenti in pietra grandi e simmetrici, le amigdale.

Oggetti meno raffinati di quelli di Herto, ma la loro forma simmetrica riflette una raggiunta abilità mentale, la capacità di realizzare un progetto, individuando la forma finale dello strumento in un pezzo di roccia e trasformandolo con serie di scheggiature successive.

Provvisto di questi strumenti e di un paio di gambe lunghe, H. erectus riuscì a sfruttare un ampio spettro di ambienti e fu probabilmente il primo ominide in grado di uscire dal continente africano, circa due milioni di anni fa, estendendo il suo areale di diffusione sino all’estremo Oriente.

Passando da Herto a Daka, si nota l’assenza di qualcos’altro che caratterizza il nostro essere umani: qualche centinaio di centimetri cubici di materia grigia. La calotta di Daka indica una capacità cranica di 1.000 centimetri cubici, una dimensione normale per Homo erectus, ma assai inferiore a quella dell’uomo di Herto o anche del cranio di Bodo, che con i suoi 600 mila anni si trova a metà strada tra i due. Per non parlare della mancanza di capacità innovative: gli strumenti acheulleani fatti da H. erectus sono rimasti invariati per più di un milione di anni, un lasso di tempo che un famoso antropologo ha definito come un periodo di “impressionante monotonia”.

Ebbe, comunque, un successo incredibile, fu capace di espandere il suo areale di vari ordini di grandezza. H. erectus sta dalla nostra parte rispetto al limite che ci separa dagli ominidi più primitivi; grazie alla sua capacità cranica e all’utilizzo dei suoi strumenti in pietra, ha definito una nuova nicchia ecologica.

 

4. Australopithecus Gahri: l’immediato predecessore di Homo?

Australopithecus garhi: mandibola di antilope con segni di scarnificazione

A poca distanza dal sito di Daka, nel Bouri, c’è il sito paleoantropologico di Hata dove nel 1996 sono stati trovati reperti risalenti a due milioni e mezzo di anni fa: ossa di antilope, cavallo e di altri mammiferi che recavano tracce di macellazione con strumenti in pietra.

ascia a mano per macellare

ascia a mano per macellare

La presenza di profonde incisioni sul lato interno della mandibola dell’antilope indica la rimozione della lingua, per cui sappiamo che gli ominidi che producevano gli strumenti in pietra se ne servivano per rimuovere dalle carcasse le parti di cui si nutrivano.

A pochi metri di distanza dalle ossa macellate sono stati trovati un femore, alcune ossa del braccio e la mandibola di un ominide molto diverso da quello che i paleoantropologi si aspettavano: un essere simile alle scimmie antropomorfe.

Questi ritrovamenti raccontano, quindi, il momento in cui la linea evolutiva umana si è divisa, prendendo due direzioni diverse: un ramo del genere Australopithecus si è specializzato in una dieta di tuberi o altre risorse vegetali dure, sviluppando una possente muscolatura per l’occlusione e denti grandi e massicci; l’altro si è caratterizzato invece per ominidi con molari e premolari più piccoli, dalla struttura corporea più esile e dalle gambe lunghe, con dimensioni cerebrali maggiori.

Un cervello grande è un vantaggio evolutivo, ma implica anche un gran consumo di energia. Energia che proviene da una dieta con alto apporto calorico, come quello che può fornire il midollo osseo, ottenuto rompendo le ossa delle carcasse lasciate dai grandi felini. Ciò che non era stato trovato a Hata era un cranio che corrispondesse a questo modello: magari non con un cervello grande come quello di H. erectus, ma certamente sviluppato in quella direzione.

Australopithecus garhi

L’anno dopo, nel 1997, fu scoperto il primo frammento di cranio di un ominide con alcune caratteristiche morfologiche tipiche del genere Homo (denti incisivi e canini), ma con molari e premolari proporzionalmente grandi. Raggiungeva a malapena i 450 centimetri cubici di capacità cranica e, aveva, perciò, un aspetto tipicamente da Australopithecus. Insomma, non era una creatura in grado di dominare l’ambiente come Homo erectus. Era un primate bipede intelligente, che sopravviveva tra predatori più grandi e veloci di lui, cercando di evitare le loro zanne per trasmettere le sue crescenti capacità intellettive alle generazioni future.

