Kobane
Noi, popoli delle Regioni autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società liberà dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo, e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale.
Dalla Carta di Rojava
Lettera di Kader Ortakaya ai familiari
L’ultima lettera di Kader, uccisa ieri (10 novembre 2014) dai soldati turchi mente cercava di passare il confine a Kobane per unirsi alla resistenza curda. Il testo è stato presentato al parlamento turco, insieme alla richiesta di spiegazioni, da alcuni deputati dell’HDP.
Cara famiglia, sono a Kobanê.
Questa guerra non è solo una guerra del popolo di Kobanê, ma una guerra per tutti noi.
Mi unisco a questa lotta per la mia amata famiglia e per l’Umanità.
Se oggi manchiamo nel vedere questa guerra come una guerra per noi, resteremo soli quando domani le bombe colpiranno le nostre case.Vincere questa guerra significa che vinceranno i poveri e gli sfruttati.
Io credo di poter essere più utile unendomi a questa guerra che andando a lavorare in un ufficio.
Probabilmente, vi arrabbierete con me perché vi rendo tristi, ma prima o poi capirete che ho ragione.
Auguro a tutte e tutti di vivere liberamente e da uguali.
Non voglio che nessuno venga sfruttato per tutta la vita, per avere un pezzo di pane o un riparo.Perché questi desideri si avverino, bisogna lottare e combattere.
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Cinque domande per orientarsi nella filosofia moderna
1. Come sorge la domanda sul valore della conoscenza nella filosofia moderna?
La domanda sul valore della conoscenza torna a proporsi nella filosofia moderna con Cartesio che concepisce innovativamente il pensiero come il contenuto delle nostre rappresentazioni (idee). Se le idee sono rappresentazioni soggettive, contenuti della mente, sorge il problema della loro corrispondenza con la realtà, che nelle Meditazioni metafisiche il filosofo sottopone al vaglio del dubbio.
Nella classica interpretazione hegeliana, il dubbio cartesiano identifica il momento della frattura tra verità e certezza, essere e pensiero, che Cartesio ricompone temporaneamente ricorrendo alla dimostrazione (di sapore medievale) dell’esistenza di Dio, provata dall’esistenza dell’idea innata di un essere infinito di cui la nostra mente finita non può essere causa. E’ Dio quindi a garantire la perfetta coincidenza dei contenuti della mente (idee) con la realtà (cioè a ricomporre la frattura), ma l’opposizione (problematica) di essere e pensiero, rapidamente risolta da Cartesio, diviene definitiva meno di un secolo e mezzo dopo, quando Kant escluderà ogni prova razionale dell’esistenza di Dio, dichiarando inconoscibile la realtà profonda delle cose.
La svolta cartesiana, coincidente con la comprensione del ruolo del soggetto nella conoscenza, rappresenta dunque, l’atto di nascita di una filosofia completamente nuova, dominata dal problema della conoscenza, della sua origine, dei suoi limiti, del suo valore.
Paolo Flores d’Arcais, Verità e opinione nei talk show
La recente polemica di Marco Travaglio con Michele Santoro scatenata dalla decisione del secondo di ridare la parola a un politico che stava platealmente mentendo, commentata da Flores d’Arcais su Micromega.
“Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show, cioè del pollaio gabellato per ‘contraddittorio’ e ‘ascolto’ dove chi ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità? (…) […] cosa rimane, del giornalismo […] nei talk show?”.
Nulla, ovviamente. Ma la degradazione della verità di fatto a mera opinione, e dunque la correlativa santificazione di ogni menzogna a opinione che vale quanto l’altra, non è questione che mette a repentaglio solo il giornalismo, bensì costituisce in sé un colpo durissimo e diretto assestato contro la democrazia in quanto tale. Dunque Marco Travaglio ha torto a “minimizzare” come problema del giornalismo qualcosa che riguarda invece l’essenza stessa della democrazia: Santoro, trattando Travaglio – che cerca ostinatamente di dare voce alle modeste verità di fatto – come un “opinionista” alla stregua dei Burlando, Santanchè, Brunetta, Minzolini, Fassino/a e altri habitué del pollaio/ring (mentre è uno dei pochissimi cronisti, cioè trascrittori fedeli di fatti, che ancora restino nel giornalismo italiano), spaccia overdose di una convinzione per la democrazia mefitica e micidiale.
Hannah Arendt lo ha spiegato in modo definitivo già mezzo secolo fa, dimostrando e sottolineando che mettere sullo stesso piano le opinioni, inevitabilmente soggettive e arbitrarie, con le verità di fatto significa già compiere un passo cruciale verso il precipizio del totalitarismo. Nel saggio Verità e politica scrive:
“Ciò che appare ancora più inquietante [ha appena parlato della Germania di Hitler e della Russia di Stalin] è che nei paesi liberi, nella misura in cui verità di fatto sgradite vengono tollerate, esse sono spesso, consciamente o inconsciamente, trasformate in opinioni”. Ma in questo modo “è in gioco la stessa realtà comune fattuale”, il nostro essere-insieme, cioè il tessuto minimo e irrinunciabile di una convivenza che non sia alla mercé di pochi (i padroni-manipolatori della “verità”, appunto). Da qui la conclusione, tanto perentoria quanto argomentata per pagine e pagine: “la libertà di opinione è una farsa a meno che l’informazione fattuale non venga garantita e i fatti stessi siano sottratti alla disputa”.
Konrad Lorenz, Il linguaggio animale
Gli animali non possiedono un linguaggio nel vero senso della parola, ma ogni individuo appartenente alle specie superiori, e soprattutto alle specie che vivono in società, come ad esempio le taccole o le oche selvatiche, possiede fin dalla nascita tutto un codice di segnali e di movimenti espressivi. E innata è tanto la capacità di emettere tali segnali, quanto quella di «interpretarli correttamente», cioè di rispondervi in modo coerente e propizio ala conservazione della specie.
Queste mie affermazioni, che si fondono su molte osservazioni e molti esperimenti, vengono a ridurre notevolmente la somiglianza che, a una considerazione superficiale dei fatti,, sembra sussistere tra tutti i modi di comunicare degli animali e il linguaggio umano. Questa somiglianza si riduce ancora ulteriormente quando a poco a poco ci si rende conto che in tutte le manifestazioni sonore e mimiche l’animale non ha mai l’intenzione cosciente di influenzare con questi mezzi un suo simile: anche le oche e le anitre selvatiche o le taccole cresciute in isolamento, emettono tali segnali quando si trovano nello stato d’animo corrispondente. Si tratta dunque di un processo coatto e meccanico, che decisamente ha assai poco a che fare con il linguaggio umano.
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