Traggo dal suo blog su Micromega, questa recensione di Formenti a Suicidi, di Anna Simone, che è anche una ripresa del dibattito sul suicidio anomico di Durkheim.
Pur essendo stato un cavallo di battaglia di uno dei padri fondatori della sociologia, Émile Durkheim, il tema del suicidio non è fra quelli affrontati più di frequente dai suoi colleghi e successori. A occuparsene, ricorda infatti Anna Simone nella raccolta di saggi intitolata “Suicidi. Studio della condizione umana nella crisi”, che ha curato per l’editrice Mimesis, sono soprattutto psichiatri e psicologi, come se il problema potesse essere trattato solo scandagliando la psiche individuale e collettiva.
Per allargare, se non per rovesciare, tale prospettiva, Anna Simone – ricercatrice di sociologia giuridica presso l’università di Roma 3 – prende le mosse proprio dalla lezione di Durkheim, il quale proponeva di assumere il tasso suicidario di una società come indicatore della sua capacità o meno di generare integrazione sociale (quanto più debole il legame sociale tanto più elevato il numero dei suicidi). Analizzando il suicidio come fatto sociale, Durkheim ne classificava diverse tipologie, fra cui quella che definiva “suicidio anomico”, mettendola in relazione con il venir meno di un complesso di norme e valori condivisi, fenomeno tipico dei periodi di transizione e di crisi.
Commenti recenti