Per quest’ominide fu scelto il nome di Australopithecus garhi: in lingua Afar, garhi significa “sorpresa”. Trovato al posto giusto nel momento giusto, Australopithecus garhi potrebbe essere considerato l’immediato predecessore del genere Homo, ma questo è ancora da dimostrare.

 

5. L’Ardipithecus ramidus: la scoperta più preziosa

Ai margini della piana del Fiume Awash, nel Bouri-Modaitu, c’è il vilaggio di Adgantole abitato dal bellicoso clan Afar degli Alisera. Sulla sponda opposta del fiume c’è il sito paleontropologico di Maka.

Laetoli (Tanzania), Orme di ominidi – 3 milioni e 700.000 anni fa

Il fossile più famoso di Australopithecus afarensis è Lucy, trovato da Donald Johanson a Hadar nel 1974 e pubblicato nel 1979 da Johanson e Tim White insieme ad altri resti sempre di Hadar e del sito di Laetoli in Tanzania.

Ricostruzione al computer del volto di Lucy, scimmia australe della regione di Afar

Vecchia di 3,2 milioni di anni, Lucy aveva un muso prognato e un cervello non molto più grande di quello di uno scimpanzè. Tuttavia la conformazione del bacino e delle ossa delle gambe, oltre alle impronte dei suoi passi rimaste impresse in uno strato di limi vulcanici a Laetoli, rivelano che questa specie era già bipede.

A giudizio di alcuni antropologi tuttavia, le falangi lunghe e ricurve, le lunghe braccia, e altre caratteristiche peculiari, indicano che il suo tipo di locomozione era legato anche a spostamenti tra i rami degli alberi, come gli scimpanzè. La maggior parte dei ricercatori ipotizzava che l’antenato di Lucy avesse le sembianze corporee e il comportamento locomotorio di uno scimpanzè che si sposta tra i rami e, quando è sul terreno, cammina sulle nocche delle mani. Per dimostrare tutto questo con certezza però ci vogliono dei fossili. E la scoperta finalmente è arrivata: uno scheletro molto più primitivo di quello di Lucy.

In direzione sud-ovest nell’area di Awash, c’è il sito Aramis dove è stato trovato Ardi, un posto dalla complessa geologia.

Circa 5,2 milioni di anni fa, un’immensa colata lavica si espanse in un’antica pianura fluviale e andò a costituire la base di appoggio dei successivi depositi sedimentari, i quali, in occasione di nuove eruzioni vulcaniche, venivano coperti da sottili livelli di ceneri la cui colonna si è poi deformata e inclinata verso ovest, facendo affiorare parte dei vecchi sedimenti contenenti le antiche polveri vulcaniche.

Il campo magnetico terrestre nel passato ha ripetutamente invertito la sua polarità e questo fenomeno è rimasto registrato nell’orientamento dei minerali ferromagnetici presenti in alcune rocce. È noto che una di queste inversioni del campo magnetico è avvenuta 4,8 milioni di anni fa, e questo evento è rimasto documentato nei sedimenti del CCA.

Proprio al di sotto di questo segnale cronologico si trova un’area cosparsa di radi cespugli di acacie, dove nel 1994 è stato trovato un frammento di osso mascellare, del tutto confrontabile con i fossili che il team di Meave Leakey aveva trovato, battezzandoli con il nome di Australopithecus anamensis, in due località della Rift Valley del Kenya. Maggiori evidenze sarebbero saltate fuori da un’altra località del Middle Awash chiamata Asa Issie, composta dagli stessi tessuti sedimentari.

Tutti questi fossili sono un po’ più vecchi e un po’ più arcaici di Australopithecus afarensis ma, in base alla morfologia della tibia trovata in Kenya e del femore di Asa Issie, si è stabilito che anche Austrapolithecus anamensis era bipede. Le principali differenze tra le due specie sono legate all’età: questi due nomi specifici rappresentano due momenti consecutivi di un’unica linea evolutiva, senza che sia possibile definire un preciso punto di separazione tra i due.

Sotto i livelli che hanno restituito i fossili di Australopithecus anamensis, nel Middle Awash, la documentazione dell’evoluzione umana s’interrompe. Le argille giallognole su cui stiamo camminando si sono deposte tra 4,4 e 4,3 milioni di anni, quando questa porzione del CCA era un lago simile allo Yardi. Queste argille non contengono altri fossili all’infuori di resti di pesci, ma sotto questi strati nel 1992 è stata rinvenuta un’importante scoperta: il molare di un ominide e un frammento di mandibola di un bambino con ancora un dente in alveolo, molto diversi da quelli fino ad allora conosciuti.

Nel 1994, l’Aramis ha cominciato ad essere esplorato in maniera sistematica. Un paio di chilometri più a ovest trovarono altri resti di ominide: un canino superiore, un molare perfettamente conservato, altri denti isolati, un osso del braccio. Ancora più importante dei fossili di ominide era l’evidenza del contesto ecologico in cui questi antenati vivevano.

Per oltre un secolo, gli scienziati avevano ritenuto che i nostri antenati avessero iniziato a camminare su due zampe quando erano passati da un ambiente di foresta (dove le scimmie antropomorfe vivono ancora oggi) a uno di prateria, dove erano costretti a muoversi in maniera più efficiente su lunghe distanze o a osservare al di sopra del livello delle erbe di savana.

La stragrande maggioranza dei fossili di Aramis però appartiene a primati e antilopi di foresta. Anche il modo con cui sono usurate le superfici dentarie degli ominidi e le analisi isotopiche sulla composizione del loro smalto concordano nell’indicare una dieta ottimale per un ambiente di foresta. Se quindi questo essere era già bipede, stava per cadere uno dei principi intoccabili dell’evoluzione umana. Il nome che fu dato a questo nuovo ominide fu Ardipithecus ramidus (Ardi in lingua Afar significa “terreno” o “base”, e ramid significa “radice”).

Vicino al punto in cui nel 1993 era stato trovato il dente, fu trovato un ossicino del polso, poi altre ossa della mano e del piede, una tibia, un cranio e un bacino, entrambi molto danneggiati: avevano trovato lo scheletro di un individuo completo come quello di Lucy, ma diverso da qualsiasi ominide conosciuto prima. I resti di quest’antica donna furono inglobati nel fango e riemergevano dopo 4,4 milioni di anni.

Il recupero completo dello scheletro richiese altri due anni di lavoro, in tutto 125 ossa.

Particolarmente significativo è il piede di Ardi.

Nell’uomo e negli altri ominidi, quest’osso è orientato in modo che l’alluce sia allineato alle altre dita, contribuendo alla forte spinta in avanti del nostro passo bipede.

Nelle scimmie antropomorfe questa articolazione è diretta in modo differente, così che l’alluce può essere aperto e fare presa opponendosi alle altre dita sui rami degli alberi. In quest’aspetto cruciale, Ardi è come una scimmia antropomorfa, ma in altre parti del piede le varie morfologie presenti sono tali da averle consentito di camminare eretta.

Ardipithecus ramidus – inizi del Pliocene

In ogni parte anatomica analizzata gli scienziati ritrovavano questo bizzarro mosaico di morfologie: tratti molto primitivi, assieme ad altri decisamente avanzati, esclusivi degli ominidi. Ardi non era solamente un altro bipede o un quadrupede generalizzato: era entrambe le cose.

Sarebbe errato definire Ardipithecus ramidus “un anello di congiunzione” tra la specie Homo e i primati scimmieschi, perché ormai sappiamo che  le forme intermedie tra lo scimpanzè e l’uomo sono state molte: non c’è stata una sola evoluzione, ma molte linee evolutive.

Il ritrovamento di Ardi ha permesso di pensare all’evoluzione umana come a una successione di tre stadi.

Il primo stadio è quello rappresentato da Ardipithecus, un bipede primitivo con un piede nel passato e uno nel futuro, con i canini superiori ridotti che minimizzano il dimorfismo sessuale e un adattamento a un ambiente di foresta.

Seguono poi un paio di milioni di anni in cui è esistito il genere Australopithecus – ancora di capacità cranica ridotta ma del tutto bipede e non più limitato agli ambienti di foresta, con un areale geografico che si estende per 2.500 chilometri a est della Rift Valley. Uno stadio dell’evoluzione degli ominidi di grande successo nello spazio e nel tempo.

Tim White, lo scopritore di Ardi

Non è facile stabilire se Australopithecus si è evoluto da Ardipithecus. Non sappiamo cosa sia successo tra questi due stadi evolutivi. Finché non saranno scoperte nuove evidenze non si potrà dire con certezza se Ardi sia la “madre” di Lucy o solo una “zia zitella” che si è estinta senza discendenza.

Secondo Tim White, è più interessante chiederci se è possibile che Australopithecus derivi solo in parte da Ardipithecus.La genetica dice che piccole alterazioni nei geni che regolano la crescita possono avere come conseguenza delle variazioni anatomiche importanti in tempi rapidissimi. Se la capacità di camminare eretti in modo efficiente si è rivelata un grande vantaggio, continua White, la sola selezione naturale sarebbe stata un processo troppo lento per evolvere un alluce in linea con le altre dita e modificare tutta la struttura dello scheletro.

Lo stesso ragionamento può essere applicato alla transizione da Australopithecus al terzo stadio del nostro schema. Si comincia imparando a scarnificare le carcasse e a cibarsi di cibo più nutriente per consentire l’espansione della capacità cranica e di sviluppare migliori capacità di sfruttamento delle risorse, et voila: Daka, Bodo, Herto, noi. La nostra capacità di conoscere il percorso evolutivo umano si basa anche su fossili di altre regioni dell’Etiopia o di altri paesi, in alcuni casi con resti migliori di quelli del Middle Awash, ma nel complesso tutta questa documentazione fossile ci dimostra che l’evoluzione consiste nel costruire qualcosa di nuovo su ciò che esisteva già.

«È come l’assemblaggio di un’automobile», spiega White: «La bipedia è la carrozzeria. La tecnologia è il corpo. Il linguaggio è il motore, inserito verso la fine della catena di montaggio; poi compaiono tutti i vari inutili accessori».

 

 

6. L’Ardipithecus kadabba

femore Orrorin tugenensis

Ai piedi di colline ad ovest della Valle dell’Awash sono stati trovati da Yohannes Haile-Selassie frammenti di ossa di ominide ancora più vecchi, risalenti a 5,8 milioni di anni fa denominati Ardipithecus kadabba. Per molti Ardipithecus kadabba è una “cronospecie” di Ardipithecus ramidus, ovvero una vecchia versione dello stesso modello.

White e colleghi sono propensi a inserire in questo continuum evolutivo altri due ritrovamenti molto antichi: frammenti di femore di sei milioni di anni trovati in Kenya e attribuiti a Orrorin tugenensis, nonché l’enigmatico cranio trovato in Ciad e battezzato Sahelanthropus tchadensis, risalente a quasi sette milioni di anni fa.

Orrorin tugenensis

Sahelanthropus-tchadensis

Orrorin tugenensis sarebbe uno dei primi ominidi adattati all’andatura bipede.  I femori degli ominidi e quelli delle grandi scimmie si sono evoluti in differenti direzioni da una morfologia più primitiva e Orrorin si situa in un punto intermedio tra le scimmie del Miocene e le australopitecine.

Ciò delinea uno scenario evolutivo un po’ diverso da quello comunemente accettato. I primi ominidi bipedi, tra cui Orrorin, si sarebbero evoluti dalle precedenti grandi scimmie del Miocene ancora prevalentemente arboricole, ma che possedevano già in larga parte la stazione eretta. Ciò confermerebbe che nelle grandi scimmie attuali l’anatomia del femore ha seguito un adattamento successivo e legato alla sospensione ai rami degli alberi.


